Cosa significa essere Storico della Scienza? Intervista a Myles W. Jackson

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Myles Jackson storia della scienza

Myles W. Jackson è professore di Storia della Scienza all’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey. Come storico della scienza, è interessato ad esplorare le connessioni tra conoscenza scientificà e società, tra innovazione e questioni etiche. Il suo lavoro consiste nell’unire scienza e discipline umanistiche, per mostrare come la conoscenza scientifica veniva generata e comunicata e come la “cultura modella la conoscenza scientifica”.
Questo rinomato storico della scienza ha argomenti per tutti gli interessi. 

Ha iniziato i suoi studi con una laurea in Letteratura Tedesca ed ora i suoi interessi di ricerca spaziano dalla bioingegneria alla produzione di strumenti musicali nella Germania del XX secolo. C’è un filo conduttore tra questi argomenti all’apparenza così distanti? Come si è sviluppata la sua carriera? 

Ho iniziato con una laurea in Letteratura Tedesca ma allo stesso tempo ho studiato anche biologia molecolare e cellulare ed avevo addirittura iniziato un dottorato in quell’ambito prima di passare alla storia e filosofia della scienza. In parte, quella decisione era basata sul fatto che non volevo passare 15 ore al giorno, 7 giorni alla settimana in un laboratorio. La storia e la filosofia della scienza mi permisero di riavvicinarmi a quei grandi testi che tanto mi mancavano ed inoltre, ho potuto portare con me la mia istruzione da scienziato. Mi ha sempre affascinato ciò che C.P. Snow chiama “le due culture”. Mi interessava capire come discipline diverse interpretino e descrivano il mondo, incluso ciò che chiamiamo “l’essere umano”. Ci sono somiglianze rilevanti tra le scienze naturali e le materie umanistiche, ma ci sono anche differenze abissali.

Cosa significa per lei essere uno storico della scienza? Quali sono le sfide del suo lavoro? 

Per me, essere storico della scienza significa situare il contenuto della conoscenza scientifica all’interno del contesto storico al quale appartiene. A questo fine, gli strumenti forniti da storici, filosofi, sociologi, antropologi e dagli stessi scienziati vengono utilizzati per investigare come la cultura modella la conoscenza scientifica. Nel mio lavoro c’è anche una componente politica e morale. Gli storici sono moralmente obbligati a dimostrare che la situazione in cui ci troviamo oggi non è “naturale” o “inevitabile”, ma piuttosto un risultato di decisioni storiche fatte da scienziati, politici, filosofi, storici ecc. Dobbiamo mostrare che ci sono sempre state alternative e dobbiamo spiegare perché alcuni percorsi sono stati scelti, mentre altri no. Penso che la sfida principale per gli storici della scienza sia, da un lato, comprendere teorie e pratiche scientifiche complesse e dall’altro, portare alla luce pezzi di contesto storico, che possono spiegare come queste conoscenze venissero generate e comunicate. Ciò necessita di competenze anche nell’ambito delle scienze umanistiche e sociali. Il mio amore per la scienza è incondizionato. Mi piace parlare e ragionare con scienziati, anche se non sempre siamo d’accordo. E questa è una cosa positiva; quando le persone si trovano d’accordo, tendono a non imparare nulla di nuovo.  

Una parte considerevole della sua ricerca si è concentrata sullo studio della brevettazione dei geni e sulla sua storia. Potrebbe parlarci di questo argomento e spiegare quali potrebbero essere le ripercussioni di questa tendenza alla commercializzazione di materiale biologico? 

Mi interessa il modo in cui la ricerca nelle scienze biomediche, in particolare nella genetica molecolare, riesce a sottolineare l’instabilità di molti concetti legali, come proprietà, privacy e diffusione della conoscenza. Ho scritto molto di come la brevettazione dei geni abbia modificato la condotta e il contenuto della ricerca scientifica. L’aumento nella privatizzazione della conoscenza scientifica porta a dover affrontare determinate questioni cruciali sul piano della moralità. Se una persona possiede il brevetto per un gene, quello stesso individuo può impedire legalmente ad altri gruppi di condurvi ricerche, ostacolando così l’avanzamento scientifico e l’innovazione. Ciò è avvenuto nel caso dei geni legati al tumore al seno, brevettati da Myriad Genetics. Ho prestato servizio come testimone esperto per l’Unione Americana delle Libertà Civili. Il caso è arrivato fino alla Corte Suprema Americana. Al momento sto lavorando su come le compagnie americane che offrono servizi di genomica personale, vendano dati a compagnie di assicurazione e a Big Pharma, dati sensibili che ottengono attraverso i test effettuati dai clienti che vogliono scoprire di più sulla loro ascendenza (es. in termini di provenienza geografica, predisposizione a determinate malattie ecc. N.d.R). Gli americani sono ossessionati dal conoscere la propria ascendenza genetica e ciò la dice lunga sul ruolo percepito della biologia nella determinazione dell’identità personale. Sono sorti diversi dibattiti negli U.S.A. sulla possibilità o meno di discernere la “razza” di un individuo basandosi sul DNA. Se ciò fosse effettivamente possibile, quali sarebbero le conseguenze sul piano legale, etico e sociale? E quali se non fosse possibile? 

Una delle sue lectures a Ca’ Foscari è incentrata sulla connessione tra scienziati naturali, ingegneri della radio, musicisti e il trautonium. Cos’è un trautonium e come funziona? Lo si potrebbe considerare un simbolo di questa convergenza tra ambiti diversi? 

Il trautonium fu uno dei primi strumenti musicali elettronici, originariamente costruito a Berlino durante la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30. Ci furono numerose versioni, inclusa una costruita negli anni ’50 e che venne utilizzata per i suoni dei volatili nel famoso film horror di Albert Hitchcock “Gli uccelli”. I toni del trautonium sono prodotti da una resistenza posizionata sopra ad una piastra metallica. La resistenza veniva premuta dal musicista in modo che venisse a contatto con la piastra, collegata a sua volta ad un oscillatore a tubo al neon, generando così differenze di oscillazione e quindi l’altezza della nota. I suoni potevano poi essere alterati attraverso una serie di manopole. Generalmente non penso alla musica come solo arte o scienza in maniera statica, ha componenti di entrambe. Piuttosto, sono interessato ad analizzare le interazioni tra diverse comunità come fisici, fisiologi, ingegneri della radio e musicisti. Scienziati naturali e ingegneri furono in grado di fornire ai musicisti nuovi suoni per il loro repertorio musicale, oltre a permettergli di suonare in microtonalità. La scienza e l’ingegneria hanno quindi cambiato radicalmente l’estetica musicale durante un periodo di 250 anni. Il trautonium venne costruito da fisici, ingegneri della radio e fisiologi con l’intento di migliorare la fedeltà delle trasmissioni radio. Durante i loro tentativi, scoprirono che i toni musicali si potevano generare e manipolare, e così nacque il trautonium. Uno dei principali compositori di avanguardia del tempo, Paul Hindermith, collaborò con loro e compose I primi brani per il trautonium nel 1930. 

Perché il public engagement è importante per i ricercatori? Cosa le piacerebbe vedere nel futuro della sua disciplina? 


Penso che gli storici della scienza siano moralmente obbligati a discutere della relazione tra scienza e società. E devono farlo mostrando le implicazioni etiche, legali, economiche, filosofiche e sociali della conoscenza scientifica. Fino all’elezione di Donald Trump, ho vissuto in una democrazia. Una democrazia funziona solo quando i cittadini sono istruiti. La conoscenza scientifica ha avuto un impatto inimmaginabile su di noi e sulla società e perciò dobbiamo essere coinvolti. Gli scienziati devono parlare ai cittadini in modo da tranquillizzare le loro paure ma anche convincerli dell’importanza della scienza (fatta bene) per il benessere dell’umanità. Vista la recente ascesa dell’anti-intellettualismo e del populismo in tutto il mondo, questo messaggio è quanto mai importante. 

Ci può raccontare un aneddoto sulla storia della scienza che pochi conoscono?  

La mia storia preferita da raccontare alle feste (particolarmente per i fisici): Il Premio Nobel per la Fisica Max Born, emigrò nel Regno Unito per sfuggire alla persecuzione nazista in Germania. Ebbe tre figli, una dei quali si chiamava Irene. Irene sposò un gallese, Brinley, e i due si trasferirono in Australia. Lì Brinley divenne direttore all’Ormond College, poi all’Università di Melbourne ed infine venne eletto Prorettore Vicario al Newcastle University College. Il suo cognome era Newton-John. E lui e Irene ebbero una figlia di nome Olivia, la famosa cantante e attrice. Quindi la prossima volta che la sentite cantare “Lets’ Get Physical”, potreste pensare che in realtà stia parlando dell’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. Non sta parlando di quella, ma rimane comune una storia interessante (e vera!). 

Francesca Favaro