Il cibo nei libri per l'infanzia: fame, cultura, identità, potere

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Anna Gasperini è arrivata al dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati di Ca’ Foscari nel 2019, come Marie Skłodowska-Curie fellow. Il suo progetto di ricerca, svoltosi sotto la supervisione della professoressa Laura Tosi, è FED, “nutrito” in inglese e acronimo di Feeding, Educating, Dieting: a Transnational Approach to Nutrition Discourses in Children’s Narratives (Britain and Italy, 1850-1900). Ormai in fase di pubblicazione, lo studio si è concentrato su un’analisi comparata transnazionale della rappresentazioni di nutrizione e malnutrizione dei bambini nella letteratura per l’infanzia dell’Inghilterra vittoriana e dell’Italia post-risorgimentale, fino agli inizi del Novecento. Come però aveva già fatto nel suo progetto di dottorato alla National University of Ireland a Galway, Gasperini ha adottato una prospettiva che tiene presente anche la storia della medicina e, in particolare, i testi “popolari” pensati per il grande pubblico e non per gli esperti. Ciò ha permesso di evidenziare la dimensione tutta particolare della relazione tra letteratura, cibo e cultura nelle pubblicazioni per l’infanzia del XIX secolo. 

“L’ipotesi di partenza dello studio è che, nonostante la grande differenza che ci poteva essere tra una nazione all’epoca tanto giovane come l’Italia e una ormai affermata come l’Inghilterra vittoriana, si possano riscontrare delle somiglianze nelle rappresentazioni di nutrizione e malnutrizione in queste due tradizioni letterarie”, ci ha raccontato la ricercatrice. “Il mio scopo era verificare questa somiglianza e indagare da cosa potesse essere derivata, concentrandomi specialmente sull’aspetto della salute. Mi occupo infatti di letteratura e storia della medicina, quindi volevo scoprire se queste similitudini ne rispecchiassero altre, a livello di diffusione della conoscenza medica del periodo e dell’impatto di queste rappresentazioni sulla definizione nazionale di Italia e Inghilterra. In particolare, mi sono concentrata soprattutto sulle rappresentazioni del bambino malnutrito, troppo grasso o denutrito (situazione ben più comune nell’Ottocento).

Sono stata felice di vedere confermata la mia ipotesi iniziale: Italia e Inghilterra presentano elementi comuni  nelle rappresentazioni di nutrizione e soprattutto di malnutrizione nella letteratura per l’infanzia, non soltanto nel romanzo realista di Frances Hodgson Burnett (Il giardino segreto, La piccola principessa) o Edmondo De Amicis (Cuore), ma anche nei racconti di tipo fantastico, come quelli di Ida Baccini (Lezioni e racconti per bambini) o di Christina Rossetti (Speaking Likenesses). Uno dei punti chiave di FED e una delle  mie conclusioni più importanti è proprio questo aspetto transnazionale. Gli storici del cibo chiariscono che la distribuzione del cibo era ben diversa nei due Paesi: se anche sulle tavole della working class inglese si poteva trovare, di tanto in tanto, la carne, gli italiani erano vegetariani per necessità e soltanto una minima percentuale della popolazione italiana consumava carne di frequente. Non ci si aspetterebbe che due contesti tanto diversi rappresentino il cibo e il bambino che (non) mangia in modalità simili. Le rappresentazioni letterarie, invece, non sono basate tanto sul panorama di distribuzione del cibo quanto su un’idea di infanzia che in quel momento è piuttosto simile in tutta Europa, soprattutto nei modi in cui si sviluppa: l’infanzia ideale è borghese, tanto in Italia quanto in Inghilterra. In altre parole, queste rappresentazioni sono figlie di un’ideologia basata sull’appartenenza di classe, e della borghesia rispecchiano l’esaltazione della moderazione e del sacrificio.

Allo stesso tempo, questa ideologia è influenzata dalla medicina, che proprio nell’Ottocento “riscopre” l’infanzia e si sviluppa fortemente in quest’ambito. Attraverso un confronto con testi di medicina “popolari” - pensati, cioè, per i genitori che iniziano ad acquistare la letteratura medica sui bambini, un po’ come facciamo noi oggi - è emerso che le similitudini tra Italia e Inghilterra interessano anche le rappresentazioni medico-scientifiche del rapporto tra bambini e cibo. Le stesse raccomandazioni date ai genitori sono simili: dato che il bambino è considerato un mangione privo di controllo, si invita a farlo mangiare non tanto sapido né tanto ricco, e queste raccomandazioni trovano un riscontro nella letteratura per l’infanzia. Per esempio, i protagonisti de Il giardino segreto, Mary e Colin, riassumono le preoccupazioni dell’epoca circa il bambino inappetente e malato, e il libro illustra come si possa riportare questo bambino in salute, soprattutto attraverso il movimento e la vita all’aria aperta. Il percorso di Mary, per esempio, segue passo passo le indicazioni che si ritrovano in testi popolari di medicina rivolti ai genitori, come il salto alla corda, il gioco all’aria aperta, la corsa. La descrizione del cambiamento di Mary - da magra, piccola e itterica a sana e attiva - è quasi clinica.

A livello nazionale, poi, FED è riuscito ad aggiungere un piccolo tassello alla conoscenza del nazionalismo ottocentesco, proprio attraverso le caratteristiche del panorama culinario di ciascuna nazione. Nelle letterature di entrambi i Paesi (e in quella per l’infanzia in generale) ricorrono rappresentazioni del cibo come oggetto desiderato; nei testi inglesi, però, si tratta spesso di qualcosa di zuccherino, mentre per i bambini italiani si tratta di carne. Una curiosità: in termini di dieta infantile, Il giardino segreto offre un’immagine piuttosto ricca rispetto agli standard britannici dell’epoca. Colin, che all’inizio della storia è in stato quasi vegetativo, viene nutrito a prosciutto arrosto e muffin, a differenza dei bambini del Great Ormond Street Hospital a Londra (il primo ospedale pediatrico inglese), le cui farmacopee descrivono diete estremamente controllate. L’autrice, infatti, si era trasferita a quindici anni negli Stati Uniti, dove la dieta infantile era ben più ricca di leccornie che in Inghilterra o in Italia. In ogni caso, per entrambi i Paesi il bambino malnutrito - nel senso più ampio di “nutrito in modo scorretto” - è una questione di sicurezza nazionale: per l’Inghilterra, in termini di mantenimento dell’impero; per l’Italia, di consolidamento e affermazione nazionale.”

Qual è l’immagine di genitore restituita dai testi che ha studiato?

Sicuramente si tratta di un’immagine in primo luogo materna. Benché alcuni libri si rivolgano a “parents” o “genitori”, il primo destinatario è sempre la madre. A partire dalla fine del Settecento, quando nasce la famiglia nucleare, le madri vengono sottoposte a una fortissima pressione affinché la prole sia sana e cresca bene. La maternità è vista come una missione sacra: sgarri o comportamenti poco salutari (come il non allattare al seno, pratica piuttosto diffusa in quel periodo) vengono redarguiti con grande veemenza. Questa enfasi è legata al nazionalismo di cui parlavo prima: la salute dei giovani, quindi la prosperità della nazione, è una responsabilità delle madri. Il dottor Secondo Laura, fondatore di uno dei primi ospedali per l’infanzia in Italia, raccomandava di non proteggere troppo il bambino perché questi rischiava di crescere “un poveretto dal cuor di coniglio e dal corpo delicatissimo”, quindi uno svantaggio per la propria nazione. A questo proposito, l’attenzione è rivolta prevalentemente al bambino maschio, sia nei testi italiani che inglesi. C’erano sezioni separate dedicate alle bambine, ma l’obiettivo fondamentale era la buona salute dei figli maschi.

La figura paterna, invece, emerge soprattutto nella letteratura di finzione. Nel romanzo realista, per esempio, il padre fa la differenza, sia quando è presente sia quando è assente: si pensi ai modelli di paternità offerti in Cuore di De Amicis, positivi e negativi, che spesso sono legati alla fame dei figli. In ogni caso, il padre è di solito più legato alla crescita morale, mentre alla madre è affidata quasi esclusivamente la salute fisica, in entrambi i Paesi.

Il suo progetto, pur concentrandosi sull’Ottocento, prende spunto dallo EU Child Obesity Plan e dal discorso contemporaneo sull'alimentazione per l’infanzia. Sulla base di quanto ha studiato dell'Ottocento, quanto pensa sia importante “saper raccontare” la mal/nutrizione oggi?

Uno studio come FED permette di sottolineare che è sempre importante ricordare chi tiene in mano la penna. La letteratura per l’infanzia e, più in generale, che parla di bambini indica sempre uno squilibrio di potere, dove è l’adulto a parlare: anche lo stesso bambino sulla pagina è una rielaborazione dell’adulto. Il testo per l’infanzia, poi, è primariamente pedagogico, anche nel caso dei testi sulla salute che vogliono istruire i genitori sui bambini. L’influenza, quindi, che questi testi possono avere sui bambini e sui genitori è da tenere in gran conto. La malnutrizione non è mai distinta da questioni di profonda importanza per il bambino, come povertà, disagio fisico, disagio emotivo legato alla salute mentale, ed è quindi complicata da diversi fattori. La responsabilità dei ricercatori, e soprattutto di coloro che si occupano di medical humanities (le materie umanistiche legate alla medicina) è riportare l’attenzione della comunità adulta sul fatto che quanto diciamo sulla mal/nutrizione, anche giocosamente, ha un impatto importante sul bambino. La ricerca dovrebbe riportare la comunità adulta in una posizione di ascolto che richiede di adattarsi al livello del bambino, permettendogli di esprimersi. Come noi italiani dovremmo ben sapere, la nutrizione è molto intima, molto legata alle nostre emozioni, quindi gli echi di questo discorso possono avere ripercussioni molto profonde.

Nell’ambito del suo progetto è stato organizzato anche un convegno internazionale. Qual è l'apporto della ricerca in temi come questo?

Il convegno Food and/in Children’s Culture: National, International and Transnational Perspectives è stato uno dei risultati di FED che mi sono più cari. Abbiamo radunato 40 relatori, 4 keynote speakers di fama internazionale e circa 172 iscritti. Abbiamo cercato di esplorare la questione cibo non solo nella letteratura, ma anche nella cultura dell’infanzia: si è trattato di un’occasione incredibile per seguire, anche a livello internazionale, tutte le sfaccettature che si possono immaginare su questo argomento. Si è studiato il tema adottando una prospettiva storica o sul presente, mostrando come il cibo possa diventare un’arma offensiva ma anche difensiva, come le percezioni del cibo - di nuovo, si deve tener presente chi impugna la penna - influenzino la sua rappresentazione nei testi, o quale incredibile impatto possono avere le modalità di rappresentazione del cibo e del rapporto con esso. È emerso chiaramente anche un aspetto tipico della letteratura per l’infanzia, cioè il fatto che “cibo” siano anche le persone, che possono essere mangiate metaforicamente o letteralmente: abbiamo cercato di esplorare la grandissima varietà di sfaccettature che può avere questa dinamica, da quelle più cupe, magari violente (finisci mangiato perché te lo sei meritato), alle soluzioni catartiche (finisci mangiato ma rinasci migliorato) o soprendenti (finisci mangiato, ma non sei finito). La vasta comunità internazionale di studiosi coinvolta nel progetto non ha intenzione di far finire tutto con i lavori del convegno, quindi è probabile che porteremo avanti questa linea di studi.

E ora? Quali saranno i prossimi passi?

Progetto di continuare a sviluppare la questione cibo nella letteratura per l’infanzia. Sono in corso discussioni molto preliminari per un progetto europeo: si tratterebbe di un progetto primariamente collaborativo, quindi la speranza è quella di poter creare la commistione di teste e voci che è già emersa al convegno. Due aspetti particolarmente belli di questa call sono la collaborazione tra accademia e industria (nel nostro caso, industria della cultura) e il coinvolgimento del pubblico, perché il progetto diventerebbe un’ottima occasione per mettere in pratica la dimensione dell’ascolto di cui parlavo prima.

Rachele Svetlana Bassan