Deborah Paci racconta il suo lavoro di storica, tra precariato e big data

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Gli storici dovrebbero avere un ruolo più attivo nel dibattito pubblico e le decisioni politiche dovrebbero avere alla base un’analisi corretta del passato. Ne è convinta Deborah Paci, storica contemporaneista e ricercatrice presso il Dipartimento di Studi Umanistici di Ca’ Foscari, dove si occupa – fra le altre cose – di Digital History.

Dopo la formazione all'Università di Bologna e all'Université Paris VII Denis Diderot, dove ha approfondito il pensiero anarchico e federalista di Pierre Joseph Proudhon, e dopo aver svolto attività di didattica e ricerca in Francia, Grecia, Malta, Svezia e Finlandia, Paci si è concentrata su due principali filoni di ricerca. Uno è il tema dell’immaginario insulare e dell’irredentismo fascista nel Mediterraneo. L’altro, sviluppato all’interno dell’ateneo veneziano, è quello legato alla Digital History.

Partiamo dalle isole

Nella tesi di dottorato ho analizzato la politica irredentista condotta dal fascismo italiano in Corsica e a Malta tra gli anni Venti e Quaranta. Dopo la conclusione del dottorato conseguito presso l’Università di Padova in cotutela con l'Université de Nice Sophia Antipolis è stata concepita una monografia intitolata Corsica fatal, Malta baluardo di romanità. L’irredentismo fascista nel mare nostrum (1922-1942) (Firenze, Le Monnier-Mondadori Education, 2015). La mia ricerca quadriennale di postdottorato presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati a Ca' Foscari dal titolo Floating Islands: The Representation of Mediterranean and Baltic Islands in the 20th and 21st Century verteva sul ruolo delle isole del Mediterraneo e del Baltico nelle rappresentazioni delle istituzioni europee dalla metà degli anni Ottanta ad oggi. Questa ricerca rientrava nel quadro di un progetto più ampio Spaces of Expectation. Mental Mapping and Historical Imagination in the Baltic Sea and Mediterranean Regions promosso dalle Università Ca’ Foscari di Venezia e Södertörns högskola di Stoccolma e finanziato dall’Östersjöstiftelsen (Baltic Sea Foundation), che prendeva in esame le valenze geopolitiche dell’immaginario storico connesso alle due “regioni marittime”.

Una parte delle mie ricerche ha avuto come esito la pubblicazione di una monografia sulle isole Åland, che traccia la storia di questo piccolo arcipelago finlandese abitato da una popolazione maggioritariamente parlante svedese. La cosa interessante è che nel 1917, durante l’occupazione bolscevica, questo arcipelago ha conosciuto una stagione irredentista, con un movimento che aspirava l’annessione alla Svezia. La questione fu risolta, nel 1922, dalla Società delle Nazioni, che ha riconosciuto la sovranità finlandese ma anche la forte autonomia delle Åland. Siamo di fronte a uno dei casi più interessanti di risoluzione pacifica dei conflitti che coinvolgono minoranze linguistiche. È significativo come attualmente le autorità del Sudtirolo intrattengano contatti periodici con il governo alandese, il che evidenzia la rilevanza del modello delle isole Åland, ribattezzate « Isole della pace ».

Lei dirige una rivista on line di storia contemporanea

Sono cofondatrice e direttrice di Diacronie. Studi di storia contemporanea, rivista on line quadrimestrale, open-access, che è prossima al compimento del suo decimo anno di vita. È una delle prime riviste scientifiche digitali di storia contemporanea sorte in Italia, un ottimo esempio delle ricadute del digitale nel mestiere dello storico che, dal mio punto di vista, vanno dall’elaborazione all’acquisizione dei dati, alla stessa diffusione della ricerca storica. Diacronie ha un comitato direttivo e di redazione fortemente internazionale. Vi si può accedere tramite il sito www.diacronie.it oppure tramite il portale francofono di riviste Revues.org, un grande progetto open access che raccoglie 481 riviste scientifiche. Pubblichiamo in quattro lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo), proprio perché abbiamo referenti in Europa e in America Latina, e traduciamo in italiano dal tedesco, dal portoghese e dal neogreco. Questo è anche il bello di lavorare in ambiente digitale! Ci permette di spaziare geograficamente e coltivare un network accademico internazionale di rilievo.

A Ca’ Foscari fa parte del team di Odycceus

Dal settembre 2017 sono ricercatrice a tempo determinato presso il Dipartimento di Studi Umanistici dove sto svolgendo una ricerca sul linguaggio dell’antisemitismo in Francia nei secoli XIX e XX attraverso l’analisi dei big data. Questa ricerca rientra nel più ampio progetto europeo Odycceus, acronimo di Opinion Dynamics and Cultural Conflict in European Space, di cui Massimo Warglien è capofila per Ca’ Foscari e Simon Levis Sullam referente per la parte storica. Nel gruppo, oltre a me, lavora Rocco Tripodi.
Stiamo ricostruendo il percorso dell’antisemitismo nella Francia del XIX e XX secolo. Analizziamo il linguaggio dell’antisemitismo attraverso volumi e periodici digitalizzati dalla Bibliothèque nationale de France e rinvenibili nella sua grande biblioteca digitale che è Gallica e che include migliaia documenti in formato digitale interrogabili attraverso ricerche all’interno del testo. Abbiamo isolato alcune parole chiave, come, ad esempio, juif o judaisme, e attraverso una web application creata ad hoc abbiamo estratto i testi che le contengono. Ecco quindi il corpus sul quale lavoreremo mediante text analysis e network analisys. Come e quando è potuto sorgere l’antisemitismo? Ci aspettiamo di rispondere a interrogativi di questo tipo. Lo scopo di Odycceus infatti è prevedere e prevenire i conflitti sociali tracciandone le evidenze sin dagli scontri verbali. In questa prima fase ci siamo concentrati in particolare su un giornalista cattolico antisemita, Édouard Drumont, autore de La France Juive e figura chiave dell’antisemitismo francese. Mi sono avvalsa della network analysis per esplorare la rete di contatti di Drumont. Una volta ricostruita la rete studieremo i personaggi citati e i loro collegamenti.

In pratica sta analizzando quello che oggi sarebbe il profilo Facebook di Drumont?

In un certo senso sì e Odycceus si occupa anche di analizzare i social network, naturalmente non per la parte storica. Al termine del progetto ci aspettiamo di avere una mappatura composita di persone, eventi e relazioni utili per tracciare il trend dell’antisemitismo e individuarne i picchi. Prevediamo un’analisi qualitativa, in seguito alla quale produrremo una ricerca ‘classica’, d’archivio, sui personaggi chiave. Abbiamo già definito alcuni ‘momenti antisemiti’ particolari, come l’affare Dreyfus o lo scandalo di Panama. Tutti episodi in cui gli ebrei vennero colpevolizzati per una situazione politico-economica degradante. Al termine del progetto verrà sviluppata una piattaforma online open source, Penelope - dedicata in particolare agli organi di stampa - che permetterà di individuale le polarizzazioni e la conflittualità in potenza analizzando milioni di post apparsi sui social network, tweet e articoli in tutte le lingue dell’Unione Europea.

Ci può fare un esempio di come Penelope potrebbe avere un impatto nella nostra vita?

Difficile dirlo in questa fase della ricerca. Poniamo l’esempio di una sonnacchiosa cittadina che si risveglia ad un tratto manifestandosi agli occhi dell’opinione pubblica xenofoba e violenta. Forse avremmo potuto prevedere questa recrudescenza del razzismo indagando i post e i tweet relativi a quella stessa città prima che emergessero episodi xenofobi?

Cosa significa per lei essere una storica?

Credo che noi storici dovremmo avere un ruolo più attivo nel dibattito pubblico. La prospettiva storica aiuta a valutare le situazioni in modo più lucido. Tuttavia, in quest’epoca post-ideologica non tutti gli storici prendono posizioni rispetto a questioni di interesse collettivo. Credo che sia doveroso che l’accademico non se ne stia sulla torre d’avorio. Purtroppo per chi è precario è più complicato: è troppo preso dall’ansia rispetto al proprio futuro lavorativo per poter partecipare attivamente alla vita pubblica. La precarietà può voler dire rinunciare al ruolo primo dello storico, che è la riflessione sul passato volta a rispondere ai bisogni posti dalla contemporaneità.

Ritiene che in ambito accademico ci siano differenti opportunità di carriera tra uomini e donne?

Non direi, credo però che chi voglia intraprendere la carriera e al contempo scegliere la maternità incontri maggiori difficoltà, in tutti gli ambiti ma soprattutto in quello universitario, proprio per il lungo periodo di precariato che questo comporta. Il mio periodo di postdottorato a Ca’ Foscari mi ha dato moltissime soddisfazioni professionali ed è anche il periodo in cui ho avuto i miei due bimbi. Ho trovato, grazie alla sensibilità dell’equipe con cui lavoravo, un ambiente favorevole per conciliare al meglio lavoro e famiglia. Essere Ricercatrice e madre non è facile, proprio perché si è precari.

 

A cura di Federica Scotellaro