Alka Sadat al Ca’ Foscari Short Film Festival: donne, cinema e Afghanistan

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La regista Alka Sadat

Si apre mercoledì 6 ottobre l’edizione 2021 del Ca' Foscari Short Film Festival, diretto dalla prof.ssa Roberta Novielli, che continuerà fino all’11 ottobre in Auditorium Santa Margherita e in altre undici sedi veneziane. Parità di genere diritti delle donne sono quest’anno il filo rosso che collega i film in gara e i programmi speciali, con uno sguardo alla dimensione internazionale. 

Programma del Ca' Foscari Short Film Festival 2021.

Uno degli appuntamenti più attesi sarà dedicato al primo festival di cinema afghano al femminile, l’Herat International Women’s Film Festival, che quest’anno - come si può immaginare - ha dovuto interrompere la sua programmazione nel Paese caduto in mano ai Talebani. 

Le due fondatrici, le giovani registe Alka e Roya Sadat, racconteranno la loro storia al pubblico del CFSFF. Alka sarà ospite a Venezia, dove presenterà anche il suo documentario Afghanistan Night Stories sulla resistenza afghana anti - talebani. L’abbiamo incontrata in anteprima, per avere qualche anticipazione. Riguardo alle vicende del suo Paese, Alka ci ripete con forza il messaggio che molti afghani stanno lanciando alla comunità internazionale: “non fidatevi dei Talebani, sono gli stessi di venti anni fa. Non devono essere appoggiati ma respinti”.

L’Herat International Women’s Film Festival ha dovuto cancellare l’edizione 2021. É una azione altamente rappresentativa del nuovo volto dell’Afghanistan. Ce ne puoi parlare?  

È stato molto brutto, per me è ancora uno shock parlarne, soprattutto se penso a com’è nato il festival: non avevamo niente, nessun budget nè sponsor. Eravamo solo un gruppo di persone che aveva deciso di fare un festival in una città in cui vent’anni prima i talebani avevano raso al suolo un cinema per costruirci una moschea. Quella strada di Herat è chiamata ancora da tutti “via del cinema” anche se sono vent’anni che il cinema non c’è più. Ma non fermeremo il festival: per adesso non è possibile svolgerlo in Afghanistan, quindi stiamo cercando organizzarlo in qualche paese limitrofo ma non vogliamo annullarlo.

Al Ca’ Foscari Short Film Festival di Ca’ Foscari presenterai il tuo documentario Afghanistan Night Stories. Ci dai qualche anticipazione?

Aghanistan Night Stories riguarda i ‘Commandos’, una parte dell’esercito afghano che ha combattuto contro i talebani. Lancia un messaggio molto forte attraverso le testimonianze di molti giovani che ne fanno parte. Uno dei quattro protagonisti del documentario è stato ucciso dai talebani durante le riprese. Questo ha naturalmente cambiato tutto: eravamo diventati molto amici dietro le telecamere, era pieno di speranze nei confronti del futuro dell’Afghanistan. Aveva tre figlie piccole e immaginava per loro un futuro. Poi è stato ucciso e non so cosa sia successo alle bambine, mi chiedo cosa ne sia di loro adesso che sono tornati a governare i talebani. Sono le bambine che si vedono all’inizio del film che parlano del papà: per loro si trova in un posto migliore, con Dio che gli dà da mangiare qualcosa di buono.

Dal tuo punto di vista, di giovane donna e regista, cosa significa un Afghanistan nuovamente in mano ai Talebani?

Non riesco minimamente a pensare a me, alla mia situazione o al mio lavoro - che pure adoro più di ogni altra cosa! Quando c’è stato l’arrivo dei talebani ho provato una delle sensazioni più brutte della mia vita e non riuscivo a smettere di piangere pensando a chi è rimasto in Afghanistan e soprattutto alle donne che vivono lì. Il mio pensiero è andato soprattutto a loro: abbiamo lavorato per oltre vent’anni per i diritti delle donne e i diritti umani in generale e adesso è tutto andato in fumo: siamo tornati a vent’anni fa. Prima c’erano delle realtà a cui le donne potevano rivolgersi in caso di necessità. Adesso in un clima di violenza contro le donne e sotto il regime talebano le loro voci non trovano ascolto. 

La produzione culturale può rappresentare una forma di resistenza a un regime oppressivo? 

Non sono speranzosa su questo e temo che non servirà a chi è in Afghanistan. I talebani cercano di far credere che la situazione sia cambiata per ottenere l’appoggio internazionale, ma le cose sono esattamente com’erano venti anni fa: esecuzioni frequenti e leggi che violano i diritti umani. Non so quanto la produzione culturale possa essere d’aiuto in questa situazione. Vari Paesi a livello internazionale stanno facendo pressione sui talebani per aggirare le loro rigide leggi. In questo senso spero che il tentativo di comunicazione e sensibilizzazione che viene fatto fuori dal paese attraverso la cultura possa essere d’aiuto.

Parlando di cinema: sarai al CFSFF di Ca’ Foscari, che seleziona opere di studenti di cinema di tutto il mondo. Quali temi sarà cruciale affrontare per i registi di domani?

Sono molto emozionata di venire a Venezia! Ho tanti legami con l’Italia, così come mia sorella [la regista Roya Sadat] e molti bei ricordi di scholarhips e premi ricevuti; il mio primo viaggio internazionale è stato in italia e arrivavo con un aereo militare… una situazione molto diversa da adesso. Sono felice di tornare nuovamente in Italia per partecipare al festival che è un’ottima opportunità per i registi emergenti.

Per quanto riguarda i temi, faccio un esempio con il mio paese che versa in una condizione davvero difficile: è importante mostrare cosa sta davvero succedendo nella vita delle persone, anche nei suoi aspetti drammatici, e questo si vede bene soprattutto attraverso i documentari, che possono far conoscere questa situazione e sperare di sensibilizzare e promuovere un clima di pace. Bisogna fare attenzione a non confondere la realtà con l’immagine che emerge attraverso i Social media. Questa immagine falsa può davvero creare degli scompensi psicologici, per esempio in un paese come l’Afghanistan in cui la vita vera è “bloccata” e la realtà virtuale, accessibile dai Social, può essere fonte di sofferenza. È importante educare a questa consapevolezza le future generazioni.

Federica Biscardi