Patrimonio sottratto, danno all’identità dei popoli

condividi
condividi
Palmyra, the Grande Colonnade Street. Jerzy Strzelecki [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]

Il patrimonio culturale è diventato un bersaglio facile e di grande impatto. I conflitti in Siria e Iraq, ad esempio, ha rappresentato il target per colpire l’identità culturale della popolazione. Palmira è un luogo ormai simbolico per questo fenomeno. In Italia, è la Calabria la terra che soffre di più la spoliazione.

L’occasione per fare il punto con un approccio multidisciplinare su distruzione, saccheggio e traffico illecito di beni culturali è stato il convegno “Patrimonio sottratto”, promosso dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dal Center for Cultural Heritage Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia, nell’ambito del progetto H2020 NETCHER.

Quattro i temi approfonditi, partendo da un’analisi del quadro legislativo in materia, seguendo con i casi di traffico illecito in Italia, nel Vicino Oriente e concludendo con una visione delle prospettive multidisciplinari in contrasto al saccheggio e traffico illecito di beni culturali.

Quadro legislativo nazionale e internazionale

L'analisi del quadro normativo ha messo a confronto Edouard Planche, Head of Culture Unit presso l’UNESCO, Marina Schneider, Senior Legal Officer & Treaty Depositary dell’UNIDROIT, e Lauso Zagato, docente di Diritto internazionale ed europeo dei beni culturali a Ca' Foscari.

Il Patrimonio culturale ha un forte impatto sulla popolazione cui è legato, pertanto la sua protezione è cruciale, sia in caso di conflitto armato che in tempo di pace, e deve rispondere a dei paradigmi che evolvono con l’evolversi della natura umana. Se prendiamo ad esempio i conflitti in Siria e Iraq, ci si rende subito conto che non si tratta di conflitti armati “tradizionali”, ma ci si trova davanti uno scenario in cui il patrimonio culturale è a tutti gli effetti un target per colpire l’identità culturale della popolazione.

Con la crescente globalizzazione, la cultura è diventata infatti uno dei pilastri dell’identità di una popolazione, ma allo stesso tempo ha portato anche alla nascita di nuove problematiche, difatti la popolazione sembra percepire una disconnessione tra il Patrimonio Culturale e il campo del DRM (Disaster Risk Management), alimentata da un certo grado di attitudine culturale al fatalismo, dalla falsa percezione della natura e dei costi delle strategie di prevenzione e dalla mancanza di consapevolezza del ruolo potenzialmente positivo del Patrimonio Culturale.

Le risposte dell’UNESCO a queste problematiche sono le Convenzioni: queste coprono diversi ambiti della protezione del patrimonio culturale, come i conflitti armati (Aja ’54), i beni sommersi (2001), il patrimonio culturale tangibile (1970) e intangibile (2003, 2005), tuttavia si tratta di strumenti non perfetti, in quanto hanno bisogno di essere ratificate, implementate e di esercitare la giusta pressione sugli stati per funzionare.

Un’altra importante risposta a queste problematiche viene dall’UNIDROIT, l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, che con la Convenzione sui beni culturali rubati o illecitamente esportati (1995) persegue un’armonizzazione legislativa internazionale che riesca a regolamentare sia a livello etico che finanziario il mercato culturale.

Anche l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa hanno a loro volta contribuito a combattere il traffico illecito di beni culturali all’interno del continente, cercando di allinearsi a UNIDROIT (direttiva 2014/60) e individuando tre tipi di licenza di esportazione per quanto riguarda i beni culturali, unificando anche i controlli ai confini esterni dell’UE (Regolamento 11/2009).

Il saccheggio e il traffico di beni culturali sul territorio italiano

In questa seconda sessione di incontri si è affrontato il tema del traffico illegale sul suolo italiano, analizzando l’operato del Comando Tutela Patrimonio Culturale di Venezia con il comandante Christian Costantini e i casi di beni culturali italiani all’estero e beni archeologici recuperati, trattati da Daniela Rizzo, Maurizio Pellegrini e Simonetta Bonomi.

Il Comando Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri è una componente molto importante nella lotta al traffico illecito di beni culturali nel nostro paese, infatti si occupa di evitare furti, bloccare esportazioni illecite e falsificazioni, prevenire scavi clandestini e collaborare con i musei e le varie attività commerciali del settore, ivi compreso l’e-commerce. Al suo interno, vi è una sezione dedicata all’elaborazione di dati e all’aggiornamento di una banca dati che contiene tutte le opere da ricercare sul suolo italiano e, in parte, anche all’estero.

Data la sua importanza, è provvisto di un distaccamento nella sede centrale UNESCO al fine di coordinare e comunicare il più direttamente possibile i vari sviluppi nel campo. Tuttavia, questo non basta a bloccare il traffico illecito e a trarne vantaggio risultano spesso e volentieri proprio i musei: non mancano esempi di musei esteri (come quello di Basilea o il Getty Museum) che hanno arricchito la loro collezione proprio grazie al traffico illecito di beni culturali proveniente dall’Italia.

Questo apre una seconda questione, quella della restituzione: alcune richieste da parte dell’Italia rimangono ancora oggi inascoltate, per altre si è dovuto ricorrere ad accordi o addirittura per vie legali.

Terra particolarmente colpita da scavi e rimozioni illegali è la Calabria, il cui patrimonio archeologico è stato ripetutamente vittima di queste attività, tanto che dal 1978 al 2018 si contano dal Comando Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri circa 890 sequestri, per un totale di beni recuperati che si aggira attorno ai 20.000 reperti.

Il saccheggio, la distruzione e il traffico di beni culturali nel Vicino Oriente

Il Patrimonio Culturale nel Vicino Oriente è stato vittima, purtroppo, dei conflitti armati “non tradizionali”, che vi trovano un target perfetto per colpire la popolazione nella sua identità culturale. In questa sessione di incontri si è affrontato il caso di guerra e saccheggio dei beni provenienti da Palmira con Michela De Bernardin, ricercatrice e co-direttrice del The Journal of Cultural Crime, del crimine organizzato inerentemente al traffico di beni culturali in Turchia con il Samuel Andrew Hardy e delle nuove tecnologie satellitari per il monitoraggio di questi siti con Deodato Tapete e Francesca Cigna, ricercatori dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana).

Palmira è ad oggi tristemente conosciuta per gli scontri e la distruzione di cui è stata scenario dall’inizio della Primavera Araba. Il sito si trova nel cuore del deserto siriano nei pressi di un’oasi di palme, che l’ha reso in antichità uno snodo fondamentale delle rotte commerciali e ad oggi uno dei siti archeologici più importanti al mondo.

Nonostante la ratifica da parte della Siria a convenzioni quali quella dell’Aja del 1954 e relativo primo protocollo, della Syrian Antiquities Law del 1963 o ancora dell’UNIDROIT del 1995, le continue occupazioni del sito da parte del DAESH hanno di fatto reso difficile (se non impossibile) il controllo sul saccheggio e commercio illecito di questi beni, le cui vendite si sono innalzate dall’inizio del conflitto.

Complice di ciò è sicuramente una rete criminale organizzata in Turchia, che opera come una vera e propria mafia e si ramifica anche in organizzazioni online, avente come target proprio il patrimonio archeologico. Un aiuto concreto per proteggere e salvaguardare i beni culturali arriva proprio dai satelliti: osservando dall’alto il globo terrestre con una combinazione di satelliti radar e ottici, si possono catalogare e documentare gli scavi illegali e le operazioni di looting per fornire basi future per tracciare e recuperare questi beni.

Contrastare saccheggio e traffico di beni culturali

In questa ultima sessione di incontri, il focus si è incentrato sulla necessità di coordinazione e cooperazione tra gli stakeholder del settore e non solo, favorendo il circolare di informazioni sia all’interno che verso l’esterno. Sono intervenuti Marianne Moedlinger, ricercatrice della European Association of Archaeologists, Serena Epifani, direttrice del The Journal of Cultural Heritage Crime, e Arianna Traviglia, coordinatrice CCHT – IIT – NETCHER.

Ciò che emerge dai tre interventi che hanno caratterizzato la conclusione della conferenza è la necessità di maggiore comunicazione, sia nei circoli interni sia verso l’esterno e gli altri settori. Occorrerebbe riscrivere un Codice Etico per gli operatori del settore, volto ad una maggiore chiarezza nella circolazione di informazioni e allo stesso tempo sopperire alla mancanza di informazioni nell’ambito verso il pubblico, dato che le testate giornalistiche non hanno solitamente molta attenzione per certi argomenti.

Da queste istanze nasce il progetto NETCHER, che accoglie professionisti dei beni culturali, accademici e ricercatori, forze dell’ordine e rappresentanti del mercato dell’arte, delle maggiori organizzazioni internazionali del campo e della Commissione Europea. L’obiettivo è la creazione di un network di informazione e cooperazione tra stakeholder, nonché di un programma di buone pratiche.

In conclusione, il contrasto al traffico illecito dei beni culturali non può avere una soluzione unica. Per contrastare questa pratica occorre armonizzare il settore al suo interno e favorire una cooperazione tra mercato, ricerca e campo giudiziario, così da rendere efficace ed efficiente la protezione e la salvaguardia dei beni culturali e preparare le basi per future azioni in merito a livello europeo e internazionale.

Alessia Zannoni