I racconti di Sait Faik tradotti da Giampiero Bellingeri e Fabrizia Vazzana

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Giampiero Bellingeri è professore di Lingua e letteratura turca all’Università Ca' Foscari. Ha tradotto in italiano alcuni dei nomi più eccellenti della letteratura turca, come il Premio Nobel Orhan Pamuk e i poeti Nazim Hikmet e Yahya Kemal, e per i suoi meriti di traduzione ha ricevuto premi come il Premio Speciale del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione (2008). Fabrizia Vazzana, all'epoca studentessa di Lingue e civiltà dell’Asia e dell’Africa mediterranea, ha frequentato con entusiasmo i suoi corsi, spinta e accomunata al docente dall’amore per la lingua turca e per gli scrittori che riscattano la bellezza, le storie e i colori di un Paese così tormentato.

Il giorno dopo il conferimento della laurea magistrale, la dott.ssa Vazzana ha ricevuto una telefonata della casa editrice Adelphi, che la contattava dietro suggerimento del professore: questi aveva accettato di tradurre i racconti di Sait Faik solo a condizione che venisse coinvolta anche lei. "La loro proposta aveva il suono di un sogno sul punto di realizzarsi", racconta la dott.ssa Vazzana. "Tradurre, cioè maneggiare e trasportare con estrema cura ogni parola, ogni sfumatura che avrebbe poi ricomposto i pensieri, le inquietudini, i ricordi, le confessioni e anche i vaneggi di Sait Faik, dalla sua lingua alla mia, è stato un viaggio, una promessa, un testardo e romantico isolamento fra i meandri della nostra semantica e dei suoi sentimenti."

Che tipo di scrittore era Sait Faik Abasıyanık e quale Turchia ha raccontato?

Sait Faik (1906-1954) si distingue per la versatilità. Ha coltivato infatti generi diversi (diaristica, reportage, cronache giudiziarie, inchieste, interviste, saggistica; e dapprima la poesia (in italiano è, per esempio, disponibile la raccolta Ora è tempo per amarsi, a cura di G. Bellingeri, Lunargento 2020). Per onestà va detto che il nostro autore non era poi così sconosciuto in Italia: anni fa era già uscita una sua raccolta (Az şekerli. Con poco zucchero, trad. di L.G. Beretta, Ed. A Oriente! Milano 2006).

Dal 1931 al ’34 soggiorna a Grenoble, dove approfondisce la conoscenza delle lettere europee e francesi, e conosce André Gide e Marcel Proust, e traduce Lautréamont e Genet.

Di ritorno in Istanbul si dedica a un intenso lavorio di ricerca inscindibile dal suo disordinato vagare tra le osterie e le viuzze, dove cattura voci, visioni, riesposte in un montaggio di frammenti distorti da pieghe oniriche, fra solitudine e incontri trasognati, secondo sequenze mutevoli, descrizioni della bellezza soprattutto virile. Ruba istanti, nel tormento del senso di colpa. Quelle sue, più che trame, sarebbero sequenze balenanti.

Perché leggerlo oggi?

Leggerlo ancora oggi significa dilatare e approfondire un panorama, tornare a collocarlo tra i grandi autori delle lettere turche contemporanee, ma anche ricontestualizzarlo nella storia recente della Turchia, nel disagio e nel racconto polifonico di Istanbul. Il tutto in una sfilata di immagini, di tristezze, di ripensamenti su se stesso e sul proprio Paese. Timido e inaspettato confidente degli ultimi, dei bizzarri, dei solitari e dei disperati, Sait Faik, con la sua sensibilità, svela a chi lo legge di saper confessare i suoi pensieri più ingarbugliati, voler comprendere quelli altrui, raccontarsi col candore e impazienza, affrontare i propri sentimenti, le proprie inquietudini, e spingere tutti a provarci…

Qual è il filo rosso che vi ha guidato nella scelta dei racconti?

Il filo rosso seguito è quello che attraversa suggestioni, suggerimenti, nella volontà di offrire un’idea della scrittura cangiante di Sait Faik: una prosa che viene ad affiancare le sue poesie. Si tratta di quaranta racconti tratti da sue varie raccolte pubblicate in Turchia dal 1936 al 1954. La consideriamo un’ampia e ricca scelta che permette di conoscere il percorso dello scrittore e seguirne le scelte stilistiche, tematiche, espressive. Questo è uno dei numerosi meriti degli Editori (Adelphi), senza i quali non avremmo realizzato questo splendido progetto.

Che prosa caratterizza l’autore? Quali sfide ha posto nel corso della traduzione?

Sait Faik scrive inseguendo la liberazione dalle regole, grammaticali e morali, che imprigionano, costringono, i sentimenti e bisogni espressivi. Tra le sfide poste dal suo stile a chi traduce, c’è quella rappresentata dalle esigenze di ricostruire in italiano le sue frasi, aderendo il più possibile alle sfumature di quella oralità registrata durante le sue escursioni/incursioni nei quartieri popolari di Istanbul e nella esistenza quotidiana condotta nelle Isole del mar di Marmara, tra i pescatori, (l’isola di Burgaz, in particolare, dove la villa di famiglia è diventata Museo).

Vi sono aspetti particolari della prosa di Sait Faik Abasıyanık che vi rendono caro il suo lavoro?

A renderci caro il suo lavoro, accanto alle invenzioni formali, intervengono i rimpianti di un saper vivere irraggiungibile, l’etica della passione dibattuta fra la morale opprimente e l’anelito a una liberazione mai realizzata. Ci ha accompagnato durante questo lavoro, assidua, la partecipazione alla sua inseparabile malinconia. Sait sembra prenderci per mano e condurci nella sua piccola isola, tra la gente del quartiere o per i viali, le piazze, i ponti di Istanbul, città così immensa da fargli paura. Coi suoi occhi attenti osserva, si commuove, si innamora, sogna... E anche ciò che giunge alle sue orecchie ritorna fedele tra le pagine dei suoi racconti, che registrano dialoghi con e tra personaggi più disparati, dai bambini di strada ai marinai misantropi, donne sciagurate e ragazzini angelici sfregiati dalla lebbra. Le storie di Sait Faik sono fantasiose come sanno esserlo il destino e la realtà, variopinte e imprevedibili come quel mare profondo in cui il nostro scrittore vorrebbe sparire, nei momenti di sconforto.

Rachele Svetlana Bassan