A San Servolo l’inaugurazione di “Back to Life in Iraq”: le opere di Matti Al-Kanun, tra guerra e speranza

condividi
condividi

Venerdì 16 Marzo, a San Servolo, è giunto al termine un lungo percorso di collaborazione, partito dall’Iraq e arrivato fino a Venezia: è stata infatti inaugurata la mostra dell’artista iracheno Matti al-Kanun, dopo il restauro delle sue opere pugnalate dai miliziani dell’Isis, nella loro furia iconoclasta, perché di carattere religioso cristiano.

L’artista stesso era presente, accompagnato dal giornalista Emanuele Confortin, che ha incontrato per la prima volta nel marzo 2017 in un campo profughi iracheno. Proprio da questo incontro tanto casuale quanto significativo si è sviluppato il bellissimo progetto, che ha visto i due recarsi a Bartella, la città natale dell’artista appena liberata dall’Isis, per recuperare le tele rimaste, ed in seguito la collaborazione con il Center for the Humanities and Social Change di Ca’ Foscari, l’associazione culturale Nuova Icona, e San Servolo Servizi Metropolitani.

Queste associazioni hanno saputo riconoscere il grande valore del progetto, che racconta non solo la folle violenza dello Stato Islamico, ma anche il desiderio di un ritorno alla pace e all’armonia. L’artista infatti, una volta recuperate le opere, ha deciso di ricucirne i lembi come segno di resilienza alla guerra e alla violenza, e a simboleggiare un futuro riavvicinamento delle varie comunità irachene, disperse e divise a causa di una guerra che dura ormai da 15 anni; i segni della violenza subita non potranno essere cancellati, così come le ferite della guerra sulla terra e sulla popolazione, ma la speranza è di riuscire comunque a tornare a vivere insieme, in pace ed armonia.

La mostra è stata preceduta da un convegno, a cui hanno partecipato in moltissimi: ha aperto i lavori Fulvio Landillo, direttore generale di “San Servolo Servizi Metropolitani”, che ha sottolineato come questi eventi che parlano di speranza e futuro rappresentino la naturale vocazione dell’isola dove sono ospitati il Collegio di Merito di Ca’ Foscari, la Venice International University e la sezione distaccata dell’Accademia di Belle Arti: tutte istituzioni popolate da giovani, i quali devono essere ispirati proprio da questo tipo di storie.

Il professor Shaul Bassi, direttore del Center for the Humanities and Social Change, ha poi presentato il presidente della Humanities and Social Change International Foundation, Erck Rickmers, finanziatore del Centro di Ca’ Foscari e di altri tre centri “gemelli”, nati recentemente presso l’Università  Humboldt di Berlino, l’Università di Cambridge e l’Università di California a Santa Barbara. Nel suo intervento Rickmers ha sottolineato la responsabilità di professori e intellettuali verso la società, soprattutto in un momento tanto difficile e complicato come quello che stiamo vivendo. Il progresso ormai ha senso solo se coinvolge tutte le sfere del nostro vivere, e solo se è origine di un cambiamento concreto; il motto della fondazione è “Understand, Inspire, Change”, proprio a voler sottolineare l’importanza di un’azione reale, e di un impatto nella vita di tutti i giorni. L’attività di giornalista pertanto è vitale in questo contesto, perché non solo esamina e racconta i problemi più attuali, ma è capace di avere un grande impatto sull’opinione pubblica.

E sicuramente la storia raccontata da Emanuele Confortin è una di quelle che portano con sé un messaggio importantissimo: come lui stesso ha affermato nel suo intervento, l’atto dell’artista ha una valenza politica, un messaggio di speranza e fratellanza che, in un momento storico in cui prevalgono le narrazioni d’odio, è ancora più significativo.

Matti Al-Kanun in persona ha poi preso la parola per ringraziare Emanuele e tutti quelli che hanno partecipato a questo progetto, che gli ha permesso di realizzare il suo sogno di venire in Italia come pittore. Ha anche ricordato che Venezia, la città più famosa del mondo, è da sempre una città di apertura verso l’esterno, a culture e civiltà diverse.
Il suo interprete, Abdoul Jabbar Mustafa, è rappresentante legale della federazione Focsiv, che raggruppa organizzazioni non governative italiane di ispirazione cristiana attive nel campo della solidarietà con i paesi in via di sviluppo. Nel settembre 2014, pochi mesi dopo l’occupazione di Mosul da parte dell’Isis, le associazioni si sono occupate di assistere una mole impressionante di sfollati e profughi, fornendo assistenza in particolare alle donne, con corsi di formazione, assistenza medica e familiare. Focsiv si è occupata anche di fornire supporto ai giornalisti, per fare arrivare la voce di migliaia di persone oltre i campi profughi, ed ha collaborato quindi con Emanuele Confortin; “Back to Life in Iraq”, ha dichiarato Jabbar Mustafa, è sicuramente il progetto più bello e riuscito, perché la mostra racconta la cultura irachena, siriaca e curda, non tramite le immagini di violenza e terrorismo che vediamo tanto spesso, ma attraverso l’arte e la bellezza.

Sono intervenute alla conferenza anche Carlotta Sami, portavoce dell’UNHCR, e la professoressa Sara de Vido, che hanno affrontato temi importanti come il processo di accoglienza, la necessità di comprendere rifugiati e migranti nella loro dimensione umana, e la protezione del patrimonio culturale e di diritti umani dal punto di vista del diritto internazionale.
Il restauro delle opere di Matti al-Kanun è stato portato avanti anche da un team di studenti di restauro di Ca’ Foscari, coadiuvato dalle professoresse Elisabetta Zendri e Alessandra Carrieri, presenti alla conferenza con le studentesse Mara Bortolini, e Martina Donà. Insieme hanno raccontato la loro esperienza di restauro, la collaborazione dell’artista, e le sfide affrontate: dallo shock iniziale provato davanti a un attacco tanto brutale ad un messaggio artistico, all’entusiasmo di partecipare a un progetto unico nel suo genere; per la prima volta infatti si sono trovate ad affrontare un restauro con l’obbiettivo di rigenerare le opere senza cancellarne le ferite, e conservarne la memoria con la mente sempre rivolta al futuro di pace che esse rappresentano.

L’ultimo intervento della conferenza è stato quello di Vittorio Urbani, direttore dell’associazione “Nuova Icona”, e curatore per molti anni del padiglione della Repubblica d’Iraq alla Biennale di Venezia; anche in queste occasioni l’intenzione è stata quella di cambiare la narrativa dell’Iraq, troppo spesso incentrata su guerra e violenza.
Il motto di Nuova Icona è “Make Things Happen”, e un progetto come “Back to Life in Iraq”, oltre ad avere un grande valore artistico, rappresenta un impegno reale, ed è promotore di un cambiamento concreto.

A cura di Teresa Trallori