Il Carnevale e le sfide della storia

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"Il Ridotto" - Pietro Longhi

Di fronte alle crisi, il carnevale è fragile come lo è la città di Venezia, e quindi non è fisso nelle sue manifestazioni. Ce lo hanno ricordato la riapparizione del carnevale nel 1980 dopo la sua interruzione nell'Ottocento, poi nei decenni successivi due eventi che hanno provocato una sua provvisoria sospensione: la guerra del Golfo nel 1991 e l’epidemia del Covid nel 2020 e 2021. Anche se nel 2023 il carnevale ha ripreso ad attirare folle, non prevede certe manifestazioni come il volo dell’angelo in piazza San Marco, che riunivano prima della pandemia troppa gente nel cuore della città.

Risalendo il corso di una storia che è tutt’altro che lineare, emergono alcuni momenti in cui il il carnevale, anche se non scomparve del tutto, ha conosciuto notevoli cambiamenti di forma e di senso: la peste nel 1630 - dopo le numerose pestilenze del XIV, XV, XVI e inizio XVII secolo e in particolare nel 1575 - e la caduta della Repubblica nel 1797. Essi rivelano la convergenza tra eventi precisi e processi storici di più lunga durata.

Con la paura della malattia furono introdotti elementi di irrazionalità nel comportamento degli individui. Si incolpavano forze occulte, si trovavano capri espiatori, generando in epoca moderna quella che Paolo Preto ha chiamato la "teoria della peste manufatta". I responsabili di unzioni malvagie che avrebbero diffuso il male venivano sistematicamente denunciati, mentre si perseguivano i crimini di stregoneria: ebrei, stranieri, nemici di ogni genere venivano individuati, cacciati e condannati. Presente a Milano forse più che a Venezia nel 1630, l'ossessione delle unzioni minacciose aveva radici lontane e diede origine alla paura dei veleni che si protrasse nel XIX secolo e fino alla comparsa dell'influenza spagnola nel 1918.

Intanto di fronte ai rischi di contaminazione i medici veneziani portavano una maschera che copriva loro il viso e il capo nascondendo i capelli per evitare che si imbevessero dei miasmi della malattia, proteggendo gli occhi con occhiali e dotata di un lungo naso adunco per consentire il respiro in mezzo a odori disinfettanti e grati. Da parte loro i notai si facevano dettare i testamenti « dal balcone » dai soggetti moribondi oppure alla vigilia delle partenze in viaggio.

Tuttavia è nel modo di ricostruirsi dopo la peste, per proteggersi dal suo ritorno, che Venezia intervenne nel modo più efficace rispetto al resto dell'Italia settentrionale, offrendo l'esempio di una società in cui i rapporti umani furono riorganizzati per far fronte agli effetti nefasti della promiscuità. La risposta razionale delle autorità portò a un radicale cambiamento di comportamento con il rafforzamento del ruolo dei Provveditori alla Sanità, della quarantena e del lazzaretto. Per le donne, il lusso perse terreno rispetto al XVI secolo e la morale si regolò sotto il segno della protezione. Lo dimostra in materia di carnevale la probabile invenzione della maschera in bautta alla fine degli anni Trenta o Quaranta del Seicento, all'interno dell'Accademia degli Incogniti, baluardo della letteratura libertina e luogo di incontro delle élites patrizie della Serenissima.

È nello stesso periodo che gli artisti iniziarono a raffigurare la maschera in bautta, come dimostra il "salto" iconografico dalle incisioni di Giacomo Franco (1610) alle tele di Joseph Heintz con scene di carnevale, tra gli anni ’40  ’50 del Seicento. Poi, alla fine del XVII secolo, le vedute di Carlevarijs diffondono per prime le maschere in bautta tipiche del carnevale settecentesco. Il costume uniforme ed egualitario che emerse in quel periodo (e che si ritrova in altre città italiane nel XVIII secolo, come a Firenze) si ispirava alla maschera indossata dai medici in tempo di peste. Utilizzato fino alla fine della Repubblica di Venezia, durante il carnevale, ma anche per diversi mesi nell'anno, portò a una vera e propria polizia dei corpi. Lo dimostra la scena del Ridotto, tanto cara a pittori del XVIII secolo come Francesco Guardi e Pietro Longhi. Tenendo gli individui rigorosamente separati gli uni dagli altri nello spazio pubblico, questa "civiltà della maschera" è stata una risposta al rischio di epidemie stabilendo un nuovo ordine politico.

Un altro evento maggiore nella storia del carnevale fu la caduta della Repubblica di Venezia nel maggio 1797. In un attimo scomparvero le condizioni che per secoli avevano regolato e giustificato le festività del carnevale invernale nonché di quello dell’Ascensione, detto della Sensa. Entrambi miravano ad aggregare il popolo attorno alla memoria di un passato comune e fonte di orgoglio, oltre che a fare vedere all’Europa intera lo splendore e i fasti della Repubblica. Svuotato di quella missione, il carnevale ne ha guadagnato un’altra: far piacere alle nuove élites della società borghese europea con la programmazione di una vita teatrale e musicale particolarmente intensa nel periodo invernale. Essa divenne tanto più centrale quanto la caccia ai tori fu vietata nel 1802 e il gioco delle Forze d'Ercole sulla Piazzetta sin dal 1816.

Accanto ai piaceri della gola e a qualche festività in onore dei sovrani austriaci si manifestavano per le calli mascherate allegre o ironiche nei confronti dei vecchi veneziani decaduti. Ma il clou del carnevale era ormai la stagione lirica, illustrata dalle prime spesso famose anche se non sempre trionfali al Teatro della Fenice : così dal 1813 al 1857 si sono susseguite quelle di Rossini (Tancredi il 6 febbraio 1813, Sigismondo il 26 dicembre 1814, Semiramide il 3 febbraio 1823), Bellini (I Capuletti e i Montecchi e Beatrice di Tenda nel marzo 1830 e 1833), Donizetti (Belisario il 4 febbraio 1836 e Maria de Rudenz il 30 gennaio 1838) o ancora Verdi (Ernani, Attila, Rigoletto, La traviata e Simon Boccanegra, tutte in marzo tra il 1843 e il 1857).

Vi si aggiungevano i balli mascherati come la Cavalchina della Fenice. Tali occasioni mondane prefiguravano le forme alternative come la biennale d’Arte che si sarebbero sostituite per i sei mesi più caldi a partire dalla fine dell’Ottocento (1895) all’antico carnevale come momento di coinvolgimento di un élite internazionale. Peraltro questa élite continuò di rado lungo tutto il Novecento a ritrovarsi nei pochi episodi di un carnevale privato fatto di feste rimaste celebri come quella del 1951 organizzata a Palazzo Labia da Carlo dei Beistegui.

Da questi due eventi della grande peste del 1630 e della fine della Repubblica nel 1797 sono quindi emerse delle forme carnevalesche finora inedite. Esse riflettono i cambiamenti delle società coinvolte, a Venezia come nel resto dell’Europa. Ci insegnano quanto la storia del carnevale può aiutarci a capire meglio i mutamenti in corso.

Paragonandolo con gli altri carnevali, emerge la grande singolarità del carnevale di Venezia: nonostante le sue metamorfosi è rimasto un carnevale controllato, dove si può fare quello che si vuole purché non si turbi l'ordine pubblico ovvero la tranquillità sociale, politica e religiosa. Sin dal Rinascimento si è imposto a Venezia un carnevale profondamente urbano, che si regge su una dimensione di spettacolo silenzioso e raffinato, senza carri (non è né Putignano, né Nizza, né Viareggio), senza valenza politica contestataria (non è né Colonia, né Notting Hill quartiere di Londra), e dove non si trova volontà di unire il vecchio e il nuovo mondo fatto di religiosità, di migrazioni, di frustrazioni e di bisogno di esprimersi come a Rio, Sao Paulo, Recife, New Orléans, le Antille, etc

 

Il professor Bertrand ha appena pubblicato il libro "Storia del carnevale di Venezia - dall'XI secolo ai giorni nostri", edito da Cierre Edizioni e tradotto da Patrizia De Capitani e Marco Fincardi.