Dalla Legge Basaglia a oggi: il Festival dei Matti unisce passato e presente, con uno sguardo al futuro

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La nona edizione del Festival dei Matti è stata ancora più speciale del solito: il 2018 segna infatti il quarantesimo anniversario dalla Legge 180, detta anche Legge Basaglia, che segnò una rivoluzione nell’ambito dell'assistenza psichiatrica ospedaliera, abolendo gli ospedali psichiatrici, i cosidetti manicomi, e conferendo una nuova dignità a tutti i pazienti.

L’inaugurazione del Festival è avvenuta giovedì 17 maggio, a Ca’ Foscari CFZ, Cultural Flow Zone; erano presenti il professor Flavio Gregori, prorettore alle Attività e rapporti culturali di Ateneo, e Anna Poma, curatrice del Festival, che nel suo discorso ha sottolineato la necessità di uno sforzo corale: è importante, oggi più che mai, non lasciare che ciò che dovrebbe far parte della nostra quotidianità venga trasformato in qualcosa di estraneo, e come tale temuto. Questo obbiettivo può essere raggiunto soltanto grazie ad eventi come il festival, che permettono di soffermarsi su questi argomenti e portare avanti una profonda riflessione.

Paola Mar, assessore al Turismo del Comune di Venezia, era presente all’inaugurazione, ed ha ricordato come l’incontro sia un elemento chiave per sciogliere tutti i possibili preconcetti sul diverso, sull’”altro”, spesso troppo complessi e lontani dalla realtà; i luoghi sono fatti appunto per questo, per incontrarsi, e di conseguenza riconoscere ed accettare le diversità.

Dopo gli interventi è stato proiettato il film “Padiglione 25”, diretto dal regista Massimiliano Carboni, e tratto dall’omonimo libro di cui è stata curatrice l’antropologa Claudia de Michelis. Il film, raccontato dagli stessi protagonisti, racconta l’incredibile e rivoluzionaria vicenda di un gruppo di infermieri dell’ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, a Roma: nel 1975, ispirati dalle idee innovative di Franco Basaglia e dal fermento politico dell’epoca, decisero di occupare uno dei padiglioni, e dare vita a un’autogestione. Nel documentario vengono passate in rassegna le storie dei pazienti e degli infermieri, storie di una dignità umana sistematicamente negata ad entrambe le parti: ai malati, perché totalmente deumanizzati e spesso sottoposti ad abusi fisici e psicologici, e agli infermieri, ai quali era imposto un ruolo da carcerieri, senza che venisse loro fornita una qualsiasi indicazione o spiegazione sui pazienti e le loro patologie.

Il reparto 25, grazie al rifiuto di queste regole, divenne un laboratorio, “un’esperienza eterodossa” portata avanti con grande coraggio e tenacia, resistendo all’opposizione del resto dell’ospedale. La lotta e l’impegno degli infermieri del reparto 25 sono sempre stati trasversali, orientati verso obbiettivi molteplici: dal tentativo di “ri-storicizzare” i pazienti, cioè ridare loro un’identità indipendente dal manicomio, autonoma ed autentica, al processo di reinserimento nella società, al difficile rapporto con le famiglie dei malati, spesso spaventate e restie a riaccogliere i parenti una volta usciti dal manicomio.
L’idea centrale di tutta l’esperienza però è sempre stata quella di sfuggire a un’istituzione oppressiva, per riconsegnare ai pazienti dignità e umanità, farli riappropriare delle loro memorie, dei loro luoghi, della loro identità.

Al termine della proiezione hanno preso parola il regista Massimilano Carboni, l’antropologa Claudia de Michelis, Maria Grazia Giannichedda, sociologa, lo psicologo e psicoterapeuta Riccardo Iema, e Vincenzo Boatta, uno degli infermieri protagonisti dell’esperienza.

Insieme hanno parlato degli aspetti più delicati e complessi che “Padiglione 25” vuole affrontare, come il sottile pericolo di fermarsi a una semplice umanizzazione del manicomio, senza però riuscire davvero a combatterlo: l’obbiettivo dell’esperienza e degli sforzi che tutt’ora vengono compiuti da migliaia di operatori non deve essere infatti trasformare i manicomi, ma eliminarli: una prigione resa più vivibile resta sempre una prigione, un luogo di isolamento, dove esiliare i “diversi”. Ed oggi purtroppo si percepisce una tendenza a ricreare i manicomi sotto forma di cliniche private, case famiglia, strutture accomunate dal fatto di voler nascondere e confinare i malati; il lavoro quindi non è affatto finito, ed è per questo che è così importante riflettere sui tre anni di innovazione del Reparto 25.

È importante inoltre ricordare, come hanno sottolineato gli ospiti, che questo film racconta una storia di emancipazione non solo dei pazienti, ma anche degli infermieri: in un certo senso sono loro i veri protagonisti di “Padiglione 25”, poiché tutto è partito dalla loro decisione di ribellarsi a un sistema contorto e oppressivo, unendosi ai malati in una lotta comune. Anche oggi, di fronte a situazioni che troppo spesso lasciano gli operatori sfruttati e prostrati, dobbiamo lavorare e riflettere su questi temi, queste esperienze di cambiamento e liberazione: per questo “Padiglione 25” è un film sul passato, sul presente e sul futuro.

A cura di Teresa Trallori