Alluvione in Emilia Romagna, l'analisi dell’idrologo Enrico Bertuzzo

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Enrico Bertuzzo

Sull’Emilia Romagna, una tra le regioni italiane a maggiore rischio idrogeologico, si è recentemente abbattuta una ‘tempesta perfetta’ di elementi che ha provocato alluvioni e frane dalle conseguenze disastrose. 

Gli oltre 200 millimetri di pioggia caduti in 24 ore sopra un’area già provata dal maltempo dei giorni prima, e la contemporanea mareggiata che ha impedito il deflusso dei corsi d’acqua, hanno fatto collassare la rete idrica regionale. Sono esondati oltre 20 fiumi e altrettanti hanno superato il livello di massimo allarme. Sono stati allagati decine di Comuni tra la Romagna e il Bolognese e circa 50 sono stati interessati da frane tra Reggio Emilia e Rimini. Ad oggi ci sono migliaia di evacuati, danni importanti alle strutture e alle attività produttive e, purtroppo, si contano anche vittime.

Abbiamo analizzato la situazione con Enrico Bertuzzo, professore di Idrologia presso il Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell'Università Ca’ Foscari Venezia. 

I fattori 

A monte, c’è stato un eccezionale evento piovoso, in un territorio a forte rischio idrogeologico. L’intensità della piena di un fiume dipende dal tipo di precipitazioni, dalla durata della pioggia e dalle caratteristiche del bacino idrico. I danni della piena dipendono, logicamente, da cosa c’è nel terreno circostante e quindi da quanto il territorio è antropizzato.

Ogni bacino idrico, per le sue caratteristiche, può sopportare una certa quantità di pioggia in un determinato intervallo di tempo. Precipitazioni intense per un’intera giornata possono non causare problemi a un fiume come il Po nei pressi della foce, ma provocare un picco di piena a corsi d’acqua con bacini di dimensioni più ridotte. 

In Emilia è presente una fascia appenninica con una serie di bacini di grandezze simili. Le piogge intense hanno provocato una ‘tempesta perfetta’ che ha messo in crisi contemporaneamente tutti questi bacini. Le piene eccezionali, una volta arrivate in pianura, hanno intasato la rete di drenaggio provocando esondazioni, talvolta superando il livello degli argini, in altri casi rompendo gli argini stessi.

Contemporaneamente, una mareggiata scatenata dallo stesso evento meteorologico ha bloccato il deflusso verso il mare.

La situazione in Veneto

In Veneto, i bacini che alimentano i fiumi come il Brenta, il Piave e l’Adige nel punto in cui si immettono nella pianura sono mediamente più grandi e quindi sono messi in crisi da eventi di precipitazione più lunghi che tipicamente si verificano in autunno. In questo periodo prescriviamo ai gestori degli invasi montani di abbassare il livello dell’acqua per eventualmente poter sfruttare il volume disponibile per attenuare le piene. Su queste opere, assieme alle casse di espansione e agli argini in pianura, si basa la nostra difesa, ma un evento estremo come quello dell’Emilia Romagna non si può certamente escludere.

Le casse di espansione

Le casse di espansione sono bacini di contenimento artificiali realizzati per ridurre la portata dell'acqua durante la piena di un fiume, favorendone il deflusso controllato. Funzionano quindi come ‘magazzini’ temporanei che fiancheggiano i corsi d’acqua, sono realizzate tipicamente in pianura accanto al letto dei fiumi, e, quando non utilizzate per gestire le piene, possono servire per altri scopi, per esempio per la ricarica della falda acquifera o la riforestazione. Esse svolgono una funzione simile agli invasi montani, ma negli ultimi decenni sono state preferite agli invasi come opere di difesa perché ritenute avere un minore impatto ambientale e sociale. 

Il limite maggiore delle casse di espansione è che hanno tipicamente un volume limitato, ne può servire più di una lungo il corso del fiume e la loro gestione deve essere ottimizzata. Pur se meno complesse delle dighe, hanno un iter approvativo comunque complicato a causa del loro impatto ambientale e del loro costo.

Le soluzioni

Non c’è una singola opera che ci protegge dalle piene, ma dobbiamo puntare a una progettazione complessa, nella quale dialogano più interventi messi in rete tra loro: bacini artificiali montani, casse di espansione e argini, e anche sistemi di allerta e di risposta.

Serve un sistema informativo integrato. Si deve lavorare su più fronti, e la risposta deve essere pronta, basata sulle previsioni meteorologiche: quando è scattata l’allerta per la tempesta Vaia, l’immediato abbassamento del bacino del Lago del Corlo ha evitato una piena a valle, contenendo i danni. 

Ogni alluvione deve essere analizzata come un evento a sé. La cementificazione, per esempio,  in generale può aumentare il rischio, ma nel caso dell’Emilia Romagna le prime analisi suggeriscono che sia stato un fattore secondario. La pioggia, e la conseguente piena dei corsi d’acqua, si è generata soprattutto sugli Appennini, dove lo sviluppo edilizio è più ridotto. 

In Emilia Romagna ci siamo trovati di fronte a un evento estremo, difficile da gestire, e i dati e le proiezioni ci dicono che i cambiamenti climatici aumentano la frequenza di eventi estremi. Nel breve periodo non possiamo rivoluzionare il territorio, ma possiamo potenziare le strutture contenitive esistenti, investire su nuove opere, sulla manutenzione e anche sull’informazione. Serve sviluppare strumenti per allertare la popolazione in tempo reale, e le persone devono essere a conoscenza dei rischi. Bisogna gestire in modo efficace anche la risposta al danno, con interventi mirati anche dopo le alluvioni. In Italia siamo, culturalmente, più focalizzati sulla prevenzione che sulla risposta agli eventi.

Il rischio ‘zero’ 

Il rischio ‘zero’ non esiste, le nostre opere di difesa sono progettate per resistere fino a un certo livello di piena, non a qualsiasi alluvione. La decisione è presa bilanciando rischi e costi dell’opera. Qui entriamo nel campo della socioidrologia, che studia l’interazione tra la società e i fiumi. Per inquadrare l’evento dell'Emilia Romagna  si può ricorrere a quello che in letteratura viene definito ‘effetto – argine’. Si tratta di una situazione in cui la presenza di strutture per il controllo delle inondazioni riduce la percezione del rischio e incoraggia lo sviluppo e gli insediamenti umani nelle zone di pianura alluvionale.

Le opere di controllo riducono la probabilità che si verifichi una piena che però, se arriva, ha effetti catastrofici. Il risultato? Aumentare ancora di più la sicurezza, potenziando i sistemi anti alluvionali, esasperando ancora di più l'effetto argine. Questa è stata la traiettoria seguita nella Pianura Padana nell’ultimo secolo. Inquadrare così il problema non ci dà risposte a breve termine, ma può esserci d’aiuto per progettare il territorio del futuro.

La Fig.1, pubblicata nell'articolo Socio-hydrology: conceptualising human-flood interactions di G. Di Baldassarre e al., spiega in modo chiaro l'effetto argine' 

Fig. 1. Schematic of human adjustments to flooding: (a) settling away from the river, and (b) raising levees or dikes. The diagrams also show variables used in our conceptualisation (Based on a sketch by Domenico Di Baldassarre.)

Federica Scotellaro