L'omosessualità maschile nel cinema giapponese

L'omosessualità maschile in Giappone ha una lunga tradizione che risale almeno all'ottavo secolo, seppure, fino a poco tempo fa, la nozione di omosessuale inteso come persona dalle distinte preferenze erotiche non era presente nella cultura giapponese.

L'OMOSESSUALITÀ MASCHILE NEL CINEMA GIAPPONESE

AUTORE: Vanja Zenzerovic
RELATORE: Chiar.ma prof. Maria Roberta Novielli
CORRELATORE: Dott. Valerio Luigi Alberizzi
A. A.: 2002-2003


Storia dell'omosessualità giapponese
L'omosessualità maschile in Giappone ha una lunga tradizione che risale almeno all'ottavo secolo, seppure, fino a poco tempo fa, la nozione di omosessuale inteso come persona dalle distinte preferenze erotiche non era presente nella cultura giapponese. Infatti, nonostante ci siano fonti documentate circa la lunga tradizione dei rapporti omosessuali in vari contesti — tra le mura dei monasteri buddisti, tra le fila samuraiche e nell'ambito del teatro kabuki, ognuno ovviamente con una propria terminologia —, l'attrazione verso persone dello stesso sesso era considerata solo un tipo di godimento erotico che non doveva escludere l'attrazione verso il sesso opposto. L'omoerotismo è celebrato in gran parte dall'arte, dalla poesia e dalla letteratura, ma ciò nonostante la sua storia culturale ha poca importanza, considerando il modo in cui viene considerato dalla società giapponese moderna o dagli stessi omosessuali.

Si suppone che le pratiche omosessuali siano avvenute per la prima volta tra il clero buddista e che furono introdotte dal monaco Kūkai dalla Cina. In una delle ere di maggiore produttività dell'arte giapponese, in periodo Tokugawa, (1600-1867), le testimonianze riguardo l'omosessualità si estesero in più campi. Non ci si limitava all'ambiente dei monasteri buddisti, ma i rapporti erano descritti adesso anche da famosi scrittori, come Ihara Saikaku, autore del Nanshoku ōkagami, del 1687; la poesia e le opere d'arte (stampe ukiyoe), offrivano una vasta rappresentazione delle varietà dell'amore omosessuale praticato, testimoniato da visitatori stranieri, scandali e scritti ufficiali.

Nel successivo periodo Meiji si cambiò completamente atteggiamento, arrivando a considerare l'omosessualità persino come una malattia e un pericolo. Sopravviveva, però, in ambienti estremamente omofobici quali le scuole militari e le università. Anche i numerosi articoli pubblicati durante il periodo Taishō ci testimoniano una certa incomprensione per questi "strani" desideri sessuali dei giovani studenti.

Sebbene negli anni Venti e fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per via della presenza delle Forze Alleate, i bar gay non facevano che fiorire (circa duecento nella sola area di Tōkyō), questo non significava un riconoscimento ufficiale dell'omosessualità. Solo con lo sbocciare di una grande quantità di articoli e di film nei primi anni Novanta, che davano più attenzione al tema e al "problema" dell'omosessualità, le minoranze di gay e lesbiche furono riconosciute dalla cultura popolare giapponese.

Il boom degli anni Novanta consiste nella "semplice rappresentazione di una nuova, interessante "minoranza" allo stupore della maggioranza eterosessuale."

La legge sull'oscenità
Il Giappone ha una storia sessuale molto liberale, ma nonostante ciò continua a imporre una serie di standard sconcertanti e irrazionali, sia al cinema nazionale sia a quello straniero. A differenza dell'Occidente, dove la censura è spesso il risultato di un dogmatismo religioso, in Giappone la censura cinematografica si sviluppa attorno alle lotte politiche che cercano di affermarsi nel crescente clima liberale, piuttosto che di ostacolare l'oscenità in sé. Secondo lo studioso Okudaira Yasuhiro, "la censura non ha lo scopo di proteggere la società, ma di assicurare l'autorità e le sue istituzioni al pubblico."

Un fatto che sorprende quando si parla di oscenità è che, quando si tratta di pornografia, tutto è ammesso. Le rappresentazioni del corpo maschile nudo sono numerosissime; immagini di rapporti anali e orali, la masturbazione reciproca, il sadomasochismo che include la flagellazione e il soffocamento, la pedofilia ecc. Nonostante tutte queste rappresentazioni, il pene è normalmente coperto con un effetto "mosaico" o con puntini bianchi nei video, oppure oscurato nelle foto. Nei manga, invece, non è disegnato completamente, ma è lasciata solo una linea che mostra l'atto della penetrazione da vicino, così che l'organo sessuale non sia visibile.


Eppure, osservando i rapporti sessuali rappresentati nei film presi in analisi, si può notare come il pene sia considerato osceno mentre le natiche non lo sono. Nel film Beautiful Mystery, appartenente al filone pink, nella prima scena del rapporto sessuale in cui è presentata la sodomizzazione da parte del protagonista Takizawa al giovane novizio del gruppo militare, Shinohara, questa è abilmente nascosta da una sedia posta strategicamente proprio davanti ai due, facendo di conseguenza vedere parzialmente le natiche degli attori. Il più delle volte la m.d.p. tende a inquadrare dalle spalle e, quindi, copre il corpo dei due amanti, altrimenti si tende all'inquadratura dal busto in su.

Negli altri due film, Kurutta butokai e Anata ga suki desu, daisuki desu, per nascondere gli organi genitali si accende il gioco delle luci. Infatti, quando avvengono i rapporti sessuali ,si tende a oscurare il punto di unione tra i due corpi e si evita quindi la rappresentazione della penetrazione.

In Okoge di Nakajima Takehiro, similmente a Beautiful Mystery, nella rappresentazione della scena d'amore tra i due protagonisti, Tochi e Gō, il regista usa sia un'inquadratura dall'alto sia un elemento che nasconde i due corpi, in questo caso il lampadario, che pure poteva essere omesso dato che già la luce soffusa offuscava l'atto sessuale. Ma, poiché tale opera non rientrava in un genere come per esempio il pinku eiga, che forse poteva concedere una maggiore libertà nella rappresentazione della nudità dei corpi, il regista ha preferito usare un tale espediente.

Le autorità che controllano l'oscenità nel film giapponese, sono tre:

- EIRIN (Eiga rinri kanri iinkai, il comitato amministrativo per l'etica cinematografica)
- ZEIKAN, o l'ispezione per i film importati
- KEISHICHO, la polizia metropolitana.

L'Eirin è un'istituzione privata, sorta nel 1949, alla quale la sottomissione dei film è "volontaria". Esso è il corpo d'auto–regolamentazione dell'industria cinematografica e vaglia tutti i film nazionali e stranieri. Nella sua storia, quest'organo è stato oggetto di una serie di accuse, a partire dal 1956, quando il filone dei film "del sole" (taiyozōku eiga), avviò una protesta contro la clemenza dell'Eirin che fino ad allora era composto dai soli membri dell'Industria. Vi fu quindi una riforma con la quale l'ex Ministro dell'Educazione, Takahashi Seiichiro, ne divenne presidente. Nel 1996, ancora, un gruppo di registi giapponesi con a capo Wakamatsu Kōji ha sollevato una protesta per l'eliminazione dell'Eirin.

Nel 1978, i recensori dell'Eirin introdussero regole più severe che vietavano la visione dei peli del pube e ordinarono il bokashi, che, alla fine, con un processo del 1980, indusse i produttori di film pornografici a un compromesso sia con la dogana sia con l'Eirin. Con la scusa d'essere più attraente per il pubblico, rispetto ai tagli, il bokashi è stato introdotto come una misura standard per evitare l'oscenità. Questa pratica, ovviamente, non fu ristretta solo ai film giapponesi, ma anche a quelli stranieri dove la rappresentazione dei rapporti sessuali, soprattutto quelli omosessuali, assunse caratteristiche completamente nuove.

Nel 1991, contemporaneamente al "gay boom", ci fu il "boom dei peli", con la legalizzazione della rappresentazione dei peli del pube. La definizione ufficiale del pene come osceno, però, rimase la stessa, mentre la definizione che riguardava i peli del pube scomparve.

Si può notare una certa paura dell'omosessualità, soprattutto a causa dei film stranieri distribuiti in Giappone nel periodo di questo boom. Validi esempi di tale censura possono essere film come Crying Game (1993) di Neil Jordan, Looking for Langston (1992) di Isaak Julian, oppure, più di recente, Mother Dao di Vincent van Monnikendam, presentato allo Yamagata International Documentary Film Festival. Sebbene fosse un documentario, il cui scopo è di presentare la realtà, la censura, nel tagliare la scena che mostrava frontalmente gli operatori cinesi sotto la doccia, creò un danno enorme. Quest'incidente può essere sì il testimone di come le regole sulla censura in Giappone si siano "alleggerite", per quanto riguarda la nudità e la rappresentazione dei peli del pube, ma comunque continua a mostrare la sua rigidità nel considerare oscena la visione dell'organo genitale maschile. Si può quindi comprendere come un uomo nudo sia percepito come innaturale e aggressivo, ed è difficile convincere i censori di vecchio stampo, non abituati a tali cose, che si tratti di arte.

A differenza del corpo nudo femminile, quello maschile non può essere rappresentato senza gli organi sessuali e, quindi, i cambiamenti delle immagini sono automaticamente necessari e probabilmente più richiesti. Si potrebbe affermare che la legge sull'oscenità influisce sulle immagini sessuali in due modi: potrebbe essere direttamente repressivo qualora proibisca la rappresentazione degli organi sessuali e dei peli pubici; potrebbe essere indirettamente creativo, incitando l'industria a sostituire gli organi genitali con mezzi come la violenza grafica o, per esempio, l'androginia. I film che esplorano e trattano il mondo, le abitudini, la vita degli omosessuali, siano questi giapponesi o stranieri, saranno comunque, finché esistono tali leggi, prime nel mirino della censura. La Dogana presumerà subito che, in un film con tematica omosessuale, ci saranno rappresentazioni del pene e, dato che questo è considerato osceno, le autorità esamineranno i film gay più attentamente rispetto agli altri.

La legge sull'oscenità non è diretta esclusivamente ai film omosessuali. Si potrebbe parlare più di un intento omofobico per frenare la sessualizzazione del corpo maschile a un livello simile a quello femminile. La risposta potrebbe trovarsi nella società giapponese ancora paternalistica, rappresentata da uomini che hanno e sentono l'obbligo o la responsabilità di proteggere se stessi e la loro famiglia da qualsiasi tendenza che potrebbe mettere in dubbio i valori che li posizionano a capo della società.

La caccia alle scintille della vita - Abbozzo di spirale
Rasen no sobyō di Kojima Yasufumi nacque come un progetto universitario e, successivamente, su incoraggiamento dell'allora professore della Scuola Giapponese di Film, Imamura Shōhei, divenne un documentario. Per di più, si tratta del primo in Giappone riguardante l'omosessualità. Da un corto di trenta minuti su una coppia di gay, il progetto si estese a un lungometraggio.

Il documentario doveva essere filmato a Tōkyō, ma, come spesso accade con la produzione di film che trattano la tematica dell'omosessualità, gli attori si rifiutarono poiché non volevano essere identificati con persone gay. L'azione, quindi, venne spostata ad Ōsaka.

Inizialmente, il regista si concentra nel presentare la scena gay di Tōkyō, il famoso Secondo Distretto di Shinjuku, nel corso della ricerca di un'avventura per una notte nei cinema di film porno oppure di rapporti casuali in spiaggia. Per via di questa presentazione abbastanza convenzionale e crudele, il filmato sembra imitare "un audace" speciale televisivo.

Successivamente, lo spettatore è introdotto nella vita della coppia Yano Yoshikazu e il suo ragazzo, Kiyao Takashi; l'azione si svolge prevalentemente nel loro appartamento che è anche la sede della loro radio-stazione privata. Conducono una trasmissione che tratta i problemi comuni degli omosessuali. Il documentario è centrato sul progetto di Yano di creare uno sceneggiato sulla vita degli omosessuali, le loro opinioni, le difficoltà che devono attraversare per via delle loro scelte sessuali. I protagonisti del suo sceneggiato sono sei; Yano Yoshikazu, il suo partner, Kiyao Takashi, Yohito, Hirano Hiroaki un professore che entra in conflitto con i colleghi della scuola dove lavora dopo aver dichiarato la propria omosessualità agli studenti della sua classe e dopo aver sostenuto che essere gay è un fatto normale, Hase Tadashi (un sessantunenne che racconta anche del periodo in cui scoprì la propria omosessualità, all'età di dodici anni). L'ultimo è Kibako, il personaggio più esagerato e sincero tra gli intervistati, un travestito che lavora come ballerino in un bar gay di Osaka.

La novità di Rasen no sobyō non sta negli atteggiamenti espressi dalle persone intervistate. Quello che qui sorprende, è la franchezza di fronte alla camera e un'indicazione che gli omosessuali finalmente si aggiungono alle norme e ai pregiudizi sociali. Kojima è riuscito a presentare le verità personali di questi uomini unendo tutti gli elementi necessari per una buona costruzione del film, ma soprattutto del documentario; gli elementi dello spazio, i piani, la storia, le fonti della luce, i colori, i movimenti davanti all'obiettivo o i movimenti della camera, e poi le caratteristiche dei protagonisti, la vita attuale, immediata, le loro gesta naturali e spontanee, i micromovimenti inconsci, l'intensità delle parole pronunciate, gli accompagnamenti sonori o musicali, la qualità delle riprese, e molti altri elementi che agiscono sullo spettatore sotto forma di un messaggio totale, a più strati. Nella creazione del film, noi non siamo consci di tutti questi fattori, però, volenti o nolenti, noteremo la loro presenza e "l'intreccio" che ci daranno un nuovo sapore nella comprensione e nella lettura del film, o in questo caso, del documentario.

Coordinare i numerosi elementi dell'insieme cinematografico, unirli in modo armonico ed efficace e creare un processo di comunicazione nel quale nessuno degli elementi compresi non risalta in modo negativo, è un'impresa molto difficile e responsabile. Nella creazione di Rasen no sobyō, come "cacciatore delle scintille della vita", Kojima, sebbene ancora studente, si è dimostrato in grado di creare una continua tensione (lo spettatore non sa, per esempio, fino alla fine del film se la coppia Yano–Kiyao, rimarrà insieme), un'incertezza costruttiva, il continuo scambiarsi dell'imprevisto e del previsto, l'intreccio delle comunicazioni e dei silenzi. Tutte queste sono caratteristiche sulle quali si basa la vitalità del documentario. Citando le parole di Jean Vigo: "Il documentario cerca la presa di posizione, perché egli mette i puntini sulle i...se non lo fa il regista, lo fa l'uomo."

L'omosessualità nel film pink: Beautiful Mystery e Kurutta butokai
Paragonando il cinema asiatico e quell'occidentale, la visibilità dei soggetti omosessuali nei primi è stata relativamente più radicale e meno apologetica che nel caso della loro controparte. Inoltre, rispetto alle altre parti del mondo, quando si tratta del cinema asiatico, sorprende l'inaspettato cambiamento verso un'opinione corretta dell'omosessualità. Il fatto più rilevante, però, rimane il veloce sviluppo che questo ha subìto durante gli anni '80 e soprattutto durante il decennio successivo, e di conseguenza anche il risultato migliore della sua produzione.

Precedentemente, durante la Nouvelle Vague europea (Gran Bretagna, Francia ecc.), oppure quella americana, raramente il cinema dedicava attenzione al film che trattava il tema di una sessualità atipica. Il cinema proveniente dalla Germania o dalla Cecoslovacchia era dedito più alla politica che all'argomento dell'omosessualità, e un interesse verso questa si può trovare nei lavori di registi gay dichiarati come R. M. Fassbinder in Germania oppure in quelli di famosi filosofi-registi, oggi considerati icone, come Pier Paolo Pasolini, Andy Warhol o Derek Jarman.

Per quanto riguarda il cinema giapponese, dai tardi anni '50 fino ai primi anni '70, e quindi durante la Nouvelle Vague giapponese, esso ha occasionalmente mostrato interesse per la tematica gay, come per esempio con il film di Matsumoto Toshio, Bara no soretsu ("Il funerale delle rose"), ma, secondo Andrew Grossman, film come questi erano intesi principalmente a simboleggiare una posizione della sinistra radicale. Oggi la situazione nel genere differisce, poiché i film tendono a essere più popolari e non film apologicamente politici sull'omosessualità in sé.

A differenza di certi film americani prodotti durante gli anni '90 come Philadelphia (Demme, 1994) o In and Out (Paul Rudnick, 1997), intesi a beatificare l'omosessualità per offuscare qualsiasi potenziale controversia, quelli giapponesi (o asiatici), non prendono l'etichetta di film indipendente per via dell'argomento "sconvolgente," "fuori dalle convenzioni" e quindi omosessuale, che trattano. Grazie a registi come Hashiguchi Ryosuke, Stanley Kwan-pang, Tsai Ming-liang, identificati con film sugli omosessuali, il cinema asiatico differisce dalla produzione occidentale degli anni '60 e '70 poiché non genera un manifesto politico, ma "si sviluppa attorno un "pianeta" d'impronta omosessuale generalmente umanistica."

Da notare, comunque, che i film provenienti dall'Asia non hanno tutti le stesse caratteristiche. Questo denominatore comune ("film asiatico") fa parte delle politiche di distribuzione che in questo modo facilitano lo scioglimento dei pregiudizi sull'Oriente e sul suo cinema che vigono nel mondo Occidentale. Negli anni precedenti, di solito, sul mercato non si presentava un film come giapponese, indiano, cinese ecc., ma come "asiatico", non solo per semplificare il contenuto, ma per dimostrare che esiste un mercato abbastanza grande per garantire la sua produzione internazionale. Il termine "film asiatico" diventa quindi un termine di convenienza, si spera temporaneo, necessario per unire le culture cinematografiche che sono state ignorate, svalutate, banalizzate nelle letture occidentali per via della semplice comune geografia e designazione linguistica.

I due film presi qui in analisi, Beautiful Mystery di Nakamura Genji e Kurutta butokai di Sato Hisayasu, oltre a essere rari esempi di film pink trattanti il tema dell'omosessualità, indicano le differenze che esistono tra le interpretazioni occidentali e quelle orientali. L'apparentemente "Occidentale" Kurutta butokai e l'apparentemente "Orientale" Beautiful Mystery, sono film ossessionati in modo sadomasochistico dal corpo maschile e da come gli impulsi SM di questi corpi s'ingaggiano involontariamente e creano strutture socio-politiche – in gruppi nel primo, individualmente nel secondo. Ambedue i film presentano oggetti d'ossessione specifici, famosi spiriti omosessuali: Yukio Mishima in Beautiful Mystery e Per Paolo Pasolini in Kurutta butokai. In tutti e due i film, il corpo è alla continua ricerca di liberarsi, e fallisce a causa del sistema politico nel quale si colloca.


Volendo fare una satira del nazionalismo militare giapponese e del suo pretesto omosessuale, il regista inquadra la trama all'interno di un gruppo militare venerante il corpo, a cui capo sta Mitani Makio. Già all'inizio, Nakamura traccia l'importanza del corpo che segnerà tutto il film, posizionando l'azione all'interno di una sala di allenamento, dove all'occhio non può sfuggire la visione di corpi maschili muscolosi, pieni di sudore, forti, in succinti pantaloncini sportivi. Un giovane, Takizawa Itsuro, viene introdotto nel gruppo e indottrinato dalla loro propaganda militarista che associa una sorta di ritualismo gay con la filosofia nazionalista. Gli appartenenti al gruppo vengono avvicinati tramite il codice di gerarchia maschile bushido dell'era feudale che avvicinava i guerrieri in un'unione omosessuale dal sapore misogino. Al nuovo arrivato viene assegnata una guida con la quale non si fa che accentuare il rapporto wakashu - maestro, caratteristico del mondo militare feudale.

Gli attori che interpretano i seguaci del culto di Mitani Makio sono tutti giovanili, in forma, senza essere troppo muscolosi. Sono, però, troppo effemminati nonostante l'allenamento militare imposto dal capogruppo. Questi continui esercizi e i loro corpi femminei contribuiscono a rafforzare l'atmosfera satirica del film poiché, dopo ore di duro allenamento all'aperto, sotto il sole cocente, l'unico sfogo e il desiderio di tutti, è l'arrivo della sera e lo spegnersi della luce (come anche della politica) nei dormitori. Le preparazioni fisiche di Mitani Makio, similmente a Mishima, devono infine essere concluse con il colpo di stato e il seppuku collettivo, che non è nien'altro che un atto di nichilismo poiché l'oggetto della sua devozione è un' astrazione dell'impero irrevocabile, non più esistente nel Giappone post-bellico. L'idea di far rivivere l'imperatore e rendere vera la sua astrazione attraverso la realtà del sesso omosessuale, per Mitani sembrano possibili.


Si divertono quindi nelle simulazioni di seppuku che non sono che una scusa per lunghe orgie in fundoshi: "non c'è dubbio che il masochismo del loro desiderio di suicidio sia un sesso artificialmente idealizzato nella politica, e non una politica idealizzata nel sesso." Il paradosso del film e il fallimento della realizzazione completa del desiderio di Mitani Makio si presentano verso la fine del film.

 


La coppia formata dal novizio Takizawa e dal più anziano Shinohara dopo una notte d'amore che doveva essere l'ultima, dato che per il giorno successivo era previsto il colpo di stato, dimentica di mettere la sveglia. I due si addormentano e mancano tutta l'operazione militare. Nel tentativo di rimediare all'errore fatto, velocemente cercano un coltello in cucina e si preparano a effettuare il tanto preparato seppuku. Però è subito evidente che i due non erano uniti da un presunto amore per un ritorno al Giappone antico, e quindi dall'amore per una causa, ma dall'amore che provavano uno per l'altro.

Mentre Mitani Makio ha portato a termine il suo piano, per i due la vita continua. Il regista proietta lo spettatore due anni avanti, in un bar dal nome "I giorni del vino e delle rose" ( già la parola rose ci preannuncia l'ambiente). I due, infatti, lavorano in un bar, dove intrattengono la clientela maschile. I lunghi e duri esercizi all'interno del gruppo di Mitani erano quindi indirizzati ad un loro futuro coming out, ad uno scoprire pubblicamente il loro orientamento sessuale. Takizawa e Shinohara non volevano svilire la propria sessualità individuale a una sessualità astratta di gruppo, l'ideale di bellezza di Mitani che non può esistere nella realtà. Il gruppo ha scelto il suicidio e i due, stranamente, un "incidente voluto" – dimenticare di mettere la sveglia, che, in fin dei conti, non può che rappresentare un cosciente esercizio della volontà (pare strano che dimentichino di mettere la sveglia proprio nel giorno del loro suicidio). La risposta si trova nell'inconscio, qualcosa che per Mitani Makio corrisponderebbe ad un incubo perché proveniente dall'occidente. Solo grazie a un "incidente" inconscio i due possono resistere alle opprimenti circostanze dell'ambiente feudale.

L'altro fatto da sottolineare è la scelta di vita dei due che ha come risultato la mercificazione del nazionalismo sessuale sotto forma di travestiti prostituenti. Sebbene in modo comico, l'inconscio (l'Occidente) permette la volontà individuale che il feudalesimo ha represso e la fa riffiorare in modo provocatorio.

Da prendere anche in considerazione è l'importanza data al corpo e ai muscoli, che diventano un'estensione biologica dell'uniforme militare. Ciò che si trova sotto quest'uniforme, deve essere forte quanto ciò che rappresenta. Conoscendo la passione di Mishima Yukio per il culturismo e per un corpo perfetto, come pure le sue scelte (omo)sessuali, non sorprende la scelta di Nakajima di rendere proprio questo personaggio della storia giapponese la fonte d'ispirazione del gruppo di Mitani.


In conclusione, è necessario sottolineare che l'arresa al gruppo da parte di Shinohara e Takizawa è al servizio del desiderio sessuale individuale. Sebbene le sequenze delle orgie siano apparentemente quelle del desiderio di gruppo, il privilegio è tuttavia dato alle coppie inidividuali di amanti devoti e l'amore viene effettuato solamente in coppia. "Il sesso può apparire al servizio del gruppo, ma viene manifestato individualmente e inizia anche come un desiderio individuale di aderire al gruppo." Si può effettuare un paragone con lo stesso Giappone, dove un individuo è costretto a mascherare i propri desideri per il bene del gruppo. Il gruppo tenta di omogeneizzare i desideri ma, se abbastanza forti, questi possono rimanere inconsci e nascosti. La forza dell'individualità omosessuale dei due è inconscia e, poiché amano in coppia, le loro volontà possono inconsciamente rimanere intatte.

Il film di Nakajima Takehiro si concentra sul desiderio individuale di sopravvivenza al di sopra di quello del gruppo, mentre quello di Sato Hisayasu, Kurutta butokai, è sempre una satira, però della pazzia del desiderio senza gruppi sociali. Laddove in Beautiful Mystery il sadomasochismo dei rapporti sessuali è stato trasformato verso le gerarchie di potere di gruppo, i rapporti d'amore sono dolci e impegnati e le aggressioni e le nevrosi sono calmate dalla struttura di potere feudale, in Kurutta butokai non c'è amore, ma un sadomasochismo esplicitamente sessuale, e non sociale come nel film precedente.

Il protagonista del film è uno scrittore e fotografo della rivista Muscle. Seguendo una gara di culturismo, viene stupito dal contrasto tra il corpo esile di uno degli sportivi, Kitami Yukahiro, con quelli robusti ed esageratemente muscolosi degli altri partecipanti. Mentre in Beautiful Mystery gli individui sono rinchiusi in gruppi e possono di conseguenza essere individuati solo tramite questi, qui è la muscolosità competitiva a individuare, sul palco e in modo capitalistico, le persone. L'attrazione del protagonista verso Kitami si sviluppa in un rapporto SM, dove il primo è più ossessionato dal secondo che non viceversa. Il culturista vede questo rapporto soltanto come uno sfogo delle sue perversioni sadiche; durante un scena "d'amore", Kitami gli taglia un cappezzolo con un rasoio. Il loro, quindi, è un rapporto di dolore, soprattutto per il giornalista che deve subire ciò. Avviene quindi un'inversione dei ruoli, poiché il protagonista non riesce a sopprimere le sofferenze, la pressione che l'altro gli causa, elimina il suo masochismo per introdurre lentamente il sadismo nella sua personalità. Durante delle riprese fotografiche taglia il braccio di Kitami con un'antica spada giapponese che non è che una metafora per un Giappone pre-occidentale e un tentativo del recupero di questo, oltre che una lotta contro un sadismo occidentalizzato, impersonato da Kitami.

Dopo un anno di prigione, il protagonista è ancora ossessionato dall'idea di Kitami e incomincia la ricerca. Contemporaneamente, nel film vengono introdotti il "personaggio" di Pasolini e il suo film Salò, che servono qui a sostituire il sadismo mancante. Il protagonista incomincia a dare sempre più valore a questo sadismo, tanto da considerarlo una forma d'arte; il braccio tagliato di Kitami esiste ancora, non è stato seppellito o gettato, ma continua ad avere una sua vita nell'appartamento del giornalista in un vaso di formaldeide, "un feticcio" che è letteralmente la "frammentazione" corporea identificata da Ōshima." Rimane sempre accanto a lui, accarezzato, conservato come se fosse un totem magico che gli trasmette i suoi poteri sadici. Rifiuta il rapporto bisessuale con la sua amica sadica; lui è disinteressato al sadismo eterosessuale poiché si considera degno di essere maltrattato solo da un uomo.

Sato Hisayasu porta il film a termine con l'incontro dei due ex amanti, nuovamente sul palco della gara di culturismo. Adesso però è Ryūzaki a essere illuminato dalle forti luci dei riflettori, come se adesso fosse lui quello che fa parte della competizione. Ryūzaki non può riconquistare il suo vecchio amante offrendogli il braccio che precedentemente gli ha dato tanto potere sadico, ma dovrà dimostrare il proprio masochismo. Decide di non tagliarsi il braccio, ma, come se volesse prolungare la presenza di Pasolini nel film, si acceca (e richiama così Edipo Re del 1967). Lui vedrà il corpo di Kitami com'era quando si erano incontrati, perché lo vedrà come se lo ricorda e lo vedrà nonostante il masochismo di aver perso gli occhi. Il protagonista ha apparentemente capito la realtà; è una comprensione che lo ha riportato al masochismo. "Questa volta, comunque, lui ha volontariamente e permanentemente rimosso il sadismo dal suo sguardo fisso, e per questo fatto anche il masochismo dello sguardo, dato che non ha più uno sguardo."


Per comprendere, infine, il ritorno a questa realtà da parte di Ryūzaki, si deve prendere in considerazione la storia della vita dell'uomo in Teorema (film di Pasolini del 1968), che in realtà è la storia della vita di Kitami, colui che rappresenta il legame sadomasochistico con l'eroe, la sua arte fotografica e le sue ossessioni cinematografiche. Il protagonista deve liberare questa sua vita intrappolata in un film. Soltanto con il posizionamento di se stesso sul palco, quando tutte le altre arti simulate finora citate potranno essere messe da parte, lui sarà in grado di arrampicarsi lentamente verso la realtà. Deve innanzitutto abbandonare la sua parte sadica e, una volta trovatosi sul palco, sarà lui che diventerà un' "arte illuminata", e sarà in grado di vedere e capire la realtà della sua ossessione nella persona di Kitami e non di un sostituto artistico.

Il boom degli anni Novanta
Quando si parla del "boom" dell'omosessualità nel Giappone dei primi anni Novanta, il contesto dal quale si deve partire è quello delle riviste indirizzate a un pubblico prevalentemente, se non solo, femminile. Quello che gli articoli di questi giornali (Crea, More, Takarajima, Hot Dog, ecc.) accentuano è un fenomeno, presente anche nell'ondata del film gay, dei rapporti che nascono tra gli omosessuali e donne presumibilmente eterosessuali. Viene esaltato il disgusto verso i rapporti eterosessuali, intesi come una potenziale minaccia sessuale (stupro). Anche nel campo della letteratura, autori, omosessuali dichiarati e non, come Fushimi Noriaki (Puraibeito gei raifu), Ito Satoru e Yanase Ryuta (Otoko to otoko no ren'ai noto), Kiyohara Munetaki (Homotaimu) hanno dedicato le proprie pagine all'analisi di questo nuovo fenomeno, alla problematica del coming out, ecc.

Prima degli anni Novanta, non ci sono stati molti film che abbiano esplorato il mondo degli omosessuali; spesso venivano sfruttati gli omosessuali oppure erano stereotipati per intrattenere un pubblico prevalentemente eterosessuale. Dagli anni Settanta incominciano a essere presenti in un segmento della pornografia gay. Questi film prendevano il nome di barazoku eiga, ("I film del gruppo della rosa", nome derivato dal primo giornale omosessuale), e raggiunsero la piena attività nei primi anni Ottanta.

Il regista che in un certo senso ha infuso di una nota poetica nella rappresentazione della tematica omosessuale è stato Hashiguchi Ryosuke. Nel 1993 è apparso il suo film Hatachi no binetsu, grazie al quale non solo viene introdotta la terminologia "gay" nella società giapponese e in tutta la serie dei film appartenenti al gruppo dei "boom", ma è cambiata anche la situazione dello stesso cinema giapponese. Con questo film, la parola gay divenne un'espressione comune, cosicché esso ebbe pure un effetto positivo sulla cultura omosessuale in Giappone. Girato in 16 mm, richiese pochi aiuti economici e né il regista né gli attori ottennero alcuna retribuzione. Il tema di un personaggio omosessuale che conduce una vita normale non era stato mai trattato prima nel cinema giapponese e, di sicuro, non in quelli normalmente distribuiti. Il soggetto, quindi, era di gran rischio, ma a differenza di molte produzioni di studio commerciali, realizzate con budget più elevati, il film di Hashiguchi ebbe un gran successo. Lo scalpore nel mondo dell'industria cinematografica non poteva che crescere. Di conseguenza, anche i grandi studi incominciarono a produrre film a basso budget. I risultati nella qualità, però, non furono gli stessi.

Quello che invece cambiò, fu la situazione dei registi indipendenti, che incominciarono a lavorare nello stesso modo di Hashiguchi, cioè con un basso budget, per ottenere successivamente una distribuzione teatrale. Il risultato fu che i registi indipendenti ottennero più fondi e che i canali di distribuzione aprirono le loro porte ai loro film. Adesso ci sono molti più registi che hanno l'opportunità di creare e finire i loro progetti e mostrarli ai festival stranieri. Hashiguchi afferma che creare un film diventa una sfida personale per "essere conscio di se stesso" e per "superare i propri problemi." Nell'ideazione del film Hatachi no binetsu, Hashiguchi ha rispecchiato le proprie esperienze da persona omosessuale e ha riflesso il conflitto emotivo che ha dovuto attraversare in adolescenza. Quindi, è con questo film che si può incominciare a parlare del concetto e della problematica omosessuale e del kamingu auto (coming out) delle persone gay. Nei film precedenti, gli omosessuali erano rappresentati come persone eccentriche, curiose, come dei travestiti. Da allora in poi, il termine gay è diventato d'uso comune, moderno, ed è apparso anche nei film televisivi in prima serata. Nei film come il già nominato Hatachi no binetsu, ma anche in Nagisa no shindobado del 1995, Hashiguchi esplora il mondo degli adolescenti e i primi incontri con la propria (omo)sessualità, le paure e le derisioni che vengono subiscono dai coetanei.


Un rapporto che diventa sempre più abituale in gran parte della produzione dei primi anni Novanta, è il triangolo uomo-donna–uomo, nel quale gli uomini sono gay e la donna è eterosessuale. Oltre a questi e a Okoge di Nakajima Takehiro, altri film, come ad esempio Kira kira hikaru di Matsuoka Jōji (1992), 800 tsu rappu rannazu di Hiroki Ryuichi e Hush! di Ryosuke (2002) esplorano queste scelte di "vita a tre". Il film considerato iniziatore del boom è Okoge di Nakajima Takehiro, la cui carriera da regista inizia con il film vagamente autobiografico Kyōshū, da molti considerato il precursore del film del '92, in particolare per il suo famoso, molto più esplicito, bacio gay e le scene dei rapporti omosessuali. La parola che forma il titolo del film è strettamente legata al termine okama, presa dal gergo giapponese per indicare un uomo omosessuale. Okoge significa il riso bruciato che si attacca alla pentola, ed è un termine dispregiativo che si riferisce alle donne alle quali piace la compagnia degli omosessuali. Sayoko, la protagonista, viene subito attirata dai protagonisti maschili, Gō e Tochi, dal loro mondo, dai bar gay, dagli okama, e abbandona pure gli amici che normalmente frequentava. Lei è una donna moderna, vive in città, è impiegata, abita da sola e in un certo senso rappresenta il sogno della liberazione dai vincoli della tradizione, dai soldi, dalla famiglia, dal matrimonio e dagli uomini. Volendosi a tutti i costi allontanare dal "suo" mondo, si sente in simbiosi con gli omosessuali; prova i loro stessi dolori, le loro stesse paure, i loro stessi sentimenti.

Gō, il più giovane della coppia gay, ha molto a che fare con "l'uomo effemminato" che appare nei media utilizzati dalle donne; si occupa della madre ammalata, prepara da mangiare, presenta l'emotività e la sensibilità comunemente associata alle donne. Nel rapporto che ha con il suo amante, Tochi, si potrebbe definire un partner "passivo", e anche il sesso è un qualcosa che subisce. Inoltre, egli è presentato come un partner ideale nei confronti di Sayoko e di suo figlio (nato dallo stupro da parte di un ex fiamma di Gō). I due non hanno dubbi dell'amore che provano l'un per l'altro, ma nello stesso momento si rendono anche conto di non avere una solida base per intendere quest'amore o almeno sostenerlo. Il suo amante, invece, è condizionato dall'ambiente del lavoro e nasconde l'mosessualità dietro un matrimonio che va in frantumi. La sua insofferenza, l'insensibilità, l'insicurezza, che nel film non fanno che svilupparsi, hanno fatto allontanare tutto ciò che gli era più caro. Gō e Tochi, sebbene fisicamente vicini, sono già distanti nei rapporti sessuali che conducono, con l'evidente mancanza di passione da parte del secondo. Egli adesso deve sforzarsi di trovare una sua felicità, a differenza di Gō che offre un cambiamento alla propria vita, creando una nuova identità eterosessuale come partner di Sayoko e padre di suo figlio.

In una delle scene finali del film, passeggiando attraverso Shinjuku ni-chome, lo sguardo di Gō è evidentemente attirato da un omosessuale. Alla domanda se questo sia il suo tipo, Gō risponde, "No, non proprio." Secondo i sottotitoli di Donald Richie, Sayoko dice "Non fa niente" (nel senso di "Non mi preoccupo") e questo implicherebbe il suo perdono per un breve "scivolamento." Però, quello che Sayoko precisamente dice è: Ii desu yo...watashi wa, che significa: Per me va bene, dichiarazione alla quale fa un'affermazione.

Quest'ultimo dialogo del film compromette qualsiasi suggerimento che i due abbiano incominciato un nucleo familiare normale. L'identità omosessuale di Gō rimane esplicita e riconosciuta. Questa "famiglia" non ha confini predeterminati o ruoli prescritti. Sia Sayoko sia Gō rinunciano ad una "mappa di sistemi nella quale l'identità funziona come un nodo regolatore riformando i potenziali flussi di disordine in una rappresentazione professionale." Nella scena finale del film, mentre Gō e Sayoko dondolano il bambino, "il significato rimane oscillante nel mezzo di "un'impalcatura" che dipende dai ricordi e dai movimenti di due corpi radicalmente differenti e con oggetti di desiderio diversi (il singolare raduno del divenire). La struttura può essere familiare, ma non intima. I flussi sono imprevedibili.

Il boom nel contesto del cinema asiatico
L'anno 1993 è segnalato da Lawrence Chua, giornalista della rivista americana Nation, come "L'anno del film queer asiatico". Si trattava, però, dell'anno dell'avvento del cinema asiatico omosessuale nell'America Settentrionale, non del film queer in sé. Numerosi furono i film negli anni precedenti; Furyō, 1999-Nen no natsu yasumi, Bara no sōretsu, Macho dancer ecc. Il '93 è caratterizzato da una vasta produzione e dall'importanza datagli. Spiccano qui Il banchetto di nozze di Ang Lee, il nominato Okoge, e Addio mai concubina di Chen Kaige. Il successo è dovuto ai numerosi festival di film gay e lesbici che incominciavano a fiorire.

Il risultato dell'introduzione di questo genere di cinema asiatico e il frequente privilegiare la sola sessualità, hanno negato la possibilità di altre letture (critiche) necessarie per la comprensione dei film. La critica non si è sforzata di comprendere le "complessità di genere che spiegano il successo commerciale dei film del gay boom in Giappone." Analizzandoli significativamente e intendendoli semplicemente come una rappresentazione del mondo omosessuale giapponese, non si possono comprendere, anzi rimangono nascoste, le politiche reazionarie sui generi che motivarono il loro apparire nei primi anni Novanta. Inoltre, la critica di questo genere si concentrò sulla nazione come il principale tropo organizzativo, anche se nel mondo cinematografico, soprattutto per quanto riguarda la produzione e il capitale, i confini vengono, in un certo modo, eliminati.

Un esempio di quanta importanza sia stata data alle distinzioni nazionali e tradizionali, si può trovare, sempre nell'anno 1993, nel corso del San Francisco Gay & Lesbian Film Festival. All'apertura, il curatore Paul Lee mise in contrasto i film in lingua cinese come Addio mia concubina, L'oriente è rosso, L'usignolo silenzioso con quelli in lingua giapponese, Okoge, Hatachi no binetsu e Kira kira hikaru. Questi ultimi trattano apertamente i problemi della sessualità e della discriminazione odierna e vengono, di conseguenza, considerati progressivi e politici, guide della nuova ondata del cinema queer asiatico. La controparte cinese, impostata storicamente e artisticamente, non contiene "il linguaggio immaginoso delle politiche queer" che il Giappone offre in modo asserito, e può "entrare nelle menti strette dei facilmente offesi attraverso una finezza sovversiva." Una lettura più attenta delle parole di Lee, ci rivela una metafora storica; Lee offre una differenza dei film sull'asse nazionale della modernità/tradizione e aggressività/sottigliezza, dove il Giappone rappresenta uno stato maschile e la Cina quello femminile, metafora con una nota di leggera superiorità da parte del Giappone, se si prendono in considerazione i fatti storici dei due paesi nella metà del secolo scorso. Le dichiarazioni di Lee sono poco stabili, poiché riescono a tracciare un tema comune nei film cinesi ("il giocoso travestitismo e i romantici rapporti nelle tradizionali compagnie liriche"), ma non prendono in considerazione il filo conduttore dei film del gay boom giapponese: i rapporti tra donne eterosessuali e omosessuali. Al contrario, Lee introduce nel suo discorso film come Bara no soretsu del 1969 che, sebbene importante per la sua complessità sia politica che cinematografica, non fa che mostrare il suo sconforto nel parlare delle ultime produzioni del cinema giapponese che fanno parte del gay boom.

Prendendo in esame Okoge di Nakajima Takehiro e Il banchetto di nozze di Ang Lee come punti di riferimento, si nota che i film del gay boom giapponese si differenziano dal rimanente cinema omosessuale asiatico dei primi anni Novanta, principalmente nella strutturazione del genere. Mentre nel film di Ang Lee, oppure in Addio, mia concubina di Chen Kaige (1993), i ruoli femminili sono complicazioni o elaborazioni di una centrale relazione omosessuale, Okoge vede incentrare la sua trama attorno al, per così dire, aggiunto ruolo femminile. Analizzando questi film, il critico Yodogawa Nagaharu, ha notato l'assenza del kage (ombra, segreto), parola che suggerisce il nascondere l'omosessualità (closet). Il banchetto di nozze sostiene il closet per poterlo recuperare alla fine del film in servizio del sistema patriarcale transnazionale; i film del gay boom, invece, risiedono nel marchio nazionale della giapponesità e in una femminilità che è evitata dai virili Chao e Liechtenstein."

Nel descrivere i due protagonisti del Banchetto, Yodogawa sostiene: "...i due sono entrambi vivaci e maschili. Nessuna traccia d'ombre su di loro. Abbiamo raggiunto il momento quando gli omosessuali possono baciarsi con poche preoccupazioni." In Okoge e in Kira kira hikaru, i personaggi dichiarano la propria omosessualità già dall'inizio del film, e quindi il regista trova altri modi per condurre la narrativa del film. Il Banchetto di nozze, invece, gioca durante tutto il film sulla suspense, cioè se i genitori di Wai Tung verranno a scoprire o meno la sua omosessualità, ed è quindi l'unico dei tre dove il cosiddetto closet rimane intatto fino alla chiusura narrativa.

L'importanza delle osservazioni di Yodogawa, comunque, non sta tanto nella differenza tra le storie, ma "nel posizionare i film di fronte ai loro mercati nazionali e mercati di genere e i loro presunti spettatori." Secondo Chiang, il successo del film di Ang Lee è legato alla sua "vicinanza alla cultura e ai valori della classe capitalista", fatto notevole, se si osserva l'appartamento della coppia oppure i vari ristoranti cinesi. I film giapponesi, non presentando una tale qualità generica, non avevano la possibilità di circolare in questi ambienti di mercato globale né di poter essere "assimilati in un globalismo post-moderno" trattato da Chiang.

L'omosessualità nella Tv giapponese
Nella maggior parte dei casi, nella Tv giapponese gli omosessuali sono presentati come personaggi marginali; l'identificazione esplicita è presentata in forma di confessione, ma questo succede raramente. I documentari affrontano il tema dell'omosessualità in determinate occasioni, come, per esempio, in occasione della settimana della lotta contro l'AIDS. Oltre a questo, i ritratti delle persone gay devono entrare in stereotipi predefiniti o, contrariamente, non possono essere riconosciuti.

Il film Okoge presenta uno stereotipo molto frequente - l'okama che include la curiosità, la commedia; si tratta di individui buffi, bizzarri, divertenti, dei waraimono, figure di derisione e distrazione. L'elemento umoristico deriva dal loro insuccesso e il più delle volte sono presentati come dei travestiti falliti. Normalmente, nei serial Tv agli okama vengono offerti dei ruoli minori, che offrono una nota umoristica all'intera storia. Spesso hanno il ruolo di "sorella maggiore" (Tosenbo dōri, NHK, 1992), oppure gli viene assegnato il ruolo materno (in questo caso il genere prende il nome di hahamono, come in Soredomo boku wa haha ni naritai, Nihon Terebi, 1990).

La Tv Giapponese ha trovato un'alternativa alla commedia nella tragedia, nei drammi come Kare to kare no ai no monogatari (1992) o Sono toki, hato wa nusumareta (Fuji Terebi, 1992), nei quali l'amore tra due uomini è interrotto dalla morte di uno dei due personaggi. L'elemento dell'omosessualità è introdotto tramite la confessione, e spesso il serial ripete degli elementi dei classici drammi giapponesi come l'amore fisico negato, l'accento posto sugli obblighi familiari e una fine tragica.

L'ultimo espediente usato dai produttori Tv è quello dell'orrore e dell'allontanamento dell'omosessualità per via dell'offesa alla moralità. Non raramente, per mostrare il loro disgusto, i personaggi si sentono male e addirittura vomitano. Usato nei cartoni animati, combinando la commedia con l'orrore, si vuole dare una "nota" d'educazione sessuale ai bambini, indirizzando la loro sessualità verso quella giusta. (O botchama kun, Asahi Tv, 1990)

Le avversioni per i personaggi omosessuali sono presenti anche tra gli attori che rifiutano un ruolo gay per il pregiudizio che, una volta accettato, non potranno più liberarsi di quest'etichetta (negativa). Il gioco dell'associazione, quindi, permette di segnare gli attori che interpretano ruoli d'omosessuali. Non sorprende allora il fatto che lo stereotipo della persona gay diventi cruciale per il suo riconoscimento; le forme culturali fanno uso di "segni dell'omosessualità, un repertorio di gesti, espressioni, atteggiamenti, abbigliamento e anche dell'ambiente...un tale repertorio di segni che rendono visibile l'invisibile, è la base della rappresentazione delle persone gay, usando il riconoscimento visivo."

Quando si tratta di presentare persone gay straniere, i programmi diventano più liberali ed espliciti. Da loro non ci si aspetta che entrino negli stereotipi e così, "noi Giapponesi (wareware Nihonjin) possiamo usare una terminologia straniera come 'gay' per indicarli". Questi diventano un'eventuale minaccia se si trovano in Giappone e solo allora c'è il bisogno di ricorrere all'uso degli stereotipi oppure del rallentamento dell'annuncio di quello che è culturalmente inaccettabile.

Il dramma televisivo che fece maggior scalpore in tutto il Giappone, Dōsōkai, fu presentato nel 1993 per dieci settimane. A differenza dei programmi occidentali, questo presenta i suoi caratteri omosessuali senza remore, in personaggi che non sono più marginali ma principali. Il tutto, accentuando l'erotismo omosessuale, è presentato attraverso la forma del melodramma a puntate, "spingendo i limiti della tolleranza nazionale, normalizzando e rendendo omogenea l'omosessualità, mantenendola all'interno di una forma convenzionale". Molte delle scene del programma furono riprese nello stile del soft porn con la camera persistente sui corpi maschili parzialmente nudi e zoomando su parti del corpo durante i rapporti sessuali. La ragione di un'ampia ricettività e trasmissione di Dōsōkai si trova non nel suo radicale approccio all'omosessualità, ma piuttosto nel modo in cui il suo straordinario soggetto è stato incluso nell'ordinario, usando tutti i codici familiari del discorso sociale e televisivo. Le parole della stessa comunità gay sono la conferma del successo di Dōsōkai poiché gran parte di loro percepisce la propria vita in termini di "pre-Dōsōkai" e "post-Dōsōkai".

La ragione del successo si trova anche nella sua forma di melodramma che, nella nostra terminologia occidentale, corrisponderebbe alla telenovela, soprattutto quella americana. In Dōsōkai tutto è fatto in modo esagerato: a partire da numerosi primi piani, un'illuminazione esagerata, l'uso delle arie e dei crescendo musicali, dei dialoghi poetici, il veloce cambiamento delle emozioni dei personaggi, le scene mozzafiato ecc. Per quanto riguarda il triangolo familiare presentato nella maggior parte dei film del gay boom, Dōsōkai presenta somiglianze molto forti con il film Okoge. Anche il serial televisivo si conclude con la formazione della famiglia; nella scena finale, Fuma, Natsuki e il loro figlio stanno facendo una passeggiata. Sembra una tipica famiglia eterosessuale. Fuma, però, osserva la strada e vede un lavoratore che sembra uguale al suo amante (che è pure il padre di suo figlio). Fuma è colpito dalla somiglianza e lo fissa, mentre Natsuki incomincia la conversazione e invita l'uomo ad un'eventuale cena. Come in Okoge, questa famiglia è conscia del fatto che il marito non può rispondere alle necessità della moglie e avrà bisogno di qualcun altro per completarle. Questa è quindi una famiglia nata dalla necessità.

I film, gli sceneggiati a puntate, i film per la televisione ecc., presentati nei media giapponesi, mostrano le poche possibilità che gli stereotipi ci offrono per indicare le sessualità marginali. La loro gamma è estremamente ristretta, la loro natura è spregevole; questi stereotipi dipendono in gran parte dalle forze che decidono da chi e per chi sono creati. Il problema dei limiti degli stereotipi usati dai media è che questi non sono usati come mezzo per allargare il repertorio, ma piuttosto per segnalare "l'altro", qui omosessuale, considerato una minaccia dalla società prevalentemente eterosessuale. Il semplice pericolo di essere etichettato omosessuale oppure lesbica è, quindi, un potente mezzo per tenere la gente all'interno dei loro appropriati ruoli di genere. Per questa ragione, come abbiamo visto, i media le definiscono sessualità "inadatte", fuori dai confini per la maggioranza, e ricorrono all'uso del ridicolo, dell'incredibile, del tragico oppure dell'orrendo nella rappresentazione di queste. I film, le telenovelas ecc., non sono quindi "solo" spettacolo o forma d'intrattenimento, ma, se si prende in considerazione l'omosessualità, una forma di "incanalamento" da parte della società eterosessuale che, tramite l'uso di determinati stereotipi, cerca di imporre in modo sottile le "giuste" scelte sessuali.

Quello che rimane da vedere è quale direzione prenderà il film queer giapponese dopo il boom gay, i cui film – a eccezione dell'ottimistico Okoge – spesso sembrano più interessati a creare un'estetica minimalista di malinconia, piuttosto che a esprimere aperte opinioni politiche. Anche i film cult, presumibilmente eccentrici, piuttosto che sfidare la sensibilità borghese nello stile della Nuova Ondata degli anni Sessanta, tendono a placare un pubblico eterosessuale borghese presentando l'omosessualità come un curioso tabù, per spettacolo. Per esempio, Fudoh, di Miike Takashi del 1996, presenta un mondo nichilista, ispirato al manga, dove i caratteri queer esistono solo per aggiungere un altro colore sensazionale alla gamma del sesso sfrenato e della violenza presenti nel film.

Le politiche di liberazione gay occidentali sono ancora un fenomeno nuovo in Giappone e, quindi, le tematiche omosessuali non possono essere impostate all'interno di queste. Il cinema giapponese offre visioni di trasgressioni sessuali che sono lontane dalle politiche occidentali di correttezza e dagli ideali d'assimilazione dei diritti civili; è in questo che consiste l'unicità del film queer giapponese.

Il cinema giapponese è forse l'unico al mondo ad avere una produzione di massa di film sessualmente trasgressivi, nella forma degli anime, "sui travestiti", per bambini e adolescenti. Bisogna però apprezzare tali differenze culturali e realizzare che il cinema giapponese offre le alternative omosessuali in modo più fantasioso, giocoso e possibilmente più trasgressivo rispetto alla convenzionale controparte occidentale e le loro politiche d'identità.
file:///C:/Users/User/Desktop/Asiamedia/ASIAMEDIA/Asia%20media%20sito/vetrina/proposte/omosessualita.html#Anchor-Stori-23833