'Io combatto', a Ca' Foscari la performance contro la cultura delle armi

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Ca’ Foscari e ESU - l'Azienda regionale per il diritto allo studio universitario - promuovono e accolgono a Venezia il progetto 'Io Combatto', verso il disarmo e la dismissione della cultura delle armi.

Questo è il senso della performance di Sarah Revoltella, che va avanti da anni come un mantra. Un rito che, di performance in performance, di sede in sede, diffonde il suo messaggio, coinvolgendo persone e pensieri. Si fa azione condivisa. Come avvenuto nel 2017 in concomitanza con la Biennale d’Arte presso la Tesa 105 dell’Arsenale, quando l’azione di Sarah Revoltella è stata l’epicentro di una performance diffusa in streaming in cinque paesi del mondo. Altrettanti performer hanno dato vita contemporaneamente allo stesso gesto, allo stesso rito, proponendo l’identico messaggio, pure declinandolo ciascuno a modo proprio. Perché così deve essere nelle intenzioni dell’artista, che il suo stimolo arrivi, che venga colto e personalizzato da ciascuno e portato avanti in maniera unica perché consapevole, reale.

La performance si è tenuta il 12 maggio alle ore 11 nel cortile interno della sede centrale di Ca’ Foscari, con la partecipazione di studentesse e studenti universitari veneziani.

Sullo sfondo della scalinata dell’Università, insieme ad una decina di studenti che hanno aderito al progetto, l’artista ha dato vita a una performance che in questo particolare momento storico vuole essere un monito, un’azione tesa alla pace che per realizzarsi ha necessariamente bisogno di una riflessione concreta e condivisa nella direzione del disarmo internazionale. Una sorta di patto, di promessa, di invito a prendersi la responsabilità e ad agire contro la cultura delle armi, che vuol dire cambiare atteggiamento e mentalità verso il mondo e verso il modo di relazionarsi con l’altro, chiunque esso sia.

Sfoglia la gallery con le foto della performance su Flickr 

La storia del progetto 'Io combatto'

Dopo Venezia, il progetto è approdato a Roma presso l’Archivio Centrale dello Stato dove, nel corso di una collettiva sulla Grande Guerra con Mimmo Paladino e Michelangelo Pistoletto, l’artista ha realizzato la performance, compiendo una restituzione di quell’azione collettiva e diffusa tra Venezia, New York, Mosca, Karachi, Istanbul e Parigi: decine di armi in ceramica distrutte, rese macerie, per evocare quello che fanno le armi e la loro cultura di morte, e per visualizzare che però possono anche trasformarsi in semi per una rinascita, per un futuro diverso, che sorga dalle rovine questa volta, però, imparando dall’esperienza, facendo memoria e tesoro della Storia, non lasciando più morte e orrore come continuo, ripetuto sacrificio inutile. Questo è il delitto peggiore, che più non deve ripetersi.

Il progetto internazionale “Io Combatto” è composto da tre opere che vertono sul tema del disarmo.
Le tre opere in oggetto sono: la performance “Io combatto” realizzata con le armi prodotte dai ceramisti di Nove che si è svolta presso l’Arsenale di Venezia nel 2017, l’arazzo “Stelle e Conflitti ” realizzato dalle tessitrici del comune di Nule in Sardegna nel 2019, che investiga le coincidenze tra i buchi neri dell’universo e i paesi in guerra esposto nel Complesso dell’Ospedaletto di Venezia a cura di Giacinto di Pietrantonio e l’armatura “La difesa” realizzata in vetro di Murano soffiato e specchiato attualmente esposta presso la Scuola Grande di S. Marco fino al 18 settembre.

Lo scopo del lavoro è di porre l’accento sull’economia legata al mondo dell’arte, come motore di sviluppo in antitesi all’economia bellica. Tutte le opere sono state realizzate anche grazie allo sforzo di artigiani che hanno collaborato con l’artista per realizzare le opere e promuovere il loro territorio. L’idea è quella di creare un ponte mettendo in rete la collettività delle persone che partecipano e hanno partecipato a questo progetto sul disarmo per trasmettere che ci può essere un’economia più etica e sostenibile. Sarah Revoltella combatte idealmente una guerra poetica e politica, in cui affonda le mani nelle viscere della guerra e ne estrae la possibilità di cambiare la cultura della guerra con quella del disarmo, ma anche del dialogo e del confronto, cioè di una società che tramite l’arte possa cambiare ed evolvere, opporre la cultura della vita a quella della morte.