Quando il sapere divenne democratico (anche per le donne): Aristotele nel Rinascimento

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Federico Barocci, Quintilia Fischieri, probably c. 1600, National Gallery of Art, Washington, DC, Samuel H. Kress Collection

Le traduzioni di Aristotele dalle lingue classiche a quelle vernacolari resero per la prima volta accessibili filosofia e scienza al di fuori delle cerchie elitarie di professori universitari, intellettuali e religiosi, detentori del sapere prevalentemente diffuso in greco e latino. I nuovi lettori erano ingegneri, architetti, artigiani, artiglieri, navigatori, mercanti, legnaioli, speziali, scultori, pittori, carpentieri, giovani, vecchi, persino fanciulli.

Fra questo nuovo pubblico uno spazio speciale era riservato alle donne, alle quali erano dedicate e destinate opere di etica, metafisica e filosofia naturale. Questo nuovo accesso al sapere permise alle donne di essere non solo fruitrici di cultura, ma anche raffinatissime filosofe, come nel caso di Tullia d’Aragona e Camilla Erculiani.

A far luce su queste storie finora poco studiate è Marco Sgarbi, professore associato di Storia della filosofia all’Università Ca’ Foscari Venezia, dove sta conducendo una ricerca finanziata dallo European Research Council (ERC Starting Grant) proprio sulla volgarizzazione di Aristotele nel Rinascimento. Titolo del progetto è Aristotle in the Italian Vernacular: Rethinking Renaissance and Early-Modern Intellectual History (c. 1400-c. 1650).

In un articolo pubblicato nella prestigiosa rivista accademica Renaissance and Reformation / Renaissance et Réforme, lo studioso indaga le intenzioni dei ‘volgarizzatori’ e apre nuovi interrogativi di ricerca sull’impatto del fermento culturale che contribuì a rivoluzionare il pensiero e la società nel Cinquecento e nei secoli a venire.

“Nonostante l’alfabetizzazione fosse ancora limitata, le lingue volgari divennero potenti strumenti di emancipazione e innovazione - commenta Sgarbi -. Traducendo Aristotele dal greco e dal latino, i filosofi intendevano diffondere la cultura in ogni strato sociale. E’ difficile sapere quanto gli intenti dei volgarizzatori furono attesi e quante persone effettivamente fruirono di questi scritti, ciò che è certo è che nacque una nuova consapevolezza, quella che il sapere è potere, un potere che non può essere esclusivo di una piccola cerchia, affinché vi sia un reale progresso della conoscenza. E questo è il principio cardine del pensiero scientifico moderno”.

La vasta e sistematica operazione di ‘democratizzazione’ del sapere fu attuata a partire dagli anni Quaranta del Cinquecento da intellettuali come Sperone Speroni, Bernardo Segni e Alessandro Piccolomini, attenti a promuovere ai ceti più bassi della popolazione idee filosofiche spesso molto complesse.

Dalle botteghe artigiane alle accademie private, dalle tipografie alle letture pubbliche, in pochi anni si moltiplicarono le occasioni di contatto tra la popolazione e gli scritti filosofici. Alle figure di donne intellettuali e filosofe che emersero in questo contesto sarà dedicata una ricerca specifica per la quale sono aperte le selezioni di un ricercatore post-doc al Dipartimento di Filosofia e Beni culturali di Ca’ Foscari.

Enrico Costa