Cile: il progetto riformista di Gabriel Boric

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Credit: Paulo Slachevsky/Flickr (CC BY-NC-SA 2.0)

Gabriel Boric, 35 anni, attivista politico e leader del movimento di sinistra Apruebo Dignidad, è il nuovo presidente del Cile. Eletto il 20 dicembre al secondo turno delle presidenziali, superando di dieci punti l’avversario di estrema destra José Antonio Kast, Boric si insedierà alla presidenza a marzo 2022. Il programma del giovane neo-presidente punta su democrazia e partecipazione, su riforme economiche e fiscali, su clima, ambiente e diritti sociali. Nemici numero uno del nuovo leader: l’eredità patriarcale cilena e il neoliberalismo. Ne abbiamo parlato con i docenti Luis Beneduzi, professore di Storia e istituzioni delle Americhe a Ca’ Foscari, e Vanni Pettinà, professore presso il Centro de Estudios Históricos de El Colegio de México e attualmente visiting professor a Ca’ Foscari, entrambi del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati.

Il Cile cambia passo e vota a sinistra. Possiamo considerare definitivamente superata l'eredità di Pinochet?

L. Beneduzi: Sia in Cile sia in altri paesi latinoamericani è complicato parlare di superamento della dittatura, perché i processi di giustizia e riconciliazione sono stati tardivi o inefficaci. Nel caso del Cile, per esempio, i crimini contro i diritti umani commessi dalla dittatura di Pinochet sono stati poco puniti giuridicamente. Dal 2012 i processi che riguardano il mancato rispetto dei diritti umani durante la dittatura sono diventati passibili di prescrizione. Le recenti elezioni hanno però rievocato in qualche modo il clima politico cileno degli anni ’70: da una parte c’era Kast, ultradestra, che ha difeso la dittatura di Pinochet; dall’altra Boric, sinistra radicale, con esponenti del Partito Comunista all’interno della sua alleanza. Il vero passo di Boric verso la fine dell’eredità politica di Pinochet sarà la riforma economica. Per la prima volta il Cile sembra rompere con le ideologie neoliberiste, con i ‘Chicago Boys’, che puntavano a smantellare la presenza statale per lasciare spazio al privato e che hanno portato ad avere sicuramente un'economia più dinamica ma con una forte disuguaglianza sociale.

V. Pettinà: Con Boric inizia un vero processo di transizione che, se funzionerà, farà superare al Cile l’eredità della dittatura. Giustizia e memoria sono questioni sulle quali il Cile è molto indietro rispetto ad altri paesi dell'America Latina, come per esempio l’Argentina. In Cile non si è mai fatta davvero giustizia per le vittime della dittatura di Pinochet. Concordo con Luis che sarà la riforma economica il banco di prova della svolta, un ambito dove storicamente l’eredità dittatoriale ha danneggiato soprattutto la classe media, che è la maggioranza della popolazione. Boric ha un programma più radicale rispetto ai governi della Concertación, le alleanze di partiti socialisti e democristiani che hanno governato il Cile dopo il referendum del 1988. Nel suo programma parla di pensioni, di riforma fiscale, di politiche sociali importanti, di istruzione pubblica. E nello stesso momento, dall’altro lato, la costituente con una chiara maggioranza progressista riscriverà la Costituzione adottata da Pinochet.

Chi è Gabriel Boric? 

V. P.: Boric emerge come leader del movimento studentesco nel 2011. All’epoca si forgiano già delle relazioni importanti tra la massa di studenti organizzati, che chiedono il diritto all'istruzione pubblica di qualità, e il partito comunista cileno. I movimenti più recenti, del 2019, danno grande visibilità ai leader del movimento mentre i vecchi partiti della Concertación rimangono in secondo piano. In questo scenario emerge in modo netto la figura di Boric. Dal punto di vista del linguaggio politico, Boric è una figura nuova in Cile e anche a livello latino-americano. Da un lato ricorda il movimento politico spagnolo Podemos, o – in ambito americano – la parlamentare Ocasio-Cortez. Si batte fin da subito su temi che la ‘vecchia’ sinistra non ha compreso pienamente ma che hanno un forte appeal per le nuove generazioni: cambiamento climatico, femminismo, diritti LGBTQ. 

L. B.: È utile ricordare che Boric non è una new entry in politica. Dal 2014 è stato deputato, ha già un percorso politico strutturato con il partito della Convergencia Social, che si affianca al movimento Apruebo Dignidad. 

Il Cile a differenza di tanti altri paesi sudamericani ha vissuto un processo molto radicale di privatizzazione. Lo stato sociale è stato via via sempre meno presente. Uno dei punti di forza di Boric è puntare sul ripristino dell’intervento statale. Per la prima volta nella storia del Cile viene promessa un’uguaglianza sociale, che prevede un aumento delle tasse mirato a un maggior intervento dello Stato. Nel Paese l’eccesso di privatizzazione è un problema molto sentito. Sono in aumento, per esempio, i casi di pensionati cileni che si suicidano perché il sistema pensionistico privato non garantisce l'autosufficienza. 

Oltre alla vicinanza con Podemos, io vedo anche quella con Lula, nel Brasile del 2002. Per raccogliere i voti di centro e centro-sinistra, anche Boric ha dovuto scegliere un tono riformista ma non radicale, vicino a una parte più pragmatica di quella ‘onda rosa’ che ha attraversato l’America Latina all'inizio del XXI secolo. Ha inserito nella sua retorica sociale di ‘un Cile per tutti’ anche l’idea della crescita economica con l’importanza di ‘tenere i conti in ordine’, argomento fortissimo tra il primo turno e il ballottaggio, una strategia vincente di welfare. Il mercato però per il momento ha reagito molto male alla vittoria, e il peso cileno lunedì ha perso 4 punti percentuali.

Come possiamo leggere questo risultato elettorale rispetto alla storia del Cile e, in prospettiva più ampia, "all'onda rosa" latinoamericana?

L. B.: La cosiddetta ‘onda rosa’ in America Latina è stata inaugurata da Chavez, in Venezuela alla fine del XX secolo, ed è stata in alcuni casi, come quello brasiliano,  una svolta politica socialdemocratica che ha coinvolto molti Paesi arrivando fino in Cile, con il governo di Michelle Bachelet. Ma il governo Bachelet è stato così debole sul fronte delle politiche sociali, che era difficile in realtà parlare di un'onda rosa cilena. A partire dal 2014 questa corrente è stata scalzata dall’ascesa delle destre al potere. Dal 2019-2020 assistiamo però al fallimento dei progetti conservatori e forse alla ripresa di una onda rosa rinnovata, con – per esempio - Alberto Fernández in Argentina, Castillo in Perù e ora Boric in Cile. Ma la vittoria di Boric è di grande importanza, perché il Cile era rimasto una roccaforte del neoliberismo in America Latina. Il Cile che cambia colore rispetto al passato, con un progetto riformista, ha una forte valenza anche simbolica. Si inaugura un nuovo discorso politico che può diventare cruciale per il Cile ma anche per l’intera regione.

V. P.: Riguardo al valore simbolico del Cile, è utile ricordare che proprio qui negli anni ‘70 c'è stato uno degli esperimenti politici più importanti in ambito regionale ma non solo: l’ascesa al potere di Salvador Allende. L’ impatto politico si è fatto sentire anche all’estero, per esempio in Italia, nel partito comunista dell'epoca. Era un tentativo di conciliare radicalismo sociale e democrazia, e fu stroncato dal colpo di stato del 1973 organizzato dai militari di Pinochet e dalla CIA. Prima di finire in mano alla dittatura, il Cile è stato quindi un importante avamposto per la democrazia. È il posto giusto dove la sinistra latino-americana può ripensarsi. Gabriel Boric ci ricorda Salvador Allende. Più che una prosecuzione dell’onda rosa mi sembra un passo in avanti nel rinnovamento di un progetto sociale. 

Accanto a questo, vedo anche qualche limite nel suo programma. La politica internazionale è quasi del tutto assente. Storicamente il Cile guarda all’interno, più che all’esterno. Ma senza una maggior attenzione all’integrazione regionale latino-americana vedo difficile ottenere traguardi interni sui grandi temi, come istruzione, salute, economia. Un esempio è la questione fiscale. Senza un accordo regionale su come si tassano le multinazionali, i flussi di capitale e gli investimenti, rischia di diventare annacquata. La stessa cosa vale per il commercio. Su questo fronte Boric rivela la mancanza di esperienza politica sui grandi scenari. Dovrà imparare in fretta, se intende utilizzare il potere politico che ha per rilanciare l’integrazione dell’America Latina.

L. B.: Con il processo di riduzione della crescita che si prospetta, creare nuovi spazi di integrazione economico-commerciale per il Cile sarà fondamentale. La risposta negativa dei mercati è dovuta proprio a questa incertezza, e servirà sviluppare nuove strategie. In un’economia a stampo neoliberista, le relazioni commerciali con gli altri paesi dell’America Latina erano agevolate. Ora la riforma fiscale in programma produrrà nuovi scenari. Boric dovrà anche fare i conti con un Congresso dove non ha la maggioranza. Qui si vedrà la sua capacità di dialogo e contrattazione. Nel suo discorso inaugurale ha fatto promesse importanti di apertura al dialogo con la popolazione, ma bisogna vedere se riuscirà a farlo se ha l’opposizione del congresso.

Europa e Stati Uniti come hanno accolto il nuovo leader cileno?

L. B.: Il male peggiore per Biden sarebbe stata la vittoria di Kast, molto vicino a Trump. Ma al momento la politica estera statunitense è unicamente impegnata con la Cina. L’America Latina resta in secondo piano. Anche l’Unione Europea scongiurava la vittoria del progetto sovranista di Kast, contrario ai suoi principi di unione. Ma anche l’Europa non ha una visione chiara verso l’America Latina.

Questo disinteresse è un problema, perché lascia spazio alla Cina che ha invece in Sudamerica grandi interessi. I minerali cileni, tra cui il litio, sono molto importanti per l’industria tecnologica contemporanea e fa del Cile un partner commerciale importante per la Cina. Usa ed Europa dovrebbero guardare con maggior interesse ai Paesi come il Cile. Alcuni progetti sostenibili di Boric, ad esempio, andrebbero a vantaggio delle aziende europee e della tecnologia europea.

V. P.: È vero che per gli Stati Uniti l’America Latina è molto secondaria. Con Trump aveva avuto più importanza ma soprattutto in termini di conflitti legati all’immigrazione. Biden per ora è concentrato su questioni interne e l’unica priorità estera, come abbiamo detto, è la Cina. Questo vuoto, che è di lunga data, ha permesso alla Cina di occupare spazi importantissimi. La presenza degli investimenti cinesi in America Latina è massiccia. Con una presenza cinese così forte, a un passo dal confine nazionale, a un certo punto Washington dovrà riprendere il discorso con l’America Latina. Un presidente come Boric può essere un buon interlocutore per un progetto di contenimento cinese. 

L’UE si sta dimostrando provinciale in politica estera. I rapporti con l’America Latina sono quasi nulli ma invece è una regione importante, ricca di materie prime, alle risorse acquifere, alle foreste. Bisognerebbe dialogare su questi temi, ma l’Europa in questo momento è miope. Sull’ambiente, sulle politiche energetiche sostenibili, l’Europa è in prima linea e un’interazione positiva su questi temi andrebbe anche a vantaggio dell’America Latina. Bruxelles dovrebbe considerare il Cile di Boric un partner importante.

Federica Scotellaro