Cultural Heritage 2.0: un progetto europeo sul futuro del settore culturale

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Come sostenere la ripresa del settore culturale, in particolare dopo la crisi dovuta al Covid? La trasformazione digitale può davvero aiutare la riprogettazione dei modelli di business delle istituzioni culturali? Da queste domande prende il via il progetto internazionale di ricerca Cultural Heritage 2.0, finanziato dal programma Erasmus+ KA2 e guidato dall’Università Ca’ Foscari, con i partner europei: University of Copenhagen (Danimarca), Bespoke (Danimarca), University of Vienna (Austria), University Industry Innovation Network - UIIN (Paesi Bassi), Momentum (Irlanda).

 

Gli studiosi analizzeranno i possibili sviluppi digitali per il settore, intesi come potenti driver per più innovativi modelli di crescita. Nei due anni previsti dal progetto, i partner esamineranno le nuove esigenze del settore culturale attraverso la lente del cambiamento, a partire dalla mappatura dei possibili scenari e dei modelli di business derivanti da una sempre più estesa digitalizzazione.

Un punto centrale del progetto è la consapevolezza che il rilancio delle istituzioni culturali deve avvenire con la collaborazione delle Università, che in quanto luoghi d’istruzione e innovazione sentono particolarmente la necessità di fare la propria parte e promuoversi come piattaforme di co-progettazione per le comunità di riferimento.

Maria Lusiani, Professoressa Associata di Economia Aziendale, insieme alla professoressa di Management Monica Calcagno segue gli sviluppi scientifici del progetto a nome del nostro Ateneo. Ecco come ci ha raccontato le sfide e gli obiettivi alla base di Cultural Heritage 2.0.

In che modo è nato il progetto Cultural Heritage 2.0 e quali sono i suoi obiettivi?

Il primo obiettivo è quello di colmare il divario tra saperi e competenze, un passo necessario per continuare a vivere, a produrre e a lavorare con la cultura in un mondo che cambia. L’Università Ca’ Foscari è stata invitata da UIIN, il network per l’innovazione università-impresa, a partecipare al progetto con il ruolo di leader. Il segnale è chiaro: non si può continuare a lavorare nella cultura e formare i nuovi professionisti senza alzare la testa dai libri. Lo studio è imprescindibile, ma è necessario toccare con mano una realtà che cambia. La pandemia ha risvegliato l’attenzione su queste tematiche, costringendo le istituzioni culturali a riflettere sulla propria possibilità di esistenza e sopravvivenza, ma anche di cambiamento e rinnovamento. L’analisi è necessaria sia per chi lavora nel mondo della cultura, sia - come nel nostro caso - nelle Università, dove si formano i futuri professionisti del settore. In questa fase esplorativa del progetto puntiamo a capire, insieme a istituzioni e organizzazioni che operano nel settore culturale, quali possono essere gli scenari futuri, quali sono le necessità e quali competenze sviluppare per lavorare in ambito culturale e stare al passo con i tempi.

Com’è coinvolta la formazione universitaria?

La presenza universitaria è fondamentale. Uno degli obiettivi è mettere in connessione le Università e le istituzioni culturali del territorio attraverso forme di co-progettazione. Il workshop del 16 settembre scorso, al quale hanno partecipato persone che vengono sia dal mondo accademico che da quello istituzionale della cultura, ne è stato una testimonianza. Il cuore del progetto è proprio quello di stimolare una co-progettazione tra Università e istituzioni culturali, attraverso lo ‘Student Consultancy Approach’: metteremo insieme studenti e studentesse del nostro Ateneo - con background diversi - e operatori del settore culturale del territorio, che sotto la guida di docenti-mentori rifletteranno sui possibili nuovi modelli di crescita. È quindi l’Università stessa che, tramite la sua comunità accademica e studentesca, co-progetta assieme alle istituzioni culturali per colmare il gap conoscitivo dei saperi e per rinnovare le istituzioni. Durante le fasi di progetto sono previsti alcuni touchpoint, come gli Open Educational Resources (OER), ‘pillole’ contenutistiche di co-progettazione e brainstorming collettivo, che contengono background e discipline diverse del mondo accademico e non solo. 

Qual è il ruolo di Ca’ Foscari e della città di Venezia?

I partner hanno chiesto che Ca’ Foscari fosse leader del progetto. Credo che questa scelta sia dovuta all’esperienza valida e pluriennale di Ca’ Foscari nei progetti europei di coprogettazione, tra cui molti Erasmus+; ma soprattutto alla sua pluriennale esperienza nell’ibridazione dei saperi, tanto nella ricerca quanto nella didattica, e alla capacità di mettere in relazione il mondo della ricerca con il territorio per portare a soluzione innovative – il progetto è stato infatti costruito insieme all’ufficio PInK, il ponte tra ricerca cafoscarina e imprenditorialità. Il Dipartimento di Management e il laboratorio MACLAB vantano un’esperienza ventennale nella ricerca sul management delle arti e numerose esperienze didattiche, soprattutto a livello magistrale, di inter-trans-disciplinarietà che Ca’ Foscari sta portando avanti con successo da tanto tempo. Da pochi anni è attivo il corso di laurea magistrale Digital and Public Humanities, che raccoglie l’eredità di altri corsi di laurea, come Egart (Economia e gestione delle arti e delle attività culturali), che da più di vent’anni sperimentano l’ibridazione di saperi che hanno a che fare con il mondo della cultura. Si tratta di un filone di studi fondamentale per Venezia e per il nostro Ateneo, che Ca’ Foscari affronta da pioniera con un approccio multidisciplinare, multiculturale e multilingue. 

Venezia, ma anche l’intero territorio regionale veneto, sono estremamente ricchi di produzioni culturali, sia con la presenza di enti importanti e riconosciuti a livello istituzionale, sia per la vivacità culturale dei numerosi prodotti. E’ presente infatti una sorta di ‘sottobosco’ di diverse realtà che sperimentano tantissimo e che fanno cultura in ambiti di arti visive, teatrali, performative. Si tratta di un territorio molto fertile dal punto di vista delle iniziative culturali ed è quindi interessante sia da studiare, sia come oggetto di sperimentazioni e co-progettazione. Poi, auspicabilmente, anche come progetto di politiche culturali mirate a sviluppare e sostenere la cultura e i nuovi modelli di business per la cultura stessa.

Quali sono le maggiori sfide che Ca’ Foscari dovrà affrontare?

Il cuore del progetto, come dicevo, sarà lo sviluppo dell’approccio di co-progettazione fra comunità studentesca, docenti e istituzioni. È un ambito in cui Ca’ Foscari ha maturato esperienza e competenze (non ultimi i già citati MACLAB e progetti Erasmus+ gestiti dall’ufficio di knowledge transfer di Ca’ Foscari, PInK, come Urban Goodcamp).  Il passo successivo sarà la produzione di ‘pillole’ di contenuti e nozioni, e credo che sarà la sfida più difficile da affrontare: dobbiamo partire da quanto è emerso nel workshop di settembre, che è stato utilissimo per iniziare a mettere a fuoco i gap conoscitivi assieme a persone con background diversi, vivacissime dal punto di vista intellettuale, che ci hanno aiutato a pensare in maniera critica. Il workshop è andato molto bene, anche grazie alla presenza di un Innovation manager che ci aiuta a tessere le fila tra le varie fasi del progetto, dott.ssa Daniela Pavan; adesso bisogna passare ad applicare questi elementi sul territorio e a progettare in maniera incrementale insieme a studenti e professionisti, passo dopo passo. Continueremo a lavorare con gli stakeholder che hanno partecipato al workshop, per continuare a ragionare insieme, o chiedere anche una partecipazione per i contenuti di Open Educational Resources che ora dovremo coordinare e creare. Ultimamente mi sto ponendo molte domande anche sull’attualità di ciò che insegno nel corso Egart, per non perdere il contatto con il mondo della cultura in continuo cambiamento e con il suo futuro. Questa è la cosa più difficile ma bella, ed è la sfida da cogliere con questo progetto perché non sia soltanto ‘ripetere dei concetti’, ma ripensare al patrimonio culturale e al futuro delle istituzioni culturali come Università ricercando quello che noi possiamo dare a studentesse e studenti, che sono le future generazioni di operatori culturali.