Mare Ionio, record di calore accumulato negli abissi

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(Pixabay)

La parte profonda del Mar Ionio si è riscaldata più di altri mari. Lo rivela uno studio su trent’anni di misurazioni e modelli numerici, condotto da scienziati italiani nell’ambito del progetto RITMARE e pubblicato oggi sulla rivista scientifica Nature Scientific Reports. L’accumulo di calore negli abissi ionici è circa doppio rispetto a quanto osservato globalmente nello stesso periodo.

Il fenomeno è legato all’aumento delle temperature medie nell’area, che si riflettono sul notevole aumento di temperatura e di salinità avvenuto nelle acque dense del Mediterraneo orientale, provenienti sia dal bacino adriatico, sia da quello egeo.

Il dato particolare dello Ionio è però legato anche a fattori specifici: complici sono la conformazione non uniforme dei fondali e la circolazione delle masse d’acqua, che si mescolano e convogliano con efficienza il calore verso profondità di 3-4000 mila metri, dove continua ad immagazzinarsi.

“Questo mescolamento di masse d’acqua influenza anche la circolazione locale  - spiega Angelo Rubino, professore di Oceanografia all’Università Ca’ Foscari Venezia, tra gli autori della ricerca - e potrebbe essere uno dei fattori in grado di spiegare l’alternarsi di grandi cicloni ed anticicloni osservati alla superficie del Mar Ionio negli ultimi decenni”.

Gli scienziati cafoscarini, dell’Enea, dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle ricerche, dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale e della Stazione Zoologica Anton Dohrn hanno analizzato il calore contenuto nello Ionio, un parametro fondamentale per la comprensione del clima e delle sue variazioni. Variazioni nella quantità di energia immagazzinata dal sistema climatico, infatti, si riflettono sul calore contenuto negli oceani, autentico termometro dello stato del clima.

La sfida era stimare questo calore, facendo i conti con la scarsità di osservazioni nell’oceano profondo e abissale e con la difficoltà di prevedere l’accumulo oceanico di calore tramite simulazioni numeriche. I ricercatori hanno studiato dati frutto di decine di campagne oceanografiche.

Enrico Costa