Assalto al Congresso USA. L'analisi di Duccio Basosi

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Nella sera del 6 gennaio centinaia di sostenitori di Donald Trump hanno attaccato con violenza il Campidoglio degli Stati Uniti, interrompendo la ratifica della vittoria di Joe Biden. Pesante, e non ancora definitivo, il bilancio dell’operazione.

Solo la mattina successiva, molte ore dopo l’attacco da lui stesso incoraggiato, il presidente uscente Trump ha diffuso un comunicato dove assicura un passaggio di poteri pacifico ma ribadisce le accuse di brogli elettorali.

Ne abbiamo parlato con Duccio Basosi, docente di Storia delle Relazioni Internazionali.

Qual è la linea politica di Trump e perché il presidente uscente fatica ad ammettere la sconfitta?

La linea politica di Trump, se ne esiste una, in questo momento la conosce solo Trump. Che stia devastando le istituzioni statunitensi è sotto gli occhi di tutti. Però è difficile dire se lo stia facendo per istinto o per calcolo politico. Non sappiamo con certezza nemmeno se Trump creda davvero alle falsità che ripete da due mesi sul risultato delle elezioni di novembre. Alcuni reportage della stampa statunitense lo descrivono come depresso per la sconfitta elettorale e in preda a sbalzi d'umore violenti: quanto stiamo vedendo in questi giorni sarebbe allora il dibattersi di un grosso maschio bianco, ricco e potente, colpito politicamente a morte, come una specie di Moby Dick agonizzante (ma meno grandioso sotto il profilo poetico, credo). Altri reportage presentano invece un Trump lucidamente intento a coltivare la propria base elettorale in vista di una nuova campagna presidenziale nel 2024: e allora quanto vediamo sarebbe una manifestazione consapevole di cinismo politico con un fine di medio periodo. Infine, nel comizio con cui ha inaugurato gli eventi eversivi di ieri si può leggere forse anche la speranza, essenzialmente golpista, che una forzatura eversiva finisse per avere successo. Ma quanto ci credesse davvero, di nuovo, è impossibile dire.

Si è trattato di un'operazione spontanea o guidata?

L'estrema destra statunitense è una realtà e non c'è ragione di pensare che chi ha invaso il Congresso ieri fosse "manovrato" da altri. Di certo è difficile pensare che un gesto simile potesse essere pensato e compiuto se non si fosse stata l'esplicita copertura del Presidente, che ha invitato i suoi fedeli a manifestare, li ha spronati a compiere un atto di forza (peraltro annunciando che sarebbe stato con loro, cosa che si è ben guardato dal fare) e ha ripetuto che erano persone "speciali" ed erano dalla parte della ragione anche mentre li invitava, assai tardivamente, ad abbandonare il Campidoglio. Ma è lunga la lista di quelli che il commentatore conservatore Bret Stephens, sul New York Times, chiama esplicitamente "complici" del tentativo eversivo di ieri: dai politicanti come Josh Hawley e Ted Cruz che, contro ogni evidenza, hanno continuato a soffiare sul fuoco della delegittimazione del risultato elettorale, ai nuovi media complottisti con le loro "echo chambers" impermeabili ai fatti, alla leadership repubblicana che ha difeso Trump letteralmente fino a ieri.

Quali scenari ora vede possibili?

Visto quello che è accaduto ieri e visto i grandi poteri che la Costituzione statunitense attribuisce al Presidente, per i prossimi giorni si naviga a vista. Oggi Trump ha emesso un comunicato in cui per la prima volta ha assicurato che il 20 gennaio ci sarà una transizione pacifica dei poteri al nuovo Presidente Joe Biden. Ma per quanto ne sappiamo domani potrebbe fare un tweet di segno opposto. In qualità di comandante supremo delle forze armate, in teoria, Trump potrebbe anche inventarsi una crisi internazionale a proprio uso e consumo (nei giorni scorsi si è più volte parlato dell'Iran come bersaglio). Per limitarne o impedirne le azioni, apparentemente, sul tavolo, c'è l'ipotesi che il vice-presidente Mike Pence e una maggioranza dei Segretari dei dipartimenti esecutivi (i nostri ministri) dichiarino il Presidente incapace di governare, appellandosi al 25° emendamento della Costituzione. Davanti all'ovvia opposizione di Trump, partirebbe allora una procedura alla fine della quale, con il voto di due terzi di entrambe le Camere, il Congresso potrebbe attribuire allo stesso Pence il ruolo di Acting President fino all'inaugurazione di Biden. Un altra ipotesi di cui si parla nei media statunitensi è che il Congresso lanci una nuova procedura di impeachment, finalizzata non solo e non tanto a rimuovere Trump dalla Presidenza ma anche a interdirlo permanentemente dai pubblici uffici. Ma per ora si tratta solo di ipotesi.

Quali segni lascia il ‘trumpismo’ nella società americana e negli equilibri internazionali?

Le eredità sono tante. Dovendo scegliere, sul piano interno l'eredità principale è la legittimazione di un'estrema destra razzista e bigotta, spesso molto armata e in preda a convinzioni impermeabili ai fatti, che è divenuta una forza condizionante all'interno del partito repubblicano e che non scomparirà con la fine della presidenza Trump. Sul piano internazionale, l'affidabilità diplomatica degli Stati Uniti, tanto per i loro alleati quanto per i loro avversari, già in affanno per diverse ragioni negli anni di Bush Jr. e Obama, ha toccato con Trump un punto di minimo.

La carriera politica di Trump è finita?

Per saperlo dovremmo conoscere la risposta a molte domande: Trump sarà messo sotto impeachment? Sarà interdetto dagli uffici? Sarà perseguito dalla magistratura per le sue magagne fiscali? Avrà le energie e le risorse economiche per restare in pista? E ancora: Biden saprà dare alla società statunitense una prospettiva credibile? I repubblicani faranno un'opposizione frontale come fecero a Obama o dialogheranno col nuovo presidente? E i movimenti che si erano raccolti intorno a Bernie Sanders sapranno incalzare Biden "da sinistra"? Non avendo risposte a nessuna di queste domande, è impossibile fare un pronostico.

Federica Scotellaro