Informatica umanistica, una nuova prospettiva

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Scienze umanistiche e informatiche: ambiti di ricerca e applicazione il cui incontro è più recente di quanto potrebbero farci credere le abitudini digitali odierne, al centro di crescenti interessi professionali e stimolo per nuovi percorsi di formazione.

Paolo Mastandrea, ordinario di Latino a Ca’ Foscari e coordinatore dell’evento Testi latini e strumenti digitali. Prospettive della ricerca svoltosi il 23 maggio presso il Dipartimento di Studi Umanistici a Palazzo Malcanton Marcorà, si occupa di creare archivi di testi elettronici cui si applicano motori di ricerca e di comparazione fra testi, allo scopo di effettuare indagini “intertestuali”, linguistiche, filologiche, stilistiche non altrimenti consentite sopra materiali a stampa su supporto cartaceo.

Tecnologie e risorse digitali: strumenti o sostituti?
“La possibilità di accedere a grandi depositi di testi consultabili da studiosi di ogni nazione, provenienti da luoghi di formazione, esperienze e discipline diverse, ha costituito la prima spinta verso lo sviluppo delle applicazioni digitali all’edizione, all’esegesi e alla filologia dei testi. Ma l’opportunità maggiore non consiste solo nello strumento in sé, quanto nelle relazioni che esso sa mostrare nel confronto tra testi plurimi, e nel favorire l’incontro fra studiosi e specialisti di discipline lontane però comunicanti, e potenzialmente complementari nella risoluzione dei problemi sul tappeto.
Non si tratta quindi solo di testi digitalizzati, né di banche dati finalizzate alla consultazione, perché solo l’edizione critica digitale può rappresentare nei minimi dettagli la formidabile complessità di un testo. Prendiamo il caso di opere destinate al teatro. Ha presente i libretti d’opera settecenteschi? Ai tempi del Metastasio o di Goldoni, forse ogni messa in scena era diversa dalla precedente, e ne resta traccia dai libretti a stampa. Nessuno potrebbe in un libro stampato descrivere la situazione della variantistica quando i testimoni si contano a decine. Il progetto più recente, da sviluppare assieme ai Colleghi di Buffalo, SUNY, si chiama “Tesserae Musivae. A Common Infrastucture for digital approaches to Classical Intertextuality”, finanziato dalla Mellon Foundation come innovativo “Transatlantic project” (2016) attraverso la mediazione della Fondation Maison des Sciences de l’Homme di Parigi ()”.

Che cosa cambia in tempi di filologia elettronica? 
 “Se prima il compito del filologo consisteva principalmente nella raccolta di dati, adesso la responsabilità è più complessa: si tratta innanzitutto di un lavoro a monte, nell’ideazione di percorsi di ricerca; in secondo luogo, nella modalità di ricerca, dalla quale dipenderanno i dati filtrati dalla ‘macchina’, e dalla lettura che ne darà lo studioso. Se vogliamo, il filologo odierno ha possibilità ma anche oneri maggiori, e questo spesso suscita perplessità in alcuni ricercatori legati a forme di indagine condotte secondo schemi consolidati da secoli".

Si può parlare di informatica umanistica oggi?
“Credo che non sia facile trovare studiosi che uniscano in sé le abilità ingegneristiche e tecnologiche con le competenze culturali dell’umanista pluridisciplinare: per sviluppare progetti di ricerca ambiziosi e di ampio raggio, dal valore garantito e certificato, occorre mettere a lavorare a stretto contatto molte persone e per periodi lunghi: l’esperienza congiunta rimane tuttora imprescindibile, ma proprio da queste combinazioni e collaborazioni (anche nei nuovi percorsi di studio) potranno sortire figure sensibili alle esigenze di ricerca altrui, capaci di ‘inventare’ strumenti raffinati e adattabili alle singole discipline”.

Intervista raccolta da Hélène I. Duci