Brexit e l'impatto delle politiche migratorie in Europa

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Russell King, professore di geografia al “Sussex Centre for Migration Research” della Sussex University ed esperto  internazionale di immigrazione, ha aperto il convegno ‘The migration-politics nexus in today's Europe’ organizzato nel dicembre 2017 dal Ca’ Foscari International Center for Humanities and Social Science.
Il prof. King ha illustrato i risultati della sua recente ricerca sull’impatto della Brexit sui giovani immigrati Londinesi: “Originariamente il progetto si concentrava su un ampio studio riguardante la mobilità internazionale - ha affermato - esaminando le ragioni dello spostamento e il risultato di una scelta tanto importante. Ogni ricerca è però vittima del suo tempo: il referendum e la Brexit sono avvenuti proprio nel bel mezzo del nostro progetto; questo ovviamente ha richiesto una rilettura dei nostri risultati, poiché l’inaspettato risultato ha rappresentato un momento di crisi e di rottura nelle vite dei giovani migranti.”

La Brexit è stato un avvenimento sconcertante perfino per i capi del movimento; ha rivelato la realtà di una popolazione profondamente divisa, alienata dalla politica e manipolata dai media. Il messaggio di “moral panic” e di “invasion” portato avanti dalla Destra separatista ha avuto più impatto dei ragionamenti razionali ed incentrati sull’economia portati avanti dai partiti avversari.

Ma come è stata vissuta la Brexit dai giovani stranieri che hanno scelto Londra come meta preferita per studio o lavoro? Il Prof. King ha portato l’esempio di irlandesi, italiani e romeni, gruppi esemplificativi di tre differenti relazioni istituzionali con l’Inghilterra: i primi godono storicamente di libertà di movimento, l’Italia è un membro storico dell’Unione Europea, mentre i Romeni sono membri dell’EU solamente da pochi anni;
Dalle interviste emerge che per loro il risultato del Referendum è stato completamente inaspettato; solo alcuni avevano in qualche modo previsto questo scenario, a causa di episodi di discriminazione avvenuti nei mesi precedenti al voto. Il sentimento immediato e improvviso è stato il non sentirsi più benvenuti, senza una valida ragione.

Interessante notare che i più 'arrabbiati' - angry irish narrartive è stata la formula esatta utilizzata da King - sono stati gli irlandesi: non hanno avvertito un sentimento di vittoria condivisa, anzi, sono stati particolarmente turbati dalla natura nazionalista del referendum; sicuramente hanno provato più solidarietà e senso di condivisione con gli immigrati italiani e dell’Est-Europa, che con i loro “vicini” Inglesi. Riguardo al futuro, per coloro che già pensavano di lasciare l’Inghilterra per tornare in patria o trasferirsi altrove la Brexit ha solo accelerato il procedimento; ma per chi aveva dei progetti a lungo termine, delle relazioni stabili in Inghilterra, tutto è diventato immediatamente più incerto. I più preoccupati, stando all’indagine, risultano i romeni, etichettati spesso come “immigrati di serie B”, già rassegnati all’idea di doversi trasferire nuovamente.
Ancora è presto per identificare esattamente gli effetti della Brexit, ma è parso chiaro che sia stato un avvenimento significativo nella vita dei giovani immigrati, e avrà sicuramente grandi ripercussioni sul loro futuro.

Tra gli ospiti del convegno anche Maurizio Ambrosini, professore all’Università degli Studi di Milano ed esperto di sociologia e migrazioni, che ha affrontato il tema dell’immigrazione irregolare e delle relative pratiche politiche. Secondo la sua ricerca negli ultimi decenni l’enfasi sulla prevenzione e la lotta all’irregolarità è aumentata e di conseguenza si è registrata una maggiore chiusura e una crescente opposizione alle diversità culturali e religiose.

Eppure, poiché nei Paesi europei e liberali le politiche di rimpatrio non sono mai state molto efficienti (nel 2013 solo il 43% dei rimpatri previsti è stato effettuato a causa degli alti costi e degli accordi internazionali), la residenza illegale può essere definita un concetto dinamico, variabile: la sola alternativa è infatti, presto o tardi, la regolarizzazione.

Possiamo distinguere due “dimensioni” che caratterizzano particolarmente lo status di un immigrato: il riconoscimento ufficiale e  legale di regolarità, e l’accettazione sociale; incrociando queste due condizioni otteniamo quattro casistiche: la prima caratterizza i clandestini, che non sono né riconosciuti dallo Stato né accettati socialmente, e vivono dunque ai margini della società, senza un lavoro, un tetto, e non potendo godere di nessun servizio; dalla parte opposta dello spettro invece possiamo individuare gli immigrati regolari, che spesso hanno portato con sé la propria famiglia e hanno raggiunto una certa stabilità economica.
I rifugiati o richiedenti asilo invece sono in una posizione più ambigua: essi godono di uno status ufficiale e riconosciuto, ma devono affrontare una crescente ostilità da parte delle comunità, da cui sono spesso stigmatizzati, percepiti come estranei e pericolosi.
L’ultimo caso invece riguarda persone che non hanno nessun riconoscimento ufficiale o legale ma sono socialmente accettate e benvenute: le lavoratrici domestiche. Anche senza passaporti o documenti ufficiali queste persone sono quasi del tutto esenti da controlli, e possono circolare liberamente nei supermercati e nei parchi, specialmente se accompagnate da un anziano signore italiano; la loro formale regolarizzazione è spesso effettuata per permettere al datore di lavoro di assumere regolarmente, non a beneficio diretto delle persone immigrate.
Questa molteplicità di status, e le politiche di regolarizzazione che, più o meno direttamente, vengono implementate dall’Unione Europea, dimostrano che gli status politici e legali sono meno rigidi di ciò che sembra e di ciò che i Governi spesso dichiarano.

Affrontare la tematica delle migrazioni in modo più ampio rispetto all’approccio classico è proprio uno degli obiettivi dell’Humanities and Social Change International Center cafoscarino, diretto dal prof. Shaul Bassi.

La professoressa Sabrina Marchetti, membro della commissione scientifica del Centro, spiega così l’importanza del progetto: “Studi  sulle differenze culturali ed etniche saranno affiancati anche altri tipi di ricerca, con il fine di creare dei ponti tra la tradizione umanistica e gli studi economici, sociologici e sociopolitici. Il fenomeno delle migrazioni e le differenze culturali  entreranno nelle nostre attività attraverso molteplici modalità, e saranno esaminati, per esempio, sotto la lente della pedagogia, dell’arte, della letteratura.
Il recente convegno sulle politiche migratorie in UE è legato all’attuale scenario politico e operativo, e alle relative norme di implementazione: sono temi che sfuggono alla “sistemizzazione disciplinare”, e che richiedono una pluralità di strumentazione; è importante infatti che si sviluppi una consapevolezza analitica di queste grandi questioni, che altrimenti rischiano di essere vittime di strumentalizzazione e di un’analisi semplicistica.
Il centro si concentrerà quindi su questo approccio, volendo prendere consapevolezza di questi fenomeni, ed analizzarli con più strumenti accademici. Oggi più che mai c’è le necessità di  comprendere a fondo le varie dinamiche, per elaborare soluzioni più articolate, complesse ed efficienti.”

 

A cura di Teresa Trallori