Il servizio buono della nonna racconta la società del Novecento?

condividi
condividi

Durante scavi archeologici nell’Isola di San Giacomo in Paludo, tre giovani ricercatrici cafoscarine si sono trovate di fronte a recipienti segnati con simboli, a prima vista incomprensibili, dalle monache medievali che li utilizzavano.

Lettere, croci e altri segni, quasi sempre diversi, raccontavano di un reciproco scambio tra l’oggetto e la comunità monastica. Le monache acquistavano e modificavano l’oggetto, che a sua volta condizionava la vita quotidiana di chi lo utilizzava.

Questo episodio ha innescato riflessioni sulla relazione tra le comunità e gli oggetti “di tutti i giorni”. Riflessioni che le tre ricercatrici hanno voluto condividere con studiosi di ceramica medievale, moderna e contemporanea da dieci Paesi, raccogliendo 37 storie diverse, vissute in luoghi e da comunità differenti, distanti nel tempo e nello spazio.

“Il servizio buono di nostra nonna può raccontarci la storia sociale del secolo scorso?” è la domanda da cui sono partite Margherita Ferri, Cecilia Moine e Lara Sabbionesi, del Dipartimento di Studi Umanistici. La risposta è ora disponibile nel volume “In&Around. Ceramiche e comunità” (a cura di Margherita Ferri, Cecilia Moine, Lara Sabbionesi, Firenze 2016), contenente gli atti di un convegno organizzato nel 2015 dall’Association pour l’étude des céramiques Médiévales et Moderne en Mediterranée, in collaborazione con il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia.



Ricercatori israeliani hanno ricostruito dagli oggetti in uso, dai piatti ai mattoni, le scelte dei gruppi che abitavano la regione. Le monache francesi di Santa Maria di Gerusalemme, ad esempio, si rifornivano esclusivamente dalla patria di origine. Altri avviavano nuove fabbriche in Terra Santa, per avere un servizio di piatti di suo gusto. Nella vicina Jaffa, invece, frugando tra i rifiuti della polizia turca si sono trovate quasi esclusivamente pipe e tazzine da caffè.
 
Il libro racconta non solo le scelte di chi ha utilizzato gli oggetti, ma anche di chi li ha prodotti e reinventati. Esemplare in questo senso l’avventura di Dante Milani il quale nel 1919 prese in gestione una fornace a Montopoli Val d’Arno (Pisa) e con l’intraprendenza e la creatività di un designer d’avanguardia, diede vita ad una fiorente produzione di oggetti di lusso, vero e proprio melting pot di esperienze visive, tra tradizioni locali e libera interpretazione dell’antico.
 
«La funzione degli oggetti non è stabile nel tempo e il loro significato influenza ed è allo stesso tempo determinato da chi li utilizza – spiegano le ricercatrici cafoscarine -. Il libro aiuta a vedere attraverso gli oggetti quotidiani di ieri la complessità delle società e dei loro simboli, che rimane spesso altrimenti invisibile. Ci piace immaginare che dopo la lettura del libro cambi il nostro modo di guardare un’apparentemente semplice tavola apparecchiata».