La ‘Brexit’ del professor Gentilcore per studiare l’Italia

condividi
condividi

Un affermato professore canadese lascia dopo 25 anni l’accademia britannica per trasferirsi in un’università italiana. Accade il 1 novembre 2019. Inevitabile pensare ad un “effetto Brexit”. Nella storia di David Gentilcore, tuttavia, la Brexit è solo una delle tante buone ragioni per il salto dal mondo universitario anglosassone a Ca’ Foscari.

Professore di Storia moderna, esperto di Storia della medicina e in particolare dell’Italia, ha scritto tra l’altro la “Storia del pomodoro in Italia” e “Italiani mangiapatate”. Ora, grazie ad un prestigioso Advanced grant dello European Research Council (Erc), Gentilcore metterà al lavoro al Dipartimento di Studi Umanistici un team di sei persone per ricostruire la storia italiana partendo da una risorsa indispensabile, ma sottovalutata dagli studiosi: l’acqua.

Professor Gentilcore, che ruolo ha avuto la Brexit nella sua scelta?

“La Brexit ha creato un clima d’incertezza che ha pervaso la quotidianità, soprattutto degli stranieri come me e la mia famiglia. L’Università di Leicester mi sosteneva, come mi ha sempre sostenuto, ma le incognite erano tante per un progetto che prevedeva di reclutare diversi storici dell’Italia, molto probabilmente italiani. Devo anche dire che durante tutta la mia carriera ho sempre cercato l’occasione giusta per trasferirmi in Italia. Ho vissuto per brevi periodi a Roma ed Arezzo, ma il sistema dei concorsi è difficile da approcciare per chi viene dal mondo anglosassone. L’occasione è arrivata con il grant Erc e ho contattato alcuni atenei italiani, consapevole che pure il governo incoraggia l’arrivo di studiosi stranieri”.

Perché Ca’ Foscari?

“Perché si è dimostrata di gran lunga la sede più preparata per accogliere progetti europei. Ho vinto diversi grant, ma questo per me è il primo vero finanziamento europeo. Qui trovo una grande esperienza che mi sosterrà nella gestione. Nel dipartimento ho avuto un’ottima accoglienza, sono emerse molte proposte di collaborazione. A Leicester ero l’unico ad occuparmi dell’Italia, una voce nel deserto. Ora cambia tutto”.

La sua famiglia ha origini nel borgo beneventano di Molinara. Per questo è diventato uno storico dell’Italia?

“Fin da piccolo ho avuto interesse per il passato, anche per gli oggetti del passato. Poi è venuta la scoperta delle origini. Mio padre, geografo, parlava dialetto, come accade per molti discendenti di emigrati, ma conosceva anche l’italiano. Avevo 11 anni quando mi incoraggiò ad imparare la lingua. All’università, poi, ho studiato la storia, la cultura e la letteratura”.

Ha ottenuto dalla Commissione europea 2,4 milioni di euro per un progetto sul ruolo dell’acqua nella storia. Propone addirittura un nuovo metodo, seguendo il flusso dell’acqua con tutto ciò che simbolicamente e fisicamente le ruota attorno. Come le è venuta questa idea?

“La battuta facile è questa: dopo aver studiato i cibi per tanto tempo, mi è venuta sete! (ride, ndr) In realtà, mi sono reso conto di come l’acqua che beviamo, indispensabile per la vita, sia stata poco studiata dagli storici. Sappiamo che in epoche non troppo lontane si preferiva bere vino, o birra. E poi? come abbiamo imparato a distinguere l’acqua pericolosa da quella che si può bere? Mi sono chiesto come sarebbe diverso raccontare la storia di una società a partire proprio dall’acqua. Dopo il primo momento di illuminazione, ho studiato molto, grazie a una fellowship biennale a Marsiglia che ho sfruttato per indagare l’incredibile sistema idrico di Napoli, basato su enormi grotte scavate nel tufo in cui veniva fatta decantare l’acqua pubblica”.

Lo studio spazierà dal 1500 al 1900. Tra i primi eventi, c’è l’istituzione del Magistrato alle Acque di Venezia, nel 1501. D’istinto viene il collegamento con l’attualità: immaginiamo i suoi colleghi tra qualche generazione impegnati ad applicare il suo metodo per rileggere vicende storiche come il Mose…

Benedetto Croce diceva che le risposte vengono dal passato, ma le domande sono dettate dal presente. E’ normale per me, come storico, proiettare nel passato interrogativi attuali. Viceversa, credo che dalla nostra ricerca potrà emergere non un consiglio, non sta a me darli, ma la riscoperta di tecniche di gestione idrica sostenibile”.

Uno degli ‘streams’ di ricerca del progetto Water-Cultures è dedicato alle città. Si occuperà di Venezia?

“Portare il progetto a Venezia ha un significato particolare. Nel team composto da 3 studenti di dottorato e 3 postdoc, un ricercatore mapperà e metterà a confronto l’evoluzione delle reti idriche di Napoli, con le sue grotte, e Venezia, con i suoi pozzi. Sanudo diceva che Venezia sta sull’acqua ma non ha acqua, proprio perché si beveva l’acqua piovana”.

Da quando si inizia a parlare di acqua potabile?

“Nella seconda metà del ‘700 cambia la scienza dell’acqua, subentra la chimica per studiare le acque termali e minerali. Il termine ‘potabilità’ si trova a partire dall’800. A metà secolo, grazie al medico John Snow che identifica l’origine idrica dell’epidemia di Londra, il colera fa scoprire che l’acqua può diffondere malattie”.

Nell’Italia di oggi il consumo di acqua in bottiglia è da record. Come nasce questa particolarità tutta italiana?

“Il paradosso italiano è aver fatto un referendum per l’acqua pubblica per poi consumarla in bottiglia. In origine, fu l’acqua termale a essere imbottigliata. Le sue caratteristiche e il suo valore giustificavano il costoso processo di conservazione in contenitori di vetro, trasporto e vendita. Studieremo il fenomeno dell’imbottigliamento anche consultando archivi aziendali”.

Quali saranno le altre fonti?

“C’è l’imbarazzo della scelta. Dipenderà dai ricercatori del team. Il bello di questi progetti sta anche nella libertà di imboccare percorsi in corso d’opera, senza decidere tutto a monte. Sicuramente ci occuperemo di terme, ad esempio, ma dove farlo è tutto da vedere. Ho alcune idee, naturalmente, ma voglio confrontarle con quelle dei ricercatori del team che costruirò presto”.

Enrico Costa