Ca’ Foscari 2018: centro mondiale della lingua giapponese

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Si è svolto quest'anno a Ca’ Foscari l’ International Conference on Japanese Language Education (ICJLE 2018). Per la prima volta il Global Network for Japanese Language Education, che unisce le 12 maggiori organizzazioni mondiali dei docenti di lingua giapponese, ha scelto una sede europea per organizzare il suo congresso internazionale (3-4 agosto 2018).

L’Italia e in particolar modo Ca’ Foscari non è stata una scelta casuale. Rappresenta il riconoscimento della straordinaria popolarità di cui gode il Giappone fra le nuove generazioni italiane e della capacità dell’Ateneo di saper intercettare e accompagnare il ‘Japan Dream’ del nuovo millennio, sulla scia dei rapporti storici che legano Venezia all’Asia, sin dai tempi pionieristici di Marco Polo.  «Ca’ Foscari ospita il più grande centro di studi nipponistici in Europa, assieme all’INALCO di Parigi e all’Università di Leida: quasi 1.800 studenti che studiano lingua giapponese, di cui circa 1.400 che si laureano in giapponese come prima lingua, sotto la guida di 14 docenti di ruolo, 6 a contratto e 10 esperti di madrelingua giapponese», ha illustrato il Rettore Michele Bugliesi durante la cerimonia di apertura all’Hotel Hilton Molino Stucky. «Nel 2012 abbiamo inaugurato il nostro primo Ca’ Foscari Desk proprio a Tokyo e siamo stati il primo ateneo italiano a firmare una convenzione con la Camera di Commercio e dell’Industria Giapponese in Italia, nonché a introdurre seminari di pedagogia critica della lingua giapponese per promuovere consapevolezza e sostenibilità sociale. In Europa siamo i primi ad aver sviluppato un sistema ipermediale di e-learning per l’apprendimento della lingua giapponese (JALEA) finanziato da Mitsubishi Corporation Europe, e da dicembre inauguriamo il Master di Global Business focalizzato interamente sul business Italia-Giappone».

Per organizzare la partecipazione al congresso, sono state sottoposte a doppio referaggio cieco 529 proposte (compresi panel, poster e interventi individuali): 183 valutatori esterni hanno infine accettato 310 domande, sia di gruppo che singole. Sono stati quindi selezionati complessivamente 476 relatori ed è stata raccolta l’adesione di 692 partecipanti registrati provenienti da 46 paesi diversi.  Sotto il tema più generale di “Dialogue for Peace” si sono svolte 16 sessioni in parallelo e due sessioni di poster, durante le quali si è discusso a 360° di lingua giapponese in ambiti molto eterogenei: scuola, università, ricerca applicata, editoria, e-learning, comunicazione interculturale, cultura aziendale, educazione linguistica per una cittadinanza globale, ecc.

Dialogo per la pace e cittadinanza globale
«Quando cerchiamo di vivere in una società civile e di rispettare persone che hanno valori diversi dai nostri, il dialogo risulta fondamentale. Ecco perché l’insegnamento delle lingue straniere è diventato sempre più vitale in termini sia pedagogici che interculturali. Questo vale non solo in ottica globale, ma anche in ambito locale o nazionale, dove viviamo purtroppo un periodo di particolare difficoltà nell’interazione non violenta con coloro che sono o sembrano diversi da noi» spiega l’organizzatrice del congresso Marcella Mariotti, docente di lingua giapponese a Ca’ Foscari, nonché presidente dell’Association of Japanese Language Teachers in Europe (AJE) e del Global Network for Japanese Language Education. «Il dialogo non può costruirsi solo su una conoscenza tecnica o teorica di vocaboli, suoni o grammatiche stranieri.  Presuppone piuttosto la formazione di una personalità in grado di esercitare al contempo partecipazione emotiva e consapevolezza critica che, come ci insegna Gramsci, si costruisce su un “conosci te stesso”: un prodotto del processo storico e personale che ha lasciato in noi un'infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. La nostra missione, o ambizione, è di contribuire nel nostro piccolo, attraverso anche l’insegnamento e l’apprendimento della lingua giapponese, alla crescita di relazioni più consapevoli, empatiche e quindi dialogiche fra noi stessi e gli altri, ai fini di una cittadinanza globale e pacifica».

Fra i temi più discussi si segnalano quelli inerenti ai principi della glottodidattica in tutto il mondo. Particolare attenzione è stata rivolta ai cambiamenti istituzionali in atto in Europa, dove l’insegnamento delle lingue è diventato un fronte sempre più strategico per rafforzare una cittadinanza europea che vorrebbe costruirsi sui valori dell’inclusione sociale, della comprensione reciproca e della promozione professionale.  In questo senso, Michael Byram (Durham University), uno dei ‘padri’ del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (CEFR), ha spiegato la filosofia pedagogica che ha portato ai principi che alimentano l’educazione linguistica europea. L’attuale quadro è utilizzato come parametro ufficiale in tutti i paesi membri e valorizza in particolar modo competenze riflessive e autonome di tipo pragmatico e sociolinguistico, per promuovere una società plurilinguistica e pluriculturale. In altre parole, una concezione sempre più estesa della competenza linguistica sta diventando, almeno in Europa, la base per sostenere i valori fondativi della sua stessa convivenza civile, tanto da essere stata ulteriormente implementata, come illustrato sempre da Byram, in riferimento alla stesura recente del primo quadro comune per le competenze di una cultura democratica (Competences for Democratic Cultures: Living together as equals in culturally diverse democratic societies, 2016).

Di contro, Adrian Holliday (Canterbury Christ Church University), uno dei keynote speakers, ha criticato gli impedimenti etico-ideologici dovuti all’incapacità di abbandonare essenzialismi linguistici e culturali, ancora radicati in ambito istituzionale, accademico e del senso comune. Nonostante il diffondersi di una crescente sensibilità multiculturale e fascino dichiarato verso gli ‘altri’, compreso quello verso la lingua e cultura giapponese, si tratterebbe spesso di approcci basati sulla convinzione che culture, lingue o nazioni possano essere riconducibili a delle essenze, a dei principi intrinseci, unitari, immutabili che finiscono per escludersi a vicenda. Piuttosto che un modo aperto, inclusivista ed egualitario di rapportarsi con gli altri, Holliday definisce l’essenzialismo culturale come una forma postmoderna ed eurocentrica di razzismo culturale. Esso sostituisce quello moderno e colonialista di tipo (pseudo)biologico, continuando sotto spoglie diverse a essere funzionale per ribadire confini netti e rassicuranti fra lingue, culture e persone, fra il  ‘noi’ e gli ‘altri’. Il superamento di confini, distanze e conflitti non sarebbe invece possibile senza mettere in discussione in primo luogo anche se stessi, ovvero, senza la piena accettazione dell’ambiguità e dell’ibridità costitutive di ogni incontro interculturale.

Istituzioni nazionali giapponesi e italiane
Oltre ai dibattiti teorici intorno ai temi della cittadinanza globale e del dialogo per la pace, il congresso ha offerto una vasta panoramica di case studies sull’insegnamento e sulla diffusione della lingua giapponese in ambiti regionali e contesti molto diversi.  Da quelli più consolidati nei paesi asiatici, nordamericani e in Australia, a quelli più o meno stabili in Europa, ad altri come in Etiopia dove l’insegnamento avviene in condizioni di estrema difficoltà. Comprensibile quindi anche l’interesse dei rappresentanti delle istituzioni nazionali giapponesi, i quali hanno colto l’occasione per documentarsi sull’attuale stato dell’arte. Da parte giapponese, oltre al Console Generale del Giappone in Italia Yuji Amamiya e al Direttore dell’Istituto di Cultura Giapponese in Italia Masuo Nishibayashi (Japan Foundation), hanno fatto visita al congresso una delegazione di parlamentari, guidati da Jun Matsumoto (Partito Liberaldemocratico) e da Koichi Yamauchi (Partito Democratico). Di fronte alle difficoltà istituzionali nel soddisfare pienamente l’enorme interesse globalizzato per la lingua e cultura giapponese, rese ancora più evidenti da investimenti governativi inferiori rispetto a quelli elargiti generosamente dai vicini asiatici per la loro diplomazia culturale, come la Cina o la Corea del Sud, i deputati hanno promesso alla presenza di centinaia di studiosi di impegnarsi nel riferire in Parlamento quanto emerso dal congresso, ovvero, la passione per la lingua giapponese in tutto il mondo e il grande impegno degli addetti ai lavori, affinché anche il governo giapponese possa incrementare i finanziamenti destinati alla sua promozione e crescita.

Da parte istituzionale italiana invece, di fronte alla quasi totale assenza della lingua giapponese nelle scuole, è stata significativa la presenza dell’Ispettrice Nazionale del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR- Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione) dott.ssa Diana Saccardo in visita al congresso per documentarsi della situazione negli altri paesi europei. Lo scopo era quello di avviare finalmente la progettazione di un primo sillabo ministeriale, un quadro di riferimento per l’insegnamento della lingua giapponese nelle scuole secondarie di II grado. Va segnalato infatti il ritardo italiano in Europa, dove la lingua giapponese è ormai una presenza consolidata nel curriculum delle scuole medie superiori di molti paesi (Francia, Ungheria, Germania, Irlanda), ma anche il ritardo in Italia rispetto allo statuto curriculare della lingua cinese, della quale esiste già dal 2016 un sillabo ministeriale, con 279 scuole che hanno attivato classi di lingua e cultura cinese (dati Fondazione Intercultura–Ipsos, 2017).  

«Da molti anni (da prima del 1992 quando sono entrato come ricercatore e responsabile dell’insegnamento della lingua giapponese a Ca’ Foscari) assistiamo in Italia a una notevole crescita d’interesse per le lingue dell’Asia Orientale, come il cinese, il coreano, ma soprattutto il giapponese» spiega Bonaventura Ruperti, docente di lingua giapponese e delegato alla didattica del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea.  «Da anni, il numero più alto di richieste di immatricolazione alle lauree triennali offerte dal nostro dipartimento riguarda proprio il Giappone. L’anno scorso abbiamo avuto per i test d’accesso 694 candidati rispetto ai 270 posti programmati per il curriculum Giappone, di fronte a 510 candidati per i 270 posti del curriculum Cina e a 259 candidati per gli 80 posti del curriculum Corea. Da un lato, è un vero peccato che non siamo in grado di soddisfare appieno tutte queste richieste che provengono dai giovani di tutta l’Italia. D’altro canto, questo congresso mondiale è la prova evidente dello straordinario impegno scientifico e organizzativo messo in campo da parte dei miei colleghi di lingua giapponese, ma tutti noi ci troviamo esposti a un sovraccarico di lavoro proprio nella didattica quotidiana. Nonostante l’introduzione recente del numero programmato, rimane ancora molto critico il rapporto numerico fra i docenti di ruolo rispetto agli studenti del curriculum Giappone: 1 docente per più di 100 studenti, addirittura più del doppio rispetto alla media nazionale nelle classi dei corsi di laurea in lingue e culture moderne e da quanto fortemente auspicato dal nostro Ateneo».

Mondo delle imprese, risorse umane e fundraising
Altrettanto significativa è stata la presenza di dirigenti del mondo imprenditoriale giapponese, i quali hanno contribuito attivamente alle discussioni, confrontandosi con studiosi di economia giapponese e docenti di Business Japanese. Il presidente della Camera di Commercio e dell’Industria Giapponese in Italia Kaneyuki Iseda (MUFG BANK, LTD. – Milano Branch, Direttore Generale) e il Presidente di Mitsubishi Italia S.p.A. Maki Hosoda hanno presentato i risultati delle proprie ricerche, basati su questionari e analisi sui temi delle risorse umane e le competenze più richieste fra gli operatori giapponesi in Italia e nel mondo. In linea con i parametri del Quadro comune europeo (CEFR), emergono complessivamente necessità analoghe per la formazione professionale.

Se da una parte la conoscenza della lingua giapponese è molto apprezzata assieme a quella dell’inglese, risultano altrettanto fondamentali competenze complementari, sia legate al lavoro in ufficio, di tipo amministrativo o di tipo più specialistico; sia di tipo plurilinguistico e interculturale per saper mediare e tradurre in modo flessibile le necessità dell’azienda giapponese nei contesti più differenti, che possono variare notevolmente in Italia o in altre regioni su scala globale.

Di particolare interesse è la conferma della tendenza crescente, soprattutto dei grandi gruppi giapponesi, a voler incrementare il loro organico di personale straniero per affidargli, nelle varie sedi nel mondo, non più solo compiti subordinati di tipo tecnico o ausiliario, compreso quello di solo interpretariato o traduzione linguistica, ma ruoli più attivi con maggiore responsabilità di tipo manageriale, amministrativo e relazionale, che richiedono quindi il tipo di competenze linguistiche in senso più esteso, promosse anche dal Quadro comune europeo.

Questa partecipazione imprenditoriale di alto livello ha offerto anche l’occasione per ridimensionare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il mondo accademico tradizionalmente distante da quello del mercato; o per sfatare il mito diffuso nello specifico ambito italiano, che studiare giapponese non consenta poi di trovare lavoro, soprattutto nelle aziende. Nel caso delle multinazionali giapponesi, è evidente non solo l’interesse crescente per assumere studenti italiani qualificati con buona conoscenza della lingua giapponese, ma anche l’investimento nei confronti della ricerca accademica. Per esempio, Mitsubishi Corporation non solo ha assunto in Italia diversi laureati cafoscarini di lingua giapponese, ma finanzia dal 2016 il progetto JALEA: una piattaforma ipermediale per l’insegnamento e l’apprendimento della lingua giapponese, ideata dai ricercatori di Ca’ Foscari per sfruttare al meglio le innovazioni multimediali e digitali più recenti in ottica di e-learning e lifelong learning.  

Inoltre, per la realizzazione stessa di un congresso di queste dimensioni, comprendente anche 2 simposia e un workshop dottorale, si è reso necessario un budget impegnativo (ca. 200.000 euro), coperto in buona parte dalle quote d’iscrizione dei partecipanti, ma soprattutto avviando una lunga e capillare attività di fundraising da parte degli organizzatori che è riuscita ad intercettare contributi consistenti per circa la metà dei costi complessivi.  Fra i numerosi finanziatori compaiono non solo istituzioni, enti o aziende nipponiche interessate alla promozione della lingua giapponese, fra i quali la Japan Foundation, la Hakuho Foundation e l’organizzazione no-profit Shoyu Club di Tokyo, ma anche aziende italiane attive sul territorio. E’ il caso della catena di ristorazione Majer, che grazie all’iniziativa del suo presidente Fabrizio De Nardis, ex-amministratore delegato Benetton in Giappone, ha introdotto a Venezia assieme al suo staff nippo-italiano diversi prodotti giapponesi (polpette di riso onigiri o carne di Kobe wagyu) ed è stato, oltre che responsabile del catering, uno dei due sponsor maggiori del congresso.

In questa ottica, è particolarmente incoraggiante per il futuro segnalare il recente accordo di libero scambio siglato a luglio 2018 fra l’Unione Europea e il Giappone, che dischiude opportunità finora impensabili per i rapporti Italia-Giappone, alla luce anche delle 14.921 aziende in Italia che già esportano i loro prodotti verso il Paese del Sol Levante.

Ricerche in Giappone e all’estero
A parte alcuni temi di rilievo presentati in precedenza, risulta arduo riassumere centinaia di relazioni su innumerevoli filoni specifici di ricerca legati alla lingua giapponese e al suo insegnamento in tutto il mondo e in contesti così eterogenei.  Si riportano solo a titolo esemplificativo due filoni, uno ispirato a una metodologia di tipo più consolidato e quantitativo, soprattutto in Giappone, l’altro di tipo più critico e qualitativo, sviluppato in contesto anglofono. 

Il primo filone è rappresentato dalle "NINJAl Lecture series", tenute da Mayumi Usami e Makoto Yamazaki inviati dal National Institute for Japanese Language and Linguistics (NINJAL), il più importante centro di ricerca in Giappone sulla lingua giapponese. Gli interventi erano mirati a presentare approcci quali la discourse analysis e la linguistica dei corpora e a interrogarsi su nuove prospettive interdisciplinari per la loro applicazione al campo della glottodidattica. A questo fine sono stati illustrati fra gli altri il Natural Conversation Resource Bank (NCRB) e lo  Spontaneous Conversation Corpus (BTSJ-Corpus) con 7,5 milioni di termini sviluppato da NINJAL, NICT e il Tokyo Institute of Technology. Quest’ultimo corpus è utilizzato per un'ampia varietà di ricerche: processing, elaborazione del linguaggio naturale-NLP, fonetica, psicologia, sociologia, didattica della lingua, e compilazione di dizionari.

Il secondo esempio, il panel “Semiotic Landscapes and Critical Language Education” è stato presentato da Yuri Kumagai (Smith College), Emi Otsuji (University of Technology Sydney) e Shinji Sato (Princeton University), un gruppo di studiosi che hanno sviluppato le loro ricerche sulla lingua giapponese in contesti anglofoni e plurilinguistici.  Il loro progetto ancora in fieri riguarda l’ambito della metodologia qualitativa intesa a interrogare l’applicazione del concetto semiotico-ecologico del linguistic landscape ai fini di un apprendimento più critico e socialmente consapevole. 

Il presupposto della nozione di linguistic o semiotic landscape è che il ‘linguaggio’ non sia da intendere come una proprietà o competenza individuale del singolo o imposta da qualche istituzione dominante. Il linguaggio sarebbe piuttosto un processo che emerge da attività quotidiane locali come parte di un’ecologia semioticamente integrata e fluida, che comprende quindi aspetti extralinguistici, come immagini, suoni, odori, oggetti, movimenti, spazi, ecc. Lo scopo è quindi di esplorare le possibilità di un’educazione linguistica di tipo ecologico-semiotico volta a valorizzare le potenzialità attive dei discenti (learners), affinché diventino loro stessi attori (landscape actors) in grado di integrare al meglio competenze di tipo plurilinguistico e interculturale e contribuire quindi a relazioni sociali più inclusive, creative e responsabili verso il prossimo e l’ambiente.

Docenti e studenti del comitato organizzativo locale DSAAM

38 fra docenti, ‘lettrici’ o CEL e studenti di lingua giapponese del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea (DSAAM), ovvero i protagonisti in prima linea dell’apprendimento, dell’insegnamento e della ricerca della lingua giapponese a Venezia, hanno partecipato, in molti casi per la prima volta, all’organizzazione di un congresso mondiale come l’ICJLE 2018. Un lavoro iniziato ormai due anni fa nel 2016 e comprensibilmente molto impegnativo, ma anche ricco di esperienze importanti.

«La gestione di un programma così ampio è stata estremamente complessa. È stato un piacere occuparmi del programma di quello che è stato uno dei più grandi convegni tenuti finora a Ca' Foscari» illustra Giuseppe Pappalardo, neo-ricercatore di lingua giapponese e membro del comitato esecutivo locale. «Abbiamo avuto interventi che trattano le nuove tecnologie e l'apprendimento linguistico, altri si sono incentrati sulla fonetica e la pronuncia, altri ancora hanno avuto come tema la pedagogia critica, o l'approccio psicologico-cognitivo, quindi l'approccio del docente nei confronti degli studenti e degli studenti nei confronti del docente. Si tratta quindi di un congresso che ha guardato alla glottodidattica della lingua giapponese a 360 gradi. Spero in futuro di poter a mia volta organizzare un convegno che possa esserne all'altezza».

«Imparare una lingua significa andare incontro a una cultura diversa ed è strettamente collegato con il ri-conoscere anche la propria. Anche come insegnante, insegnare significa conoscere l'Altro. Credo che questa relazione reciproca sia veramente fondamentale» spiega Yoshie Nishioka, CEL di lingua giapponese. «Ciò che mi è rimasto più impresso durante il congresso è la necessità di considerare non più la 'cultura' come qualcosa che s’insegna, una conoscenza da impartire, ma che si debba prendere nuovamente in considerazione, in senso molto più ampio, la relazione stessa fra ‘lingua’ e ‘cultura’».

«L'organizzazione e la partecipazione al PhD workshop, per il quale abbiamo selezionato 20 dottorandi, sono state davvero preziose. Mi hanno permesso di concentrarmi maggiormente sull'approccio metodologico, fondamentale per qualsiasi argomento di ricerca, e quindi di poter vedere l'intero percorso dottorale da una prospettiva molto più ampia e non limitata al singolo case study di cui mi occupo [computer assisted language learning e glottodidattica della lingua giapponese]» dichiara Alessandro Mantelli, dottorando a Ca’ Foscari e membro del comitato organizzativo, nonché coordinatore del PhD workshop ICJLE. «Ho avuto inoltre la possibilità, di confrontarmi con neo-dottorati di diverse parti del mondo (Thailandia, Giappone, Svezia, Italia, ecc.) che hanno appena iniziato a lavorare in ambito accademico. Questo mi ha consentito di capire meglio i diversi meccanismi di selezione che si applicano nei vari paesi, e quindi, di ‘ampliare i miei orizzonti’ sotto tutti gli aspetti, quello lavorativo incluso».

«Per Ca’ Foscari il congresso è stato senza dubbio un’opportunità straordinaria. Più di 600 persone provenienti da tutto il mondo si sono date appuntamento per più giorni nel nostro ateneo. Ritengo che il fatto che il nome di Ca’ Foscari, assieme ai suoi docenti e studenti, venga riconosciuto così tanto all'estero, sia fondamentale per noi e il nostro futuro» illustra Natalia Francesca Sinatra, studentessa al primo anno di laurea magistrale e co-responsabile insieme a Giulia Sicignano dello staff studenti. «Noi studenti abbiamo avuto la possibilità di conoscere personalmente dirigenti di importanti aziende operanti nel mondo del business giapponese in Italia e di ascoltare in prima persona quali siano i bisogni e le aspettative nei nostri confronti. Tutto questo sarà senz’altro un valore aggiunto per il nostro futuro di professionisti in fieri nel campo del business, del giapponese e della comunicazione interculturale».

«Il più grande insegnamento che ho ricevuto, e di cui sono molto grato, è che siamo tutti ‘umani’; nel senso che anche personalità di alto calibro o carisma, come consoli, parlamentari, presidenti aziendali, studiosi di fama mondiale, sono tutti qui per imparare, piuttosto che per giudicare» rivela Matteo Nassini, studente al primo anno triennale, staff e collaboratore per la redazione del programma. «Questo mi ha dato il coraggio per superare le timidezze e reticenze autoreferenziali che incatenano spesso noi studenti, per riuscire invece a collaborare con i nostri docenti e rinomati studiosi. Il congresso ha contribuito a farci sentire parte attiva nell’evoluzione dell’università in cui studiamo, responsabili di quanto vogliamo costruire per noi e i futuri colleghi. 'Fare insieme', contribuire al miglioramento sociale attraverso occasioni come queste, andando oltre il voto di esame o la perfetta conoscenza grammaticale di una lingua, per pensare meglio a come relazionarci alla lingua giapponese e alle persone che in tutto il mondo la parlano».

Quest’anno l’Ateneo celebra il 150° anniversario dalla sua nascita con il motto “Ca ‘ Foscari 1868-2018: aperti al mondo - open to the world”. L’ International Conference on Japanese Language Education (ICJLE 2018) è stato uno dei numerosi appuntamenti che hanno portato il mondo a Ca’ Foscari, anche se solo per alcuni giorni. L’auspicio è che questo sia solo l’inizio per crescere tutti insieme e migliorarci proprio grazie alle differenze linguistiche o culturali, per poter offrire in futuro contributi ancora più importanti per un mondo di dialogo e pace.

A cura di Toshio Miyake