Guida pratica al cinema (pan)indiano - prima puntata

Nel subcontinente indiano si sono sviluppate diverse cinematografie nei diversi stati che lo compongono. Il cinema hindi non è legato a uno stato particolare, come non lo è la lingua hindi stessa, divenuta nel corso dei secoli lingua franca soprattutto del nord e oggi lingua ufficiale dell'India. Anche il cinema hindi è, se non "nazionale", almeno panindiano, carattere che si afferma con il primo film sonoro, in cui è già presente un tratto distintivo: le canzoni.

GUIDA PRATICA AL CINEMA (PAN)INDIANOPrima puntata: Qui comincia l'avventura

 

Premessa
L'India - that is Bharat, come legge la Costituzione - è una Unione di Stati, caratterizzati da lingue e culture spesso molto diversificate, pur se con tratti comuni. Per questo non è corretto parlare di "cinema indiano", ma di "cinema indiani", ovvero dei cinema che si esprimono nelle lingue, nelle culture e nelle forme delle tante regioni del subcontinente.

Poi c'è il cinema hindi, che costituisce il settore più rilevante di questa industria, in termini di diffusione e di influenza, ma non è legato a uno stato o a una regione particolare, come non lo è la lingua hindi stessa. Questa, evolutasi nella zona di Delhi come lingua di fortuna da una base locale con apporti diversi (in parte indigeni e in parte arabi, persiani, turchi e altro), è diventata nel corso dei secoli lingua franca dell'India del nord e come tale si è estesa anche ad altre zone. Scelta - per queste caratteristiche, ma in forma sanscritizzata - come lingua ufficiale dell'Unione, la zona in cui è maggiormente diffusa continua ad essere l'India settentrionale.

Anche il cinema hindi si sviluppa con l'apporto di energie di diversa provenienza, di diversa lingua, cultura, religione; privo di una caratterizzazione specifica, è per così dire "bastardo", ma sincretico e, se non proprio "nazionale", certamente PANINDIANO, in quanto riconoscibile, almeno in alcune sue parti, in tutta l'India, benché la presenza di elementi centro-settentrionali sia maggioritaria.*

Shrī Krishna janma (1918)
La nascita del cinema
Gli spettacoli dei Lumière erano stati presentati a Bombay il 7 luglio 1896, destando l'interesse di diverse figure, quali Harishchandr S. Bhātvadekar (n. 1868), titolare di uno studio fotografico, che aveva realizzato i primi filmati indiani (The Wrestlers, 1899; Return of Wrangler Paranjpye, 1901; Delhi Durbar of Lord Curzon, 1903). Tra gli altri pionieri: il bengalese Hīrālāl Sen (1866-1917), che nel 1898 fonda a Calcutta la Royal Bioscope Company, realizzando le riprese filmate di spettacoli come Ali Baba and Forty Thieves (1904) e documentari di interesse storico come la visita di Giorgio V (Grand Delhi Coronation Durbar and Royal Visit to Calcutta, 1912); e Jamshedjī Frāmjī Madan (1856-1923), che fonda agli inizi del ‘900 la Elphinstone Bioscope Company, diventata nel 1919 Madan Theatres, per documentare eventi importanti come The Great Bengal Partition Movement & Procession (1905), Bal Gangadhar Tilak's Visit to Calcutta & Procession (1906) e Delhi Durbar & Coronation (1911).

Il primo film indiano vero e proprio è Rājā Harishchandr (Il re Harishchandr), che viene presentato il 3 maggio del 1913 al Coronation Theatre di Bombay. Il regista è Dhundhirāj Govind Phālke (1870-1944), brahmano del Maharashtra, che dopo tre anni di tentativi riesce a realizzare il sogno di vedere sullo schermo le vicende degli dei e degli eroi della mitologia indiana. Com'era consuetudine in diverse forme di spettacolo, anche nel primo film i ruoli femminili vengono interpretati da uomini. Annā Sālunke, un giovane cuoco dai lineamenti gentili, è la prima "eroina" del cinema indiano.

Il successo di Rājā Harishchandra, ispirato a un racconto del poema epico Mahābhārat, permette a Phālke di realizzare diverse altre opere di soggetto mitologico, che è anche il primo "genere" che si sviluppa. Tra queste: Bhasmāsur Mohinī (1914), in cui per la prima volta recita una donna, Kamlābāī Gokhle, all'epoca tredicenne; Shrī Krishn janm (La nascita del dio Krishn, 1918); e Kāliyā mardan (L'uccisione del serpente Kāliyā, 1919), due episodi - questi ultimi - che riguardano l'infanzia del dio Krishn (considerato incarnazione di Vishnu), impersonato in entrambi i casi dalla figlia del regista, Mandākinī, che allora ha 7 anni.

Oltre a Phālke, altri cineasti contribuiscono alla crescita del nuovo medium, che si sviluppa velocemente, principalmente in Maharashtra e Bengala, e si realizza nell'ambito di diverse compagnie di produzione che vedono all'opera i registi che forniscono l'ossatura al cinema indigeno. Inizia così l'epoca dello studio system, che caratterizza i primi decenni di evoluzione.

Tra le prime grandi compagnie del Maharashtra: la Maharashtra Film Company, fondata a Kolhapur nel 1917 da Bābūrāv Pentar ("Painter", 1890-1954), pittore, scultore e regista. Con lui lavorano altri registi e tecnici destinati poi a staccarsene per creare i propri domini: sono Vankudre Shāntārām (1901-90), Vishnupant Govind Dāmle (1892-1945) e Shaikh Fatahlāl (o Fattelāl, 1897-1964), che nel 1929 fondano (insieme ad altri due soci) la Prabhat Film Company a Puna. Successivamente, anche loro si dividono, Shāntārām da una parte e Dāmle-Fatahlāl dall'altra. Una figura importante, ancora del Maharashtra, è Himānshu Rāy (1892-1940) che lavora con un co-produttore tedesco, Peter Ostermayer, il cui fratello Franz Osten dirige molti film per H. Rāy (Prem sannyās, Rinuncia d'amore, o The Light of Asia, 1925; Shirāz o Loves of a Mughal Prince, 1928; Prapanch pāsh, I lacci dell'illusione, o A Throw of Dice, 1929). Nel 1935 Himānshu Rāy fonda la grande compagnia Bombay Talkies.

La primogenitura del primo film bengalese, Bilvamangal (o Bhagat Surdās, 1919) spetta ai già citati Madan Theatres. Al loro declino, sorgono i New Theatres (1931), la più prestigiosa compagnia di produzione dello stato, fondata da Birendra Nāth Sarkār (1901-80).

Nel 1916 o 1919, viene realizzato il primo film della cinematografia indiana del sud: Kīchak vadham (L'uccisione di Kīchak), diretto da Natrāj Mudaliyār (1885-1972), che fonda a Madras la India Films (1916-23). Poi Raghupati Venkaiyā (m. 1941) e il figlio Raghupati Sūrya Prakāsh (1901-56) fondano a Madras la Star of the East (1921). Un loro film è tra i pochi che si conservano del cinema muto: The Catechist of Kil-Arni (1923), film di propaganda cattolica.

Nel 1931 esce il primo film parlato, Ālam Ārā (Ālam Ārā), di Ārdeshir Īrānī (1885-1969), che nel 1926 fonda a Bombay la Imperial Film Company, da dove in dodici anni, dal 1926 al 1938, escono quasi 250 opere. Produttore in primo luogo, Ārdeshir Īrānī firma poche regie, tra queste Ālam Ārā, che presenta anche l'elemento destinato a diventare specifico del cinema made in India: le canzoni.

Fisionomia del cinema indiano

Sant Tukārām (1936/1948)
Con Ālam Ārā, la componente musicale si consolida come aspetto peculiare di tutto il cinema indiano e tale rimane ancora oggi. Parlando di Rājā Harishchandr, si era accennato che oltre ad essere il primo film, aveva anche dato origine al primo genere e anche uno dei più fortunati: il mitologico. Il racconto cinematografico, straniero in origine, subisce infatti un rapido processo di "indianizzazione", attingendo a fonti e modi narrativi propri. Ed è questa "indianizzazione" che contribuisce a uno sviluppo autonomo di questo cinema, meno condizionato di altri dalla produzione hollywoodiana, anche se questa - e soprattutto il musical - ha esercitato un notevole influsso. Le fonti indigene sono principalmente di tre tipi:

1) La mitologia in generale e in particolare i due grandi poemi epici, il Mahābhārat e il Rāmāyan, che continuano incessantemente a fornire soggetti, temi e modelli ancora oggi. Anche la struttura narrativa è strettamente legata alle due epiche: in genere non è lineare e diretta, ma presenta una vicenda-cornice, con digressioni e storie dentro le storie.

2) Le forme teatrali tradizionali, classiche (teatro sanscrito), ma soprattutto quelle derivate dal teatro classico, con temi legati ancora alla mitologia, all'epica e ai racconti popolari di varia origine. Sono forme teatrali molto numerose, tutt'ora profondamente vitali (tra queste: Jātrā e Nautankī, nel nord; Bhavāi e Tamāshā, nel centro-nord; Yakshagana e Kutiyattam, nel centro-sud). Presentano una forte caratterizzazione dei personaggi e includono tutti gli aspetti della rappresentazione - recitazione, danza, canto, musica e mimo - benchè uno di questi possa essere preminente;

3) L'antecendente più diretto è il teatro pārsī, così chiamato perché sostenuto finanziariamente da membri della comunità parsi, discendenti degli emigrati zoroastriani arrivati in India dalla Persia nel VII secolo, dopo la conquista araba e la successiva islamizzazione del paese, e stanziatisi nella zona di Bombay, dove ancora si trova la componente più numerosa. Il teatro parsi si era sviluppato nel XIX secolo a Bombay, per influsso del teatro inglese, ma attingeva a fonti diverse, dallo stesso teatro inglese alla mitologia e all'epica hindu e ai racconti popolari di origine arabo-persiana. È il teatro parsi a costituire il modello più prossimo allo spettacolo cinematografico popolare: ogni gruppo teatrale, oltre all'impresario, al direttore, agli attori, agli strumentisti e ai tecnici, aveva anche un proprio drammaturgo (il più famoso è Āghā Hashr Kashmīrī, 1879-1935, lo "Shakespeare della urdu"). Gli spettacoli inziavano verso le 10 di sera per finire verso le 3 o le 4 di mattina e comprendevano anch'essi diverse forme e modi della rappresentazione: tragedia, commedia, danza, canto, comiche. Le canzoni costituivano una delle maggiori attrattive. Era un genere di spettacolo molto amato, eminentemente urbano e "totale", perché in qualche modo doveva supplire a tutta una serie di altre forme, anche rurali, per gli inurbati (il processo di inurbamento era iniziato alla fine del secolo, per continuare nei decenni successivi, soprattutto dopo la II guerra). Il teatro parsi comincia a declinare insieme al sorgere del cinema, che ne assume forme, contenuti e anche funzioni; e ne eredita anche i primi e maggiori drammaturghi e diversi artisti.

In base a queste fonti si sviluppano anche i generi, per altro abbastanza fluidi:

1) Accanto al film mitologico, che rimane e continuerà a rimanere a lungo un genere molto frequentato dal cinema indiano in generale, per il quale riveste il ruolo che ha il western nel cinema americano, si colloca un genere affine,

2) il film devozionale, che ha il suo centro tematico nell'unione mistica tra dio e l'uomo; in genere sono basati sulla vita di famosi poeti mistici del periodo medievale. Le opere più note di questo genere escono dalla Prabhat Film Company; tra queste: Sant Tukārām (1936, regia Dāmle-Fatahlāl), sulla vita di un grande poeta del XVII secolo. È anche il primo film indiano a ottenere un riconoscimento al festival di Venezia (primo film a partecipare è Sītā, 1934, di Debkī Bos). Ancora affine al film mitologico è

3) il fantasy, basato su racconti e leggende popolari, spesso di origine arabo-persiana (come Gul-e-Bakāvalī, Il fiore di Bakāvalī, 1924, di Kanjībhāī Rāthaur); molto diffuso nelle fasi inziali, lo ritroviamo fino in tempi recenti. Un altro genere, che inizialmente si pone a fianco dei primi due, in quanto più vicino alla mitologia e alla leggenda che alla realtà storica, è appunto

4) il film storico, nell'ambito del quale la figura di Shivājī (1627-1680), fondatore del regno maratha, ha una parte così rilevante da diventare una specie di genere a se stante. A iniziare la serie è Sinhgarh (La fortezza del Leone, 1923, re. Bābūrāv Painter). Soprattutto negli anni iniziali e negli annni 20 la maggior parte dei film rientra in questi filoni. Ma si impongono anche soggetti più vicini all'epoca e al pubblico che trovano espressione nei cosiddetti

5) socials, che come dice il termine affrontano tematiche sociali e familiari, contese tra le strutture tradizionali della società e della famiglia e il bisogno o l'aspirazione a una modernizzazione (spesso confusa con "occidentalizzazione"). Tra questi Sāhūkārī pāsh (I lacci dell'usura, 1925, re. Bābūrāv Painter). Non mancano

6) i film d'azione, come Wild cat of Bombay (1929, Mohan Bhavnānī); dal 1933 si affermano gli stunt della "Fearless Nadia", il personaggio creato da Mary Evans, 1910-99, attrice australiana sposata con Homī Vādiyā, co-fondatore della Wadia Movietone (1933), che realizza una serie di film alla Zorro, tra cui Hantarvālī [La ragazza con la frusta, 1935]). E ovviamente

7) il genere romantico/erotico, legato sia al film fantastico e mitologico (amori ispirati a racconti popolari o alla mitologia) sia ai socials, visto che l'amore e il matrimonio come libera scelta non fa parte integrante della società indiana ed è, in un certo senso, una forma di ribellione. Esistono però tradizioni a cui ispirarsi, come le storie d'amore di tanti racconti popolari, ostacolate dai parenti e che si concludono con l'unione degli amanti nella morte: amore terreno come preparazione per l'amore celeste, che sfida ogni convenzione proprio per la sua sublimità (come in Lailā-Majnūn, 1927, di Manilāl Joshī); oppure tradizioni più vicine alla mitologia.

Sinhgarh (1933)
Il cinema panindiano (o hindi) e, al seguito, gli altri si sviluppano lungo queste direttrici: non esiste e non esisterà fino agli anni 60 nessuna distinzione tra un cinema "popolare" in quanto destinato al grande pubblico generico e un cinema più elitario. Esistono tutt'al più film più o meno buoni nell'ambito dei vari generi, anche questi non nettatamente caratterizzati o distinti. Inoltre il cinema, benché goda di uno straordinario favore popolare (e forse proprio per questo), viene considerato dalle classi più tradizionaliste come forma di intrattenimento volgare, luogo di dubbia moralità quando non di perdizione e propagatore di stili di vita in contrasto con quelli indigeni. Questo giudizio poi è spesso condiviso dai settori più colti della società, compresi molti dei leader del movimento di indipendenza, con Gandhi in prima linea, che considerava il cinema "tecnologia peccaminosa", pur avendo visto - dopo aver espresso questo giudizio - un unico film in tutta la sua vita: Rām rājya (Il regno di Rām, 1943, re. Vijay Bhatt), che pure doveva essergli congeniale, come tema.

Il film indiano è - come si suole dire - un melodramma, sia nel senso etimologico del termine (ovvero azione drammatica in prosa e musica), sia in senso lato, come racconto drammatico a tinte forti, "complesso nell'intreccio e moraleggiante nelle finalità", con una spiccata caratterizzazione dei personaggi e una polarizzazione tra il male e il bene, che alla fine trionfa, magari col sacrificio dell'eroe o dell'eroina. Anche la recitazione si adegua talora a queste caratteristiche e a un occhio occidentale l'insieme appare non-naturalistico e non-realistico, soprattutto perché "realismo" non ha un significato univoco per tutte le culture.

(continua)

*Questa "guida" ha lo scopo di introdurre e integrare la serie Genesis of the Indian Popular Cinema, di Iqbal Masud, originariamente scritta negli anni 1987-89 per la prestigiosa rivista "Cinema in India" e qui ripresentata. Per questo, pur nella consapevolezza dei limiti della periodizzazione, si è seguito lo stesso schema a decenni.

 

Consigli bibliografici
Barnouw, E.-Krishnaswamy, S., 1980, Indian Film, Oxford University Press, New York, II ed. ampliata, I ed. 1963.
Garga, B D, 1996, So Many Cinemas. The Motion Picture in India, Eminence Designs, Mumbai.
Gokulsing, K.M.-Dissanayake, W., 1998, Indian Popular Cinema. A Narrative of Cultural Change, Orient Longman, New Delhi.
Kazmi, F., 1999, The Politics of India's Conventional Cinema. Imaging a Universe, Subverting a Multiverse, Sage Publications, New Delhi-Thousand Oaks, London.
Masud, I., 1987, Genesis of the Indian Popular Cinema. The Early Period, in "Cinema in India", Vol. I, Inaugural Issue, January, pp. 10-17
Rajadhyaksha, A., - Willemen, P., 1995, Encyclopaedia of Indian Cinema, Oxford University Press-British Film Institute, New Delhi-London.
Rangoonwalla, F., 1983, Indian Cinema. Past & Present, Clarion Books, New Delhi.

Cecilia Cossio