Bhavai: Diario di vita e sentimenti

La forma teatrale chiamata Bhavai, originaria del Gujarat, assorbe tradizioni teatrali precedenti e pratiche connesse con il culto della fertilità. Anche il Bhavai comprende recitazione, danza e canto, mentre i ruoli femminili continuano ad essere impersonati prevalentemente da attori maschi. Usato spesso come veicolo di satira sociale, il Bhavai ha ricevuto oggi nuovo slancio attraverso il teatro moderno e il cinema gujarati.

BHAVĀI: Diario di vita e sentimenti

 

Origini
La forma teatrale chiamata Bhavāi, sviluppatasi durante il XV secolo nel Gujarat, assorbe tradizioni teatrali precedenti e pratiche del culto della fertilità connesse con la festa di Navrātri (lett. "nove notti", quanto dura la festa), legata alla devozione alla dea Ambā. La sua base letteraria, costituita di racconti mitologici, si è gradualmente ridimensionata per lasciare maggior spazio ai temi sociali, pur continuando ad aderire agli elementi formali del teatro precedente.

Il termine bhavāi deriverebbe dalla composizione delle parole sanscrite bhav (vita) o bhāva (sentimento) con vahī (portatore o diario). Il significato dell'espressione sarebbe dunque quello di "portatore di vita", "espressione dei sentimenti" o "diario di vita". Una seconda interpretazione etimologica ipotizza la sua derivazione da Bhū-āyi, cioè "posseduto dalla dea Shītlā", divinità responsabile del vaiolo, un altro nome con cui è conosciuta la dea Ambā.

La tradizione attribuisce la paternità del Bhavāi ad un brahmano di nome Asāitā o Asitā, devoto alla dea Ambā, che officiava all'inizio del XV secolo in un tempio nella città di Sidhpur, nel Gujarat settentrionale. I suoi discendenti, noti con il nome di Bhavāyā, formano una delle comunità che maggiormente si sono occupate di tramandare quest'arte, giunta sino a noi solamente grazie a fonti orali.

Secondo quanto riportato dai Bhavāyā, Asāitā cominciò a dedicarsi alla scrittura e all'esecuzione di Bhavāi a seguito di un episodio che gli causò la scomunica dalla casta: l'aver cioè salvato una ragazza dal rapitore musulmano e averla sposata. Asāitā combinò caratteristiche di forme in voga al suo tempo con altre nuove, come, per esempio, abilità acrobatiche che offrivano divertimento e spettacolo nelle campagne; in particolare, la danza con i vasi.

Si sa che nel XVII e nel XVIII secolo gli attori di Bhavāi ricevevano doni dai capi locali e dai rājā, alle cui corti occupavano posizioni decorose. I sovrani mughal, al contrario, scoraggiarono tali rappresentazioni, poiché le commedie contenevano troppi commenti pungenti sulla vita quotidiana e, soprattutto, su funzionari corrotti. Nella seconda metà del XIX secolo anche il movimento riformista si scagliò contro di esso a causa della sua propensione alla volgarità e per i disinibiti riferimenti al sesso. Non stupisce, dunque, che gli attori di Bhavāi passassero in numero rilevante al teatro professionale gujarati, modellato su quello occidentale: in tal modo poterono elevare il loro status sociale, ottenendo maggior prestigio e finanziamenti più sostanziosi.

La performance
Come tutti i teatri tradizionali indiani, anche il Bhavāi comprende recitazione, musica e danza. Una compagnia di Bhavāi è costituita da 14 uomini, tra attori e musicisti. Le donne ne sono escluse; anzi, non fanno neanche parte del pubblico, forse a causa del linguaggio colorito e delle frequenti allusioni sessuali che caratterizzano questa forma teatrale. I ruoli femminili erano impersonati da attori maschi e questa usanza, diversamente da quanto accade in altre forme teatrali come Jātrā e Tamāshā, è stata mantenuta anche in epoca contemporanea.

La figura che coordina il gruppo e svolge le funzioni di regista è il Nāyak. Egli interviene durante lo spettacolo cantando, recitando le bol (sillabe derivate dal modello ritmico delle percussioni) e, a volte, pronuncia un discorso conclusivo. Due attori impersonano i ruoli dell'eroe principale e di quello secondario (noti rispettivamente come Veshgor e Veshāchārya); altri due quelli dell'eroina principale e secondaria (chiamate entrambe Kānchaliyā, come la danza che segna l'ingresso del personaggio femminile); infine, il personaggio del buffone (Ranglo) che, restando contemporaneamente all'interno e all'esterno dell'azione drammatica, mette in comunicazione personaggi e pubblico.

All'inizio dello spettacolo il Nāyak traccia nell'arena un cerchio del diametro di venti piedi che delimita lo spazio - o paudh - in cui gli attori si muovono e attorno al quale si dispone il pubblico. A lato di quest'area siedono i musicisti, che forniscono la base musicale indispensabile all'esecuzione teatrale. L'organico dell'orchestra comprende diversi strumenti: sārangī (strumento ad arco con cassa armonica dai lati concavi), bhungal (strumento a fiato in rame), pakhāvaj (strumento a percussione tenuto appeso al collo), narghan (due tamburi legati alla vita e suonati in piedi), jhānjh (cimbali in metallo e legno) e harmonium, strumento di recente introduzione.

Le composizioni musicali rispecchiano una profonda influenza della musica popolare locale e, contemporaneamente, della musica classica hindustani, per l'adozione di determinati rāg e tāl. Si utilizzano generi musicali diversi, quali bhajan, gazal, rās, dohā e garbā, che vengono abilmente combinati in modo da alternare forme con una struttura fissa ad altre più libere. I cantanti usano per lo più toni alti e scandiscono le parole con chiarezza, accompagnando il tutto con un'abile recitazione.

Un'esecuzione di Bhavāi inizia abitualmente verso le nove di sera per concludersi alle undici del mattino seguente. Durante la notte si eseguono parecchie commedie, chiamate vesh, che durano da un minimo di mezz'ora fino, in qualche caso, ad alcune ore.

Prima di ogni rappresentazione i membri della compagnia, nei loro camerini, accendono una grande lampada di terracotta, alimentata con olio di senape e posta su due mattoni accanto ad un muro, sul quale è stato in precedenza disegnato il tridente della dea Ambā. Poiché essa rappresenta la Dea, gli attori, prima di cominciare a truccarsi, passano le mani davanti alla fiamma e poi, per incorporarne la potenza, su occhi e fronte e si ungono il viso con l'olio della lampada. Offerte di frutta e profumi sono poste davanti ad essa.

Musicisti e attori, mentre sono ancora nei camerini, intonano un canto (garbī) in omaggio ad Ambā, poi entrano in scena. Il Nāyak, delimitando la paudh, dà inizio alla performance: dapprima si eseguono cinque inni devozionali seguiti da un'invocazione alla Dea e, successivamente, anche a Ganesh, il dio dalla testa di elefante invocato all'inizio di un'opera come colui che allontana gli ostacoli. Un attore impersona quest'ultima divinità nel modo peculiare del teatro Bhavāi: indossa cappello, ghirlanda, giacca di seta, dhotī e cavigliere, ma non ha niente che richiami la testa elefantina del dio. Muove, invece, davanti al viso un disco di ottone in senso orizzontale e verticale, in modo da lasciare intravedere, parzialmente, gli occhi.

Quindi entra sulla scena il barbiere del villaggio (hajjām), portando una grande lampada di ottone, piena di semi di cotone imbevuti d'olio, e si siede su un lato della paudh. Il suo compito è di avvicinarsi agli attori in momenti particolarmente drammatici, per evidenziare con la luce la loro mimica facciale. Questo sistema di illuminazione riveste un ruolo molto importante nella performance, agendo efficacemente in sinergia con i contenuti, le tecniche recitative, la danza, i canti e il trucco. L'illuminazione artificiale dei moderni teatri, infatti, non si è dimostrata altrettanto funzionale e comunicativa. Momenti di danza vivace marcano la conclusione di un episodio o di un dialogo.

Dopo la presentazione di alcune brevi scene comiche si eseguono, in un ordine in massima parte prestabilito, i vesh. Tra questi, Jūthan Miyān, commedia attribuita ad Asāitā che ha come protagonista Jūthan, re di Bokhara, il quale, mentre marcia su Ghazni con l'esercito, vede un cammello della carovana stramazzare al suolo. Il re ordina al ministro di far alzare l'animale, ma la cosa si rivela impossibile, dato che il cammello è morto. Ciò induce il re a pensare alla sua stessa morte; per questo, lascia il regno per andare in cerca della verità. Giunto in India, si mette a recitare la parte dello spaccone: vuole, in questo modo, assumere su di sé le menzogne del mondo per purificarlo della falsità. Jūthan è un personaggio allegro e ottimista e diverte il pubblico con le sue grandiose panzane.

La maggior parte dei vesh, comunque, muove una critica salace alla società indiana. Così, per esempio, Kajora è la parodia di un matrimonio male assortito tra una donna grassa e un uomo ancora immaturo e rappresenta un momento di grande divertimento per il pubblico. Generalmente verso mezzanotte si esegue Chhail Batau, storia d'amore e d'ingiustizia sociale che piace molto al pubblico. Il Nāyak racconta le avventure, le battaglie e i tradimenti che coinvolgono il protagonista, Batau, durante la ricerca della sua amata, Mohan Rānī.

Particolarmente famoso è Jhandā Jhulan, scritto da Moti Ram Naik all'inizio del XX secolo: in esso la moglie di un avaro mercante hindu si innamora di un bel giovane musulmano, ma quando il marito aizza il villaggio contro il rivale, lei sceglie di restare fedele al suo matrimonio. Infine Pūrbyā, protagonista dell'omonimo vesh, incarna il modello di uomo che, pur essendo dominato dalla moglie, si vanta della propria virilità.

Esistono anche alcuni vesh di soggetto storico e mitologico, ma sono piuttosto rari e non sono altrettanto popolari quanto le satire sociali. Il più famoso è Rāmdev, una commedia di Asāitā generalmente eseguita il mattino presto. Protagonisti sono il re Rāmdev e la sua regina, la quale mette alla prova la saggezza del marito sfidandolo a colpi di storie e indovinelli. Il Ranglo interviene ripetendo all'uno e all'altra le parole dell'avversario, fornendo delle ulteriori e inutili spiegazioni e, in questo modo, confonde personaggi e pubblico.

La rappresentazione si conclude con un canto devozionale, poi attori e musicisti escono dalla scena e la fiamma sacra, che per tutta la notte ha continuato ad ardere nei camerini, viene spenta, simbolizzando in questo modo che la dea Ambā non è più presente.

I personaggi femminili
Un ruolo molto singolare è quello ricoperto dai personaggi femminili, chiamati Kānchaliyā, dal nome della camicetta luccicante (kārchlī) che indossano, abbinata ad un'ampia gonna e una orhnī (o mezza sārī) colorata, inserita nella gonna all'altezza della vita e drappeggiata lungo il busto fino a coprire il capo.

La Kānchaliyā entra in scena tenendo tra pollice e indice di ciascuna mano una torcia (kākrā), costituita da un pezzo di stoffa arrotolato e imbevuto d'olio, che muove in più direzioni. Dopo aver dato la propria benedizione al pubblico e aver ricevuto, a sua volta, quella di Sarasvatī, la dea protettrice delle arti e delle scienze, e del Nāyak, ella inizia la sua performance mista di canto e danza e, in particolari momenti, rende più visibili le espressioni del viso, illuminandolo con le torce. Mentre si muove in senso circolare antiorario, batte i piedi a terra, riproducendo così le sillabe del ciclo metrico scandite dal percussionista e tessendo modelli ritmici nuovi. La mano sinistra è rivolta al centro della paudh mentre la destra guarda il pubblico. Alla fine della sua esibizione posa a terra le torce, che sono prontamente spente dal hajjām, e si siede.

Un elemento importante nella recitazione è dato dall'orhnī, perché il personaggio che l'indossa, a seconda del modo in cui la porta, veicola messaggi diversi, quali rabbia, amore, sfida, gioia e timidezza. Se la donna si rivolge al marito, ad esempio, ha generalmente il capo coperto con l'estremità superiore dell'orhnī, mentre, quando è in compagnia dell'amato, la lascia scivolare sulle spalle.

Le Kānchaliyā si cimentano anche in balli di gruppo, che hanno una notevole somiglianza con i balli noti con il nome di garbī, danze locali in onore della dea Ambā attorno ad una brocca d'argilla, che fanno parte dei rituali per la festa di Navrātri. Gli attori si muovono in cerchio ondeggiando le anche e piegandosi in avanti, girano vorticosamente, saltano e concludono la loro esecuzione mettendosi a sedere sulle cosce con le gonne completamente allargate attorno a loro.

Costumi e trucco
Gli attori stessi provvedono al loro costume e trucco, caratterizzato, a volte, dalla presenza di elementi anacronistici. I personaggi di basso livello sociale, infatti, come contadini, lavandai, mercanti o giardinieri, sono vestiti con un abbigliamento definibile come contemporaneo; mentre i personaggi regali indossano costumi d'epoca, in uno stile misto tra quello mughal e quello popolare del Gujarat: un turbante sormontato da un cono dorato, una tunica stretta alla vita e svasata al di sotto e dei pantaloni ampi sulle cosce e aderenti ai polpacci (pajāmā). Il costume di altri personaggi, inoltre, come quello di Jūthan Miyān, colloca l'attore al di fuori di tempo e spazio reali. Jūthan Miyān, ad esempio, indossa un turbante di seta avvolto attorno ad uno zucchetto dorato e ornato di nappe, una tunica scintillante, ampi pantaloni, spada, corazza e campanelli legati agli stinchi. Sul naso è tracciata una linea bianca che si divide in tre rami all'altezza della radice: due seguono il disegno delle sopracciglia, appena sopra di esse, mentre il terzo prosegue la linea del naso attraversando la fronte. Le guance sono decorate con cerchi rossi e neri.

Non si usano molti cambi di costume perché una stessa persona, con piccole modifiche al suo abbigliamento, impersona ruoli diversi: inclinando il turbante e cambiando il portamento un uomo giovane e attraente si trasforma facilmente in un grasso usuraio.

Le comunità degli artisti
Il Bhavāi, come altre forme di rappresentazione tradizionale, è un'arte tramandata oralmente all'interno di alcuni gruppi familiari: tra questi, il più importante è quello dei Targalā, noto anche con il nome di Bhavāyā, che è considerato essere disceso da Asāitā. I suoi componenti sono contadini, per lo più del Gujarat settentrionale, che, in gruppi di dieci o quindici, girano di villaggio in villaggio da ottobre a giugno eseguendo il Bhavāi e ricevendo in cambio appoggio materiale e remunerazione. Hanno un comportamento sociale svincolato da certi limiti imposti dall'ortodossia castale; per questo sono considerati di basso livello sociale e le loro opere non sono considerate forme d'arte dai dotti brahmani.

Alcuni gruppi tribali, come i Bhīl e i Turī, eseguono performances di Bhavāi usando il loro dialetto e caratterizzano lo spettacolo con un linguaggio spesso osceno e danze sfrenate. Al contrario i Nāgar, brahmani di buon livello sociale e devoti ad Ambā, eseguono il Bhavāi come atto puramente religioso. generalmente durante la festa di Navrātri. Ma anche gruppi appartenenti ad altre collocazioni castali occasionalmente si cimentano con questa forma di teatro.

Il Bhavāi oggi
Verso la metà del XX secolo ci sono stati importanti esperimenti di commistione tra il teatro moderno e Bhavāi, con successo di pubblico e sviluppo di una nuova tendenza nel teatro gujarati. Tra questi, vanno menzionati Lok Bhavāi, una satira sulla vita a Bombay di un uomo e una donna immigrati dalle campagne, scritta e interpretata commediografa e attrice Dina Gandhi; Mīnā Gurjarī, di Rasikhlal Parikh, sulle vicende di una fanciulla vittima di un rapimento, diretta da Dina Gandhi, che interpreta anche il ruolo principale, accanto al più famoso nome contemporaneo di Bhavāi, l'attore Jayshankar Bhojak "Sundari".

Anche il cinema si è interessato a queso teatro con un'opera che ha avuto grande risalto, Bhavnī bhavāi (1980), diretta dall'allora esordiente Ketan Mehta. Va detto, tuttavia, che il cinema ha talora influito negativamente sull'esecuzione di danze e canti tradizionali, inducendo alcuni artisti a semplificarli per rendenderli simili a quelli dei film. Ma nonostante i cambiamenti dell'età contemporanea, il Bhavāi continua ancora ad essere eseguito secondo il modo antico, anche se i suoi attori vivono oggigiorno in condizioni notevolmente disagiate e sono privi di una forte organizzazione. Rimane fisso, ad ogni modo, l'appuntamento durante la festa di Navrātri, in cui sono ancora eseguiti, in onore di Ambā, i vesh tradizionali.

Note
Ambā: lett. "madre", uno dei nomi con cui è venerata la dea Durgā, l'Inaccessibile, a sua volta una delle forme "terribili" (l'altra è Kālī, la Nera) di Devī, consorte del dio Shiv. 

Rāg: modello melodico della musica classica indiana basato su regole che permettono determinati suoni, intervalli e movimenti in relazione anche alla loro posizione nella frase musicale, mentre automaticamente escludono tutti gli altri, pena l'uscita dal rāg in questione per sconfinare, probabilmente, in uno simile.

Tāl: modello ritmico della musica classica indiana che si ripete ciclicamente all’interno del pezzo musicale. 

Bhajan: canto devozionale in cui si celebrano le virtù del dio a cui è dedicato.
Gazal: composizione poetica di argomento erotico, tipica della letteratura persiana e urdu, divenuta anche genere musicale semiclassico.
Rās: rappresentazione popolare che tratta delle imprese di Krishn.
Doha: distico in rima tipico della poesia in hindi.
Garbā: forma di musica e danza popolare del Gujarat e del Maharashtra.

Bibliografia essenziale
Desai, S., 1972, Bhavai - A Medieval Form of Ancient Indian Dramatic Art, Gujarat University, Ahmedabad.
Gargi, B., 1991, Folk Theater of India, Rupa, Calcutta, pp. 50-71.
Vatsyayan, K., 1980, Traditional Indian Theatre: Multiple Streams, National Book Trust, New Delhi, pp. 147-157.

Paola Nicolodi