Il razzismo in cattedra: il fascismo e il controllo delle coscienze giovanili

condividi
condividi

L’Università Ca’ Foscari, in collaborazione con il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Trieste, il Liceo Francesco Petrarca di Trieste e i Licei veneziani Benedetti-Tommaseo di Venezia, il 18 gennaio 2018, presso l’Auditorium Santa Margherita, ha organizzato il convegno Il razzismo in cattedra. Venezia, Trieste e le leggi razziali, iniziativa facente parte di un ciclo di eventi dedicati al Giorno della Memoria.

Nel settembre del 1938 sono state introdotte le leggi per la difesa della razza, il cui contenuto è stato annunciato da Benito Mussolini il 18 settembre dello stesso anno a Trieste, da un palco posto davanti al Municipio di Piazza Unità. In questa data è ufficializzata la svolta del regime fascista. Tra il 18 e il 26 settembre, Benito Mussolini conduce un tour attraverso le Venezie, il Nord-Est. La prima tappa è proprio a Trieste.

Come fa notare il Professor Casellato, Delegato del Rettore al giorno della Memoria: «Il viaggio di Mussolini è un’occasione per intrecciare e tessere i fili della memoria, utilizzando il ricordo della recente guerra, la culla del fascismo. È un modo per riflettere sul passato recente e sul presente.» Durante la proiezione del Cinegiornale “Mussolini a Trieste e l’annuncio delle leggi razziali”, recuperato dall’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza di Torino, le parole di Mussolini riecheggiano tra i muri dell’Auditorium. Sono osservazioni sconvolgenti, demagogiche, forti e accompagnate da una prossemica da leader, che camuffa l’atrocità delle dichiarazioni.
L’applicazione delle leggi per la difesa della razza, come sottolinea Valeria Galimi, Ricercatrice di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano, è estesa a vari settori professionali, ma in primis alla scuola e all’università, in quanto luoghi deputati all’istruzione, alla formazione e alla costruzione delle coscienze.
Secondo Tullia Catalan, Ricercatrice di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Trieste: «quando analizziamo le leggi del ’38 nelle varie regioni italiane, dobbiamo chiederci come si dispiegava il fascismo.» Bisogna tenere conto non solo delle istituzioni, ma anche del contesto. «Trieste ha una storia diversa rispetto a quella di altre comunità, come Venezia. È una città profondamente fascista; la storia delle leggi razziali, a Trieste, deve essere letta attraverso il binomio violenza e razzismo».
Tuttavia, come fa notare Levis Sullam, Professore di Storia contemporanea, gli episodi di discriminazione e violenza sono presenti anche a Venezia, dove la svolta anti-ebraica ha avuto un ampio consenso. «L’opinione pubblica, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, usa gli ebrei come un bersaglio ideale. Sono gli stessi giovani ad essere tra i più ricettivi alla svolta anti-ebraica, essi seguono il regime e spesso abbracciano con entusiasmo la nuova politica.»

Il controllo delle coscienze giovanili passa attraverso le cattedre delle scuole e delle università, che devono allinearsi alle direttive del regime. Gli studenti del Liceo Scientifico G.B Benedetti-Tommaseo hanno ritrovato presso l’archivio della loro scuola diversi documenti relativi alle leggi razziali, che mostrano come gli studenti e gli insegnanti dovessero essere iscritti al partito fascista e testimoniano il regolare svolgimento delle lezioni sulla base del progetto educativo del regime.

Gli studenti del Liceo Petrarca hanno ripercorso i percorsi di vita dei cinquantanove studenti espulsi dal loro Liceo a seguito delle leggi razziali. Essi sottolineano come lo scopo del progetto sia di mettere in luce i fatti accaduti e prendere coscienza di quanto è successo.
Ancora una volta, gli studenti collocano uno specchio davanti alle istituzioni e ne vagliano attentamente il riflesso. La medesima operazione è stata condotta dalla dottoressa in Storia dal Medioevo all’Età contemporanea Silvia Bettanin, che ha messo uno specchio davanti a Ca’ Foscari, permettendo all’università di farsi un esame di coscienza in quanto istituzione. Silvia Bettanin, con la tesi Ca’ Foscari al tempo delle leggi razziali, ha tracciato una storia di Ca’ Foscari durante il fascismo e ha sottolineato la svolta razzista compiuta dal regime e perpetrata grazie all’attuazione della politica della razza nelle università italiane.

I maestri di scuola primaria Gianluca Gabrielli e Valentino Minuto rilevano come l’intreccio tra il fascismo e la cattedra nasca a partire dall’istruzione elementare e si sedimenti durante il percorso liceale e accademico.
Durante il regime, bambini delle scuole elementari italiane sono educati in modo subdolo al razzismo, attraverso una comunicazione a sfondo razziale basata sull’animalizzazione dello straniero, che deve essere strappato alla barbarie e civilizzato, ma mai parificato completamente, come avviene nelle colonie dell’Eritrea italiana. Il proposito della “civilizzazione” è diffuso anche a Trieste, dove gli slavi sono i protagonisti di un vero e proprio fenomeno di italianizzazione, come rileva Tommaso Chiarandini, Dottorando di ricerca in Storia dell’Europa dal Medioevo all’Età contemporanea presso l’Università di Teramo.

Coloro che avrebbero concluso il loro percorso di studi a livello universitario, durante il regime, sarebbero entrati in contatto con un ambiente che favoriva la fiducia nel colonialismo e nell’imperialismo. Dagli anni Quaranta, Ca’ Foscari promuove diverse iniziative volte a promuovere l’imperialismo, desiderosa di realizzare il sogno del dominio adriatico veneziano. Marco Donadon, studente di Storia dal Medioevo all’Età contemporanea, sottolinea come Ca’ Foscari volesse «mantenersi competitiva nel panorama accademico nazionale».

Dal punto di vista imperiale, gli anni Quaranta segnano un’ulteriore radicalizzazione per Ca’ Foscari: l’imperialismo del decennio precedente si evolve con nuove forme e nuovi obiettivi. Nel maggio 1941 avviene l’annessione della Dalmazia, che porta l’Ateneo veneziano, tra il 1941 e il 1943 a promuovere iniziative mirate a salutare la recente acquisizione. Alessio Conte, dottore in Storia dal Medioevo all’Età contemporanea, ricorda: «oltre a una serie di borse di studio riservate agli studenti provenienti dalla Dalmazia, viene inaugurato un corso di lingua italiana per insegnanti dalmati di lingua slava. Si pensava anche di creare un corso post-laurea che formasse studenti specializzati di questioni balcaniche. Tuttavia, idee e iniziative megalomani non sopravvissero allo shock della caduta del fascismo e dell’8 settembre 1943.»
Con questo convegno è stato riaperto un piccolo armadio della vergogna, ma si è fatta luce su una storia che non è possibile dimenticare. Il compito degli storici è quello di ricercare la verità dei fatti.
 
Come dice Nicola Gallerano, storico italiano, ricordato dal Professor Casellato, gli storici possono essere paracadutisti, avvicinarsi agli oggetti della loro ricerca dall’alto, come se fossero calati da un aereo, e vedere lo spazio di ricerca nella sua larghezza e ampiezza, oppure dei veri e propri cercatori di tartufi, che procedono raso terra e ricercano negli anfratti delle piccole pepite nascoste. Far riemergere i documenti permette di indagare dimensioni specifiche e particolari che altrimenti andrebbero perse. La storia è una ricerca che illumina il passato e questo, anche se scomodo, deve servirci da monito per vivere il presente e costruire il nostro futuro.

A cura di Charlotte Gandi