La lezione del caso D&G, ne parliamo con Tiziano Vescovi

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Tiziano Vescovi, professore di Marketing

Dopo l’indignazione, la morsa virale e le scuse, rimane il caso di studio firmato D&G. Un episodio che diventerà monito nelle lezioni di marketing. Ne abbiamo parlato con Tiziano Vescovi, professore di Marketing al Dipartimento di Management di Ca’ Foscari e co-direttore del Laboratorio di Ricerca International Management to Asia (IMA Lab).

Il caso D&G non è il primo errore nel marketing internazionale…

"Non è il primo e probabilmente non sarà neanche l’ultimo. A differenza di altri non è passato inosservato e ha avuto un grande impatto proprio per la notorietà dei protagonisti e per il livello dell’errore che c’è stato. E’ diventato un caso mondiale e ne hanno parlato tutti i grandi network d’informazione internazionali".

Cosa è successo?

"Errori di questo tipo sono dovuti a una combinazione di alcuni elementi. Ignoranza sulla cultura dei paesi a cui ci si rivolge, una certa arroganza nel presentarsi, forte autoreferenzialità e un enorme etnocentrismo".

Qualche altro esempio?

"Esempi di errori culturali ce ne sono molti, forse meno eclatanti, ma nella pubblicità ho visto sbagliare marchi come Bulgari e Nike. Le conseguenze sono economicamente pesantissime".

Come si rimedia?

"La ricostruzione di un’immagine è difficile soprattutto di fronte alla cultura cinese, che è estremamente delicata dal punto di vista della percezione che gli altri hanno della Cina. Da questo punto di vista è un popolo molto nazionalista, di un nazionalismo diverso da quello a cui siamo abituati in occidente, ma che deriva dalla storia del paese, che è stato per molto tempo dominato da occidentali che l’hanno reso un paese secondario. Questo il cinese non lo dimentica. Sentirsi trattare in modo arrogante, ironico, sbagliato, non apre le strade del mercato".

Nel 2015 scriveva “Panni stesi a Pechino” parlando di nuovi mercati internazionali. La Cina è ancora un nuovo mercato?

"La Cina non è più un nuovo, ma un diverso mercato internazionale. I nuovi mercati esistono, ad esempio il Vietnam o l’Africa subsahariana. Sono mercati che si stanno affacciando sempre più rapidamente perché globalizzazione e digitale consentono velocità diverse dal passato. La Cina, invece, è un enorme mercato diverso rispetto ai mercati occidentali".

Cosa cerca la Cina dall’industria italiana?

"Il mercato cinese è sensibile a prodotti italiani in alcuni settori chiave, a cominciare dalla meccanica e dalle tecnologie collegate. Poi per l’economia sostenibile, perché i cinesi sono fortemente impegnati nella riduzione dell’inquinamento. Infine è interessato al lusso, mercato enorme. L’Italia produce il 40% dei prodotti di lusso del mondo. Perdere la faccia in questo settore significa rischiare ricadute su altri marchi italiani. Quindi le aziende grandi e molto note hanno una responsabilità sociale importante".

Cosa impariamo da questi errori?

"Si impara molto dagli errori, dai successi quasi mai. Spero che questo episodio sia stato istruttivo. Prima di tutto si impara che bisogna conoscere le culture diverse, conoscere i mercati diversi e non avere un atteggiamento etnocentrico.

E’ importante anche cosa insegniamo. A Ca’ Foscari abbiamo pensato da anni a queste problematiche. Abbiamo un curriculum di laurea magistrale che si chiama appunto Language and Management to China proprio per preparare i nostri ragazzi che conoscono la lingua e la cultura cinese ad affrontare temi manageriali perché le due cose vanno assolutamente assieme. Abbiamo un laboratorio di ricerca, International Management to Asia, che studia proprio questi aspetti: come la cultura influenza le attività di management. Inoltre, abbiamo un corso, che insegno, che si chiama Crosscultural marketing, che affronta questi aspetti trattando il marketing internazionale non tanto per trasmettere strumenti tecnici, ma culturali. Capire le differenze e le comunanze culturali su cui fondare i rapporti con altri mercati è la grande sfida che abbiamo di fronte".

Enrico Costa