COP26: accordi deludenti ma ruolo chiave di cittadini e giovani scienziati

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A pochi giorni dalla conclusione del summit di Glasgow sul clima possiamo parlare di successo o, per dirla come Greta Thunberg, del solito ‘bla bla bla’?

Questa COP26 è stata definita da molti la più importante degli ultimi anni, nonché l’ultima opportunità per tenere sotto controllo le devastanti conseguenze degli impatti del cambiamento climatico.

La dottoranda cafoscarina in Scienze Polari Marianna D’Amico ha seguito per 48 ore i negoziati allo Scottish Event Campus, sede della COP, e ci ha condiviso il suo racconto tra aspettative, delusioni e qualche segnale positivo. Su tutto è emersa con forza la centralità dell’inclusione e del ruolo dei cittadini, dei giovani e della comunità scientifica nella lotta al cambiamento climatico.  

“La conferenza si è conclusa sabato notte con un accordo dopo ore di negoziazioni che hanno coinvolto 197 paesi. Le delusioni maggiori sono state la decisione di cambiare la parte della bozza relativa all’abbandono del carbone modificando la dicitura da “abbandonare” a “diminuire” l’utilizzo, e il mancato arrivo, per ora, dei cento miliardi di aiuti ai paesi più bisognosi e vulnerabili.

quattro obiettivi della conferenza erano azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 puntando a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C, adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali, mobilitare i finanziamenti per poter facilitare il raggiungimento dei primi due obiettivi, e infine incentivare la collaborazione tra nazioni.

Per quanto riguarda il primo obiettivo, alla luce delle ultime decisioni prese, la COP26 non è riuscita a garantirne il successo e siamo ancora lontani dallo stabilizzare le temperature al di sotto del 1.5°C. Come sottolineato durante le osservazioni conclusive della conferenza, il percorso è lungo e le decisioni che dovranno essere prese nel prossimo futuro sono sempre più stringenti.   

Nonostante l’accordo finale della COP26 non sia sufficiente per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, durante il summit si sono notati elementi positivi che non dovrebbero essere ignorati. L’8 e il 9 novembre ho partecipato alla conferenza come delegata di Ca’ Foscari in quanto dottoranda in Scienze Polari. Le due giornate si sono incentrate sull’adattamento, perdite e danni, e sulla ricerca scientifica, l’innovazione e la parità di genere nell’azione climatica. Evidente è stato il ruolo centrale che la natura e la biodiversità hanno avuto nelle negoziazioni, in questa COP molto più che in passato.

Si tratta di un aspetto incoraggiante se si considera che nel report sulle basi fisico-scientifiche del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), pubblicato nell’agosto 2021, si afferma in modo inequivocabile che la natura deve avere un ruolo centrale nelle discussioni per limitare il riscaldamento globale al di sotto del 1.5°C. Per la prima volta si è mostrata la consapevolezza e la volontà di mettere la natura e le evidenze scientifiche al centro della conversazione includendole nei piani di azione.

Limitare le emissioni di CO2 non è sufficiente se non si agisce anche sulla prevenzione della degradazione ambientale, sull’aumento del livello dei mari, e sugli impatti degli eventi climatici estremi, fenomeni che sono ormai problemi urgenti in tutto il mondo. Ma qual è il ruolo della comunità scientifica? La scienza non deve più rivestire il ruolo di Cassandra nei dialoghi sul clima ma deve essere considerata motore di innovazione e soluzioni concrete. Bisogna trasformare le evidenze scientifiche in azioni reali. Dati chiari e affidabili sono fondamentali per la valutazione dei rischi e per mettere in atto piani per la protezione dell’ambiente e delle persone più vulnerabili agli impatti del riscaldamento globale. Si è parlato della necessità di incoraggiare un modello diverso di fare scienza, un modello che permetta maggiore comunicazione e cooperazione tra scienziati e policy makers. Altro elemento importante è stato il ruolo dei giovani nelle negoziazioni. Troppo spesso la narrativa che viene portata avanti è che i giovani siano coloro che guideranno le decisioni future, ma in questa COP non si è potuto fare a meno di constatare che i giovani vogliono guidare ora e hanno spinto con forza per essere inclusi nel dialogo.

Tuttavia, durante queste settimane, si è parlato troppo poco di inquinamento e nulla si è detto riguardo azioni incisive per limitare la contaminazione di mari e suoli. Si può davvero parlare di adattamento e protezione ambientale se non si considera una delle più importanti cause della perdita di ecosistemi? A parlarne sono stati principalmente i giovani e i cittadini, i quali hanno mostrato preoccupazione per la perdita della biodiversità dovuta allo sversamento di sostanze tossiche nell’ambiente e per la bassa qualità dell’aria che respiriamo, che danneggia silenziosamente la salute di tutti. Mi auguro che questa problematica ambientale, che da troppo tempo viene considerata un argomento dissociato da quello climatico, possa acquisire maggiore rilevanza in futuro. Dopotutto, se si vuole agire in maniera efficace sulla protezione ambientale, è necessario considerarne tutte le problematiche, nessuna esclusa.

Quello che ho visto nelle sale dello Scottish Event Campus durante le mie 48 ore alla COP26 sono state persone cariche di aspettative, speranza e voglia di dialogo. Le strade di Glasgow erano gremite di persone coinvolte in quello che sentono essere un problema reale, attuale e urgente. Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla COP26, è che l’inclusione è necessaria. In vista della COP27 che avrà luogo a Sharm el-Sheikh in Egitto, è importante mantenere vivo questo interesse e spingere affinché non si dimentichi l’importanza che ogni parte gioca nella ricerca di soluzioni. Personalmente sono tornata da questa COP ispirata e consapevole che noi giovani ricercatori abbiamo davanti un percorso gravoso ma importante. E, forse, quello che serve è proprio questo: rimanere consapevoli che come cittadini, giovani e scienziati abbiamo un ruolo da giocare e una voce da far sentire”. 

Marianna D'Amico/a cura di Federica scotellaro