Jihadismo in Europa, il problema non è l’immigrazione

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Photo by Christian Vinculado Tandberg/FFI

Dobbiamo aspettarci nuovi attacchi terroristici in Europa? E quali sono i rapporti tra il jihadismo e le complesse tematiche dell’immigrazione e dell’accoglienza dei rifugiati?

Il Professor Thomas Hegghammer del Forsvarets forskningsinstitutt dell’Università di Oslo, uno dei maggiori esperti mondiali sul tema, non ha dubbi in proposito: “Dobbiamo aspettarci almeno alcuni altri attentati nel 2017. Negli ultimi due anni, l'Europa ha assistito a un'attività terroristica jihadista di circa 15 attentati all'anno. Anche se ci sono segnali che l'attività stia scemando, è probabile che non si interrompa improvvisamente".

Hegghammer, autore e co-autore di molti libri sul tema, tra cui Jihad in Saudi Arabia (Cambridge University Press 2010), Al-Qaida in its own words (Harvard University Press 2008), e The Meccan Rebellion (Amal 2011), sarà a Ca’ Foscari martedì 28 febbraio alle ore 15 per una lecture intitolata The Future of Jihadism in Europe, inserita all’interno del ciclo di lezioni internazionali della laurea triennale Philosophy, International and Economic Studies, interamente insegnata in inglese.

Nel corso della sua lecture, il professore parlerà anche del rapporto ancora tutto da provare tra l’emergenza rifugiati e il terrorismo: “Solo una piccola parte dei rifugiati musulmani in Europa hanno preso parte ad attacchi terroristici, e i pochi che l'hanno fatto si sono radicalizzati in Europa molti anni dopo il loro arrivo. La situazione è diventata più complicata nel 2015-2016 quando lo Stato Islamico ha iniziato a inserire propri uomini all'interno del flusso dei rifugiati diretti in Europa. Ma comunque, stiamo probabilmente parlando di meno di 100 infiltrati dell'IS in una popolazione migrante nel 2015 di quasi un milione e mezzo di persone".

Una situazione che mette in luce l’evoluzione del profilo del jihadista europeo, dai tempi degli attentati di Parigi: non più solo il simpatizzante dell’IS che non è mai stato in Siria, ma anche il foreign fighter che si reca all’estero apposta per organizzare un attentato; volti completamente nuovi e terroristi già noti alla polizia internazionale. 

Di fronte a una minaccia così diffusa, non funzionano le soluzioni semplici, come il divieto di accesso negli Stati Uniti per i cittadini musulmani proposto dal presidente americano Trump: “A mio avviso, la minaccia dell'infiltrazione di elementi dell'IS si affronta meglio con dei buoni sistemi di intelligence e di concessione dei visti, non con dei divieti generalizzati", dice Hegghammer. Quello che le istituzioni europee invece possono fare è “da un lato smantellare le reti che alimentano il terrore in Europa, fermando chi diffonde idee radicali e chi li sostiene; dall’altro bisogna investire nell’educazione nelle aree a più alta concentrazione di migranti, evitando l’immigrazione incontrollata di cittadini musulmani non-qualificati”.

Ma c’è un altro pericolo per la nostra democrazia, un “effetto collaterale” che Hegghammer ritiene particolarmente preoccupante: "Il mio consiglio è di non sottovalutare il modo in cui le minacce terroristiche percepite possono portare a risposte illiberali da parte dei governi. Se l'Europa dovesse essere soggetta a una serie di attacchi terroristici molto gravi, allora potrebbe succedere di tutto. Guardate la Francia; dopo gli attacchi a Parigi del 2015 hanno adottato leggi speciali che sono ancora in vigore, più di un anno dopo. Per me, questa è una delle ragioni per cui dobbiamo impegnarci seriamente nell'antiterrorismo. Se non lo facciamo, ci saranno grandi attentati, e i governi reagiranno in maniera eccessiva".


Giorgio Bonomi