Jebel Barkal, gli scavi 2019 e 47 anni di ricerche italiane a Ca' Foscari

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photo credits: Francesca Iannarilli

Jebel Barkal: all’ombra della ‘Montagna Pura’

L’area archeologica del Jebel Barkal, ai cui piedi si sviluppò  il centro di Napata, nell’antica  Nubia, si trova nell’odierno Sudan settentrionale, poco meno di 400 km a nord di Kharthum, capitale del paese. Il sito, Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 2003 e uno dei più importanti del Sudan, deve il suo nome a una formazione rocciosa in arenaria, il Jebel Barkal (Jebel = montagna in arabo), che domina un territorio pianeggiante e desertico a circa 2 km dalle fertili rive del fiume Nilo. Essa raggiunge un’altezza di quasi 100 metri ed è caratterizzata da un pinnacolo di oltre 70 metri.

Queste caratteristiche fisiche e la rilevante posizione strategica resero l’area del Jebel Barkal  di particolare interesse fin dalla metà del II millennio a.C.: infatti, le prime testimonianze della presenza egizia nel sito, con la fioritura della città di Napata e della sua area templare ai piedi della montagna, risalgono al regno di Thutmosi III (XVIII dinastia, 1479-1425 a. C.). Gli Egizi identificarono in Jebel Barkal la dimora del dio Amon e la chiamarono “Montagna Pura”. Napata mantenne il ruolo di importante centro cerimoniale legato alla regalità sacra anche nei secoli successivi: con la XXV dinastia (chiamata nubiana, 714-663 a. C.), il periodo Napateo (VII-III secolo a.C.) e il periodo Meroitico, le cui ultime attestazioni monumentali nell’area risalgono al I secolo d.C.

La Missione Archeologica Italiana

La moderna città di Karima, poco distante da Jebel Barkal, ospita la Missione Archeologica Italiana fin dai tempi della prima campagna. Alla direzione degli scavi italiani si sono susseguite tre diverse università: dal 1973 la ‘Sapienza’ di Roma, sotto la guida del prof. Sergio Donadoni, fondatore della missione; dal 2005 l’Università degli Studi di Torino e infine nel 2011 la direzione della Missione è passata a Emanuele M. Ciampini, professore di Egittologia presso il nostro Ateneo.

Nel quinquennio 2014-2018 la Missione ha fatto parte del Qatar-Sudan Archaeological Project, con il prof. Ciampini responsabile del progetto  «Palatial and monumental area north of the Temple of Amun in Jebel Barkal (mainly of the Meroitic period)» (QSAP.A.34).

L’area archeologica si presenta divisa in tre settori – ci spiega il professor Emanuele M. Ciampini. Al centro sono i templi, dominati dal grande santuario di Amon di Napata, e legati alla storia più antica del sito (dal regno di Thutmosi III, sino al periodo meroitico, I sec. d.C.). A sud-ovest dei templi è la necropoli, dominata da una serie di piramidi datate al III-II sec. a.C., mentre a nord dell’area sacra è un vasto settore palaziale, dalla lunga storia (le prime fondazioni possono datarsi al III-II sec. a.C.) e dominato dal complesso regale voluto dall’ultimo grande re meroitico, Natakamani (I sec. d.C.).

È proprio in quest’ultimo settore, con il palazzo reale di Natakamani identificato nel 1978 (B1500), che la Missione Archeologica Italiana ha concentrato il proprio interesse fin dalle prime campagne. Natakamani promosse un imponente programma architettonico, con interventi sia nell’area del Grande Tempio di Amon, più a ridosso della montagna, sia nel settore intorno al palazzo reale.

"A partire dalla sua fondazione - continua il prof. Ciampini - lo scavo ha delineato la complessità e la ricchezza di un sistema di edifici dominato da un palazzo edificato su una piattaforma quadrata di oltre 60 m. di lato; col tempo, al palazzo si è aggiunto un insieme di edifici che permettono ora di riconoscere, nel settore meroitico di Napata, una interpretazione locale del modello ellenistico di città regale. Di questa ricchezza, nonostante la spoliazione e la distruzione sistematica delle antiche strutture, ci danno ancora testimonianza i pochi resti superstiti degli antichi elementi di corredo, e soprattutto la stessa architettura, che unisce in un amalgama originale e pieno di vita, stili diversi che vanno dal nubiano, al faraonico, all’ellenistico e alessandrino."

La Campagna 2019          

La campagna di scavo 2019, svolta dal 15 novembre al 13 dicembre, ha visto la partecipazione di: prof. Emanuele M.Ciampini, Francesca Iannarilli (Assegnista di Ricerca Ca' Foscari), Silvia Callegher (Scuola Interateneo di Specializzazione in Beni Archeologici di Trieste, Udine e Venezia - SISBA), Federica Pancin (Specializzata SISBA, studentessa PhD "Sapienza" Università di Roma), Martino Gottardo (Topografo NEA Archeologia Soc. Coop), Marta Fornasari (Studentessa LM Ca' Foscari), Silvia Zauner-Mayerhofer (Restauratrice), Piero Castellucci (Geologo). La campagna è stata finanziata dall’Università Ca’ Foscari di Venezia (Fondo ricerche e scavi archeologici) e dal Ministero degli Affari Esteri. Il supporto istituzionale è stato inoltre garantito dall’Ambasciata del Sudan a Roma, dall’Ambasciata Italiana a Khartoum e dalla National Corporation for Antiquities and Museums.


Muri di fondazione palazzo di Natakamani (restauro); ph. Francesca Iannarilli 

Le attività del team veneziano si sono concentrate su due filoni di intervento. Il primo ha riguardato la prosecuzione del lavoro di recupero e restauro dei muri di fondazione in mattone crudo del Palazzo di Natakamani (B1500), con la ricostruzione e impermeabilizzazione della struttura che ora risulta essere più comprensibile ai visitatori. Ulteriori interventi di restauro nel settore monumentale del palazzo sono in programma per le future campagne.

Il secondo filone di intervento si pone anch’esso in continuità con la stagione 2018: si tratta di due sondaggi alle fondazioni pre-palaziali di alcune strutture limitrofe al palazzo reale, con conseguente implementazione del database relativo ai materiali archeologici e ceramici (da segnalare il rinvenimento di alcuni frammenti di un recipiente, prossimo alla tipologia del bicchiere meroitico, e dei frammenti di una lastra in calcare con la rappresentazione a rilievo di una testa di avvoltoio, entrambi provenienti dal Sondaggio 2). Le indagini hanno confermato la natura monumentale di uno di questi edifici, con elementi che fanno pensare ad una probabile funzione cerimoniale caratterizzata dalla presenza di acqua.

Hanno infine fatto parte delle attività svolte dal team della missione diversi momenti formativi dedicati a studenti universitari sudanesi presenti allo scavo.

Il Leone e la Montagna: 47 anni di ricerche in una mostra


Lampada a olio dal Palazzo di Natakamani, campagna di scavo 2015; ph. Francesca Iannarilli

Saranno proprio gli scavi archeologici a Jebel Barkal l’oggetto della mostra “Il Leone e la Montagna. Scavi italiani in Sudan”, a cura del prof. Emanuele M. Ciampini, a Ca’ Foscari (sede Ca’ Bottacin) dal 7 al 29 febbraio 2020. Si tratta di una occasione unica non solo per conoscere l’antica città di Napata e ripercorrerne la storia attraverso reperti archeologici originali, fotografie e pannelli descrittivi: la mostra prima di tutto vuole raccontare l’evoluzione di un modo di fare ricerca attraverso la storia di una missione archeologica tutta italiana. Durante il mese di febbraio saranno inoltre numerosi gli eventi collaterali (seminari, conferenze, convegni) aperti agli studenti, alla comunità cafoscarina e a tutta la cittadinanza. 

Abbiamo intervistato il prof. Ciampini per farci dire di più sull'iniziativa:


Il leone e la montagna. Scavi italiani in Sudan

Mostra a cura di: prof. Emanuele M. Ciampini, Università Ca’ Foscari Venezia

Inaugurazione: 6 febbraio 2020, ore 17:00         

Androne Ca' Bottacin, Dorsoduro 3911, 30123 Venezia

La mostra sarà aperta dal 7 al 29 febbraio 2020

Lunedì - Venerdì 9:00 – 18:00; Sabato 9:00 – 13:00

INGRESSO LIBERO

Per info:  italianmissionsudan@gmail.com 

Sara Montagner