Jiao Juyin (1905-1975), è considerato, insieme a Huang Zuolin (1906-1994), uno dei piú importanti registi di prosa (huaju) del ventesimo secolo, noto soprattutto per le sue applicazioni delle tecniche di Stanislavskij e per lo stile che è in seguito diventato una sorta di "marchio di fabbrica" del Teatro d'Arte del Popolo di Pechino.

JIAO JUYIN

 

 


Jiao Juyin (1905-1975), è considerato, insieme a Huang Zuolin (1906-1994), uno dei piú importanti registi di prosa (huaju) del ventesimo secolo, noto soprattutto per le sue applicazioni delle tecniche di Stanislavskij e per lo stile che è in seguito diventato una sorta di "marchio di fabbrica" del Teatro d'Arte del Popolo di Pechino. Jiao e Huang sono cosiderati, infatti, i massimi rappresentanti delle scuole teatrali di Pechino (jingpai) e di Shanghai (haipai), e spesso contrapposti per la differenza degli stili, incentrati rispettivamente sul realismo sociale e psicologico (Jiao), e sulle tecniche epiche, stranianti e anti-illusionistiche (Huang).

Dopo la laurea presso l'Università Yanjing di Pechino, nel 1930 Jiao fonda la Scuola di Addestramento dell'Opera Tradizionale (xiqu), dove approfondisce le proprie conoscenze nel campo delle tecniche classiche. Dal 1935 al 1938 frequenta un dottorato di ricerca a Parigi e negli anni della guerra, una volta tornato in Cina, inizia a dedicarsi al teatro russo. Attraverso gli scritti di Cechov e Nemirovič-Dancenko Jiao scopre il metodo Stanislavskij, che da quel momento costituirà la base essenziale delle sue regie e del suo sistema teorico.

Nel 1952 partecipa alla fondazione del Teatro d'Arte del Popolo di Pechino (Beijing renmin yishu juyuan, solitamente abbreviato in Renyi), strutturato in base al modello del Teatro d'Arte di Mosca, del quale sarà direttore fino al 1966, l'anno di inizio della Rivoluzione Culturale. Sotto la sua guida, il Teatro d'Arte sviluppa gradualmente un peculiare stile rappresentativo che ancora oggi ne contraddistingue la produzione, basato prevalentemente su un repertorio di classici realisti come Il fosso di Longxu (Longxugou, 1950) e Casa da té (Chaguan, 1957) di Lao She, Temporale (Leiyu, 1933) di Cao Yu e drammi storici come Cai Wenji (1959) e Wu Zetian (1960) di Guo Moruo. Opere come quelle di Lao She, o produzioni piú recenti come Vicolo del pozzetto (Xiaojing hutong, 1981) di Li Yunlong, Il miglior ristorante del mondo (Tianxia diyi lou, 1988) e Uomini-uccello (Niaoren, 1993) di Guo Shixing, sono state definite "Beijing-flavoured plays" (Chen Xiaomei) per le vivide e dettagliate rappresentazioni di luoghi, personaggi e situazioni tipiche della capitale che caratterizzano lo "stile-Renyi".

Il maggior contributo di Jiao Juyin alla scena teatrale cinese consiste nella rielaborazione in chiave locale delle teorie e della pratica del teatro realista russo ed europeo, al fine di creare un teatro di prosa moderno dalle caratteristiche nazionali e adattato a criteri estetici autoctoni come, ad esempio, la poeticizzazione (shihua) e la stilizzazione dei movimenti (chengshihua).

Combinando queste considerazioni alle prescrizioni del realismo psicologico stanislavskiano, Jiao elabora la "teoria delle immagini mentali" (xinxiang xue), secondo cui l'attore deve crearsi nella mente un'immagine del proprio ruolo prima di rappresentarlo sul palcoscenico (immagine scenica o rappresentata). L'immagine mentale, quindi, funge in un certo senso da ponte tra la vita reale e la dimensione fittizia del palcoscenico. Questo metodo è composto di tre fasi successive: esperienza diretta, sviluppo dell'immagine mentale e creazione dell'immagine scenica, un passaggio che Jiao chiama "da esterno a interno, da interno ad esterno", e comporta la fusione di osservazione oggettiva del comportamento quotidiano (dei personaggi da rappresentare) e immaginazione soggettiva individuale. Il risultato di questo processo sono le "immagini simboliche" (yixiang), che il regista sostituisce alle "immagini di vita" (xingxiang).

Le applicazioni maggiormente significative di questa teoria sono senza dubbio le due opere di Lao She citate in precedenza. Mentre Il fosso di Longxu, tuttavia, mostra ancora un'interpretazione piuttosto rigida del metodo del regista russo, nella messinscena di Casa da té del 1958 Jiao introduce nuove sperimentazioni con le tecniche del xiqu, e scrive il saggio Sulla nazionalizzazione del teatro di prosa (Lun huaju minzuhua), in cui propone ad esempio, un rapporto scena-platea che si avvicina piú alla socialità tipica della arti tradizionali cinesi che alla "pubblica solitudine" (dangzhong gudu) dell'attore di Stanislavskij.

Jiao muore durante la Rivoluzione Culturale, lasciando incompiuto il progetto di fondare una scuola di regia cinese. Tra i suoi allievi e successori, alcuni porteranno avanti lo stile classico del Teatro d'Arte, altri, primo tra tutti Lin Zhaohua, amplieranno le proprie possibilità espressive distaccandosi dalla mimesi naturalista e dal realismo sociale e sperimentando nuove soluzioni assimilate dal modernismo e dalle avanguardie occidentali. Tutti, comunque, addirittura fino alle avanguardie dei giorni nostri, manterranno saldo il principio fondamentale della ricerca di un teatro dalle caratteristiche tipicamente nazionali e proseguiranno l'idea di Jiao (e anche dell'altro grande "vecchio" dello huaju, Huang Zuolin) di combinare gli stili occidentali alle tecniche dell'opera tradizionale e delle arti performative popolari.

Bibliografia
Su Min, Zuo Lai, et al., "A Chinese Director's Theory of Performance: On Jiao Juyin's System of Directing", Asian Theatre Journal, 20:1, 2003, pp. 25-42.
Yu Weijie, Tradizione e realtà del teatro cinese. Dalle origini ai giorni nostri, Milano: International Cultural Exchange, 1995.

Rossella Ferrari