La pensione salva gli operai dalla depressione

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© CEphoto, Uwe Aranas via Wikimedia Commons
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Negli anni della crisi economica, la pensione diventa una sorta di antidepressivo per gli operai europei. Lo rivela uno studio sull’impatto del pensionamento sulla salute mentale degli ultracinquantenni condotto da economisti dell’Università Ca’ Foscari Venezia e pubblicato sulla rivista Health Economics.

I ricercatori Michele Belloni, Elena Meschi e Giacomo Pasini sono giunti a questo risultato analizzando i dati di 120mila europei raccolti da specifiche indagini periodiche (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe).

Si tratta della prima ricerca sul tema ad analizzare il fenomeno durante un periodo di crisi, durante il quale il pensionamento può essere vissuto come un agognato sollievo da condizioni di precarietà e incertezza.

Lo studio ribalta le conclusioni di ricerche precedenti che ipotizzavano invece effetti negativi sulla salute mentale legati alla vita da pensionato, ma non prendevano in considerazione l’impatto della crisi.

I ricercatori cafoscarini notano che l’effetto positivo del pensionamento riguarda in particolare i ‘colletti blu’ maschi.

«Tra gli operai giunti agli ultimi anni di vita lavorativa si osserva un peggioramento dello score di salute mentale e un aumento della probabilità di cadere in depressione dovuti al crescente rischio di perdere il lavoro e non trovare una nuova posizione», spiega Giacomo Pasini, professore al Dipartimento di Economia di Ca’ Foscari.

I ricercatori non azzardano invece interpretazioni sul perché il pensionamento non favorisca un sollievo anche per le donne.

La depressione costa 118 miliardi di euro ai sistemi di sanità pubblica europei. Alla luce dello studio, dunque, l’effetto anti-stress del pensionamento si candida ad entrare nel conto della sostenibilità dei sistemi di welfare.

«I legislatori che puntano a un aumento dell’età pensionabile - concludono i ricercatori - dovrebbero considerare il possibile impatto in termini di diseguaglianze perché i costi dovuti al peggioramento della salute mentale colpirebbero in modo sproporzionato i lavoratori meno qualificati».

 

Enrico Costa