Lingue ricostruite (o re-inventate) per il cinema: il caso de Il Primo re

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«Avis, jasmin varnā na ā ast, dadarka akvams, tam, vāgham garum vaghantam, tam, bhāram magham, tam, manum āku bharantam». Sembra una formula magica e invece, nelle intenzioni del suo autore, l’insigne linguista tedesco August Schleicher, doveva trattarsi della prima frase di una favola, La pecora e i cavalli, interamente in indoeuropeo, la lingua ancestrale all’origine della gran parte delle lingue europee moderne, oltre che del persiano e del sanscrito. Era il 1868 e la linguistica storica del tempo, in pieno clima positivista, era convinta che la comparazione sistematica tra il latino, il greco, il sanscrito e le lingue germaniche potesse consentire di ricostruire una lingua vera e propria, la “madre” delle nostre lingue moderne, da impararsi come una di queste.

Oggi solo alcuni tra i linguisti – e nessuno tra i linguisti italiani – crede più che l’indoeuropeo possa essere ricostruito come lingua. Si ricostruiscono radici, desinenze, singoli “pezzetti” di lingua, ma per epoche tanto antiche la possibilità di risalire a interi sistemi linguistici, con una loro fonologia e grammatica ben definite, è considerata del tutto preclusa. Non così il cinema e la televisione, però, che sempre più di frequente si rivolgono ai linguisti per chiedere loro di “tradurre” i dialoghi delle sceneggiature in lingue arcaiche, come l’aramaico del I sec. d.C., ricostruito per La Passione di Cristo di Mel Gibson, o il proto-nordico impiegato nella fortunata serie tv Vikings. In queste ricostruzioni i linguisti scelti come consulenti hanno necessariamente lavorato di fantasia, integrando i dati reali con altri elementi filologicamente poco attendibili, ma funzionali all’ “effetto antico” voluto dai registi. La ricostruzione si è dunque trasformata in un’operazione di re-invenzione, in questo non molto diversa dall'elaborazione “pura” di lingue fantastiche, come il klingon del telefilm fantascientifico Star Trek negli anni sessanta e, più di recente, il dothraki e l’alto valiriano della serie fantasy Il trono di spade.

In modo simile ha lavorato il linguista Luca Alfieri, professore di Glottologia e Linguistica all’Università Guglielmo Marconi, che ha “ricostruito” il proto-latino dei mitici fondatori di Roma Romolo e Remo per il film Il primo re, campione d’incassi nel 2019. Su richiesta del regista Matteo Rovere, Alfieri ha dapprima attinto alle fonti più antiche del latino per ottenere una lingua storicamente plausibile. Questa lingua però restava troppo vicina al latino classico, quello che s’insegna a scuola e che fino a qualche decennio fa era usato nella messa: una lingua troppo conosciuta, o meglio orecchiata, dagli spettatori italiani per dare quell'effetto di arcaicità e mistero ricercato dal regista. Ha quindi cominciato a “contaminare” il latino arcaico con elementi attinti all’indoeuropeo ricostruito, trasformando i “banali” flumen, luna e vivus negli irriconoscibili bhleumen, loisna e gweiwos. E, su sollecitazione del regista, ha persino manipolato le forme ricostruite per renderle più esotiche (frater, per esempio, è diventato bhreter, con una e non giustificata dalla ricostruzione – il ricostruibile bhrater ricordava troppo da vicino l’inglese brother – ). Ne è venuta fuori una lingua acronica, astorica, in cui l’elemento creativo prevale su quello propriamente ricostruttivo, che però al cinema ha funzionato perfettamente (al netto della pronuncia non sempre corretta degli attori) ed è anzi stata considerata dalla critica uno dei punti di forza del film.

Della sua singolare esperienza e, più in generale, delle nuove frontiere della ricerca applicata nelle scienze umane il Prof. Alfieri parlerà mercoledì 13 maggio, alle 14, in una videolezione su Google Meet nell'ambito del corso di Storia della lingua italiana sp. del Prof. Daniele Baglioni, quest’anno dedicato alle lingue inventate in letteratura.

Videolezione su Google Meet a questo link

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