Warren Cairns dalla Stazione Concordia, il più remoto osservatorio italiano

condividi
condividi
Warren Cairns

Mi chiamo Warren Cairns, sono un ricercatore per il CNR, all’istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali, situato nell’Edificio Delta del Campus Scientifico dell’Università Ca’ Foscari, che presto diventerà il cuore dell’Istituto per le Scienze Polari.

La nostra posizione ci dà modo di lavorare a stretto contatto con il Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, talmente tanto che noi ricercatori insegniamo ad alcuni corsi e prendiamo parte con entusiasmo a iniziative di coinvolgimento come la Kids University Venezia, organizzata dall’Ufficio comunicazione e promozione di Ateneo dell’Università.

Il viaggio verso l'Antartide


Verso la fine del 2018, ho iniziato il mio viaggio verso l’Antartide per poter portare avanti la mia ricerca alla Stazione Concordia, la base franco-italiana sull’Altopiano Antartico.
La Stazione Concordia si trova sul plateau antartico, ad un’altitudine di 3.200m sulla Dome C, una delle cime di ghiaccio più alte dell’intero continente. Questo sito è stato scelto perché si trova giusto in corrispondenza di ghiacci antichissimi, risalenti ad addirittura 800.000 anni fa.

Anche solo raggiungere la Stazione Concordia è un’odissea: un volo da Venezia a Dubai, da Dubai a Sidney e, in primavera, da Sidney a Christchurch, da Christchurch alla Stazione Mario Zucchelli (MZS), dalla MSZ alla Dome C (DC). Ad ogni modo, quando sono partito io, durante l’estate antartica (il 23 dicembre), la pista di atterraggio alla MZS non era più disponibile, in quanto il ghiaccio si era assottigliato troppo, quindi sono stato costretto a volare da Sidney a Hobart in Tasmania, dove ho poi preso il pattugliatore francese Astrolabe. Ci imbarcammo sulla nave il giorno di Natale e partimmo il 27 dicembre da Hobart per sfuggire ad una tempesta ed effettuare una traversata più calma.

Pattugliatore francese Astrolab

Durante i 3 giorni di navigazione, il clima si faceva sempre più freddo. Nella sera del 30 dicembre iniziò a nevicare in mare. Il 31 dicembre, al nostro risveglio, vedemmo i nostri primi iceberg. Nel tardo pomeriggio, il vento iniziò ad alzarsi ed una tempesta era in avvicinamento, quindi il capitano decise di navigare dietro ad un iceberg tabulare (fianchi ripidi e superficie piatta, ndr), procedendo sottovento su un tratto di mare calmo, per permetterci di festeggiare l’anno nuovo con una certa tranquillità. Il 1° gennaio iniziammo nuovamente a navigare verso Dumont D’Urville (DDU), la stazione costiera francese, e cominciammo ad avvistare alcuni dei suoi abitanti. Il tempo burrascoso ed il vento ci impedivano di attraccare alla stazione. Fummo quindi costretti a rifugiarci nuovamente tra gli iceberg vicini alla base.

Finalmente, il 2 gennaio, i venti e le acque si calmarono, permettendoci di avvicinarci alla DDU, una stazione costruita attorno ad una colonia di pinguini. Gli animali sembravano non accorgersi della nave rossa in avvicinamento.  Una volta sbarcati ci sentimmo come intrusi in un mondo nuovo, in netta minoranza rispetto agli abitanti indigeni. Dopo una scalata per arrivare alla stazione, un elicottero ci portò sulla pista di decollo da dove sarebbe partito l’aeroplano che ci avrebbe finalmente portati alla Dome C. Sul Twin Otter, i passeggeri condividono la cabina con i loro bagagli e il carico dell’aereo. Dopo un lungo volo sopra l’enorme distesa antartica, arrivammo finalmente a destinazione.



La prima cosa che ti colpisce è il freddo, la temperatura sulla costa si aggirava attorno ai -2°C ed era decisamente piacevole rispetto ai -35° che ci accolsero sul plateau antartico.

La seconda cosa di cui ti accorgi è la mancanza d’ossigeno. La pressione dell’aria qui è di 646 hPa, mentre quella normale, sul livello del mare, è di circa 1012 hPa. Ogni movimento ti lascia con il fiatone, finisci con l’annaspare anche solo per toglierti di dosso i vestiti.

L’ultima cosa che ti colpisce è la luce, cieli blu e il bianco della neve ovunque, il sole che si riflette su ogni superficie. Per ora, posso solo farci l’abitudine e trovare i materiali che sono arrivati da Venezia. Il lavoro potrà cominciare quando riprenderò il fiato.

La mia vita di tutti i giorni alla Stazione Concordia

La vita nella Stazione Concordia è in molti sensi fatta di routine. Dato che non esistono giorno e notte, i punti fissi della giornata sono i pasti: colazione dalle 7.00 alle 7.45, pranzo dalle 12.00 alle 12.45 e cena dalle 19.00 alle 19.45.

L’attività scientifica ruota attorno a questi appuntamenti quotidiani. Durante le prime 2 settimane, alloggiavo in uno dei tendoni adibiti a dormitorio, con servizi di base e riscaldato da un fornello a kerosene. Mi svegliavo alle 6.45, mi cambiavo ed andavo fino alla base per usare il bagno, fare colazione e lavarmi I denti.

Tenda dormitorio

Alle 8, dopo il caffè, c’è la riunione quotidiana guidata dal leader della stazione, che ci istruisce sulle attività di manutenzione, ci comunica l’arrivo dei voli e ci dà delle notizie su quello che succede.

Dopo la riunione, è l’ora di mettersi i vestiti per affrontare il freddo ed uscire a raccogliere dei campioni. Una camminata di 15 minuti separa la base dal rifugio atmosferico, dove teniamo i nostri materiali per il campionamento e contenitori puliti per raccogliere la neve.

Assieme al programma francese GMostral, stiamo studiando gli scambi di mercurio tra l’atmosfera e il manto nevoso. Si sospetta da molto che l’Antartide sia una zona di deposito del mercurio atmosferico. I nostri studi hanno dimostrato che gli scambi che avvengono sono decisamente consistenti, e una piccola frazione del mercurio che si deposita nella neve, rimane lì e viene lentamente seppellita con il tempo.  La nostra controparte francese utilizza uno strumento particolare, il Tekran 2537, che misura il mercurio atmosferico ad intervalli di 15 minuti. Questo strumento è praticamente identico a quello che utilizzano il CNR-IDPA e l’Università Ca’ Foscari a Col Margherita (Passo San Pellegrino) nelle Dolomiti, sopra Falcade. Il nostro compito è quello di raccogliere neve dalla superficie, e poi alle profondità da 0 a 3 cm e da 3 a 6 cm sotto la superficie, perché questi sono gli strati più attivi. Successivamente, mettiamo in relazione i livelli di mercurio che troviamo con le misurazioni atmosferiche.  
Attrezzatura per la ricerca della Prof.ssa Stenni
La strumentazione per fare questa operazione si trova in via Torino, il nostro lavoro qui consiste nel raccogliere campioni, conservarli a -20°C (o anche meno) e assicurarci che rimangano integri fino all’analisi. Il primo passo nel mantenere l’integrità del campione è evitare qualsiasi tipo di contaminazione, quindi una volta preparati i contenitori, camminiamo fino all’area dove la neve è incontaminata, sempre sullo stesso percorso e mantenendo il campione sottovento, indossando guanti di polietilene per evitare di contaminare la neve. 

Dopo il ritorno al rifugio, i contenitori vengono imbustati, le etichette controllate e poi il tutto viene riposto in una scatola con isolamento termico, pronta per essere spedita. Questa attività si ripete 2 volte ogni giorno. Una volta al giorno collezioniamo campioni di deposito (cioè ghiaccio e neve) da altipiani speciali e una volta ogni 2 giorni, ci spingiamo più lontano e raccogliamo campioni da un’area ancora più incontaminata assieme ai nostri colleghi francesi, per poter fare un'analisi totale del mercurio e degli isotopi.

Mano a mano che la ricerca continua, dobbiamo allontanarci sempre di più dalla base, perché il ritmo delle operazioni finisce per contaminare l’area circostante. Quindi, se vogliamo vedere l’inquinamento causato dai trasporti su lunga distanza su scala globale, dobbiamo recarci in un area che non è stata interessata dalle attività legate alla base.

Nonostante queste operazioni occupino una parte ragionevole della giornata, c’è ancora abbastanza tempo per farsi la doccia e lavare i propri vestiti. Di solito, visto che qui l’acqua viene ricavata dallo scioglimento della neve, procedimento che richiede molta energia, cerchiamo di risparmiare e riciclare quanto più possibile. L’acqua che beviamo è neve appena sciolta con l’aggiunta di sali minerali, perché la neve da sola è troppo pura per essere bevuta. L’acqua di scarico (quella che deriva da docce, lavatrici e dalla pulizia di utensili da cucina) viene filtrata e riciclata con un sistema simile a quello che si trova sulla Stazione Spaziale Internazionale. Per rendere il riciclo più semplice, dobbiamo usare saponi speciali che sono facilmente rimuovibili dall’acqua. Le persone si radono di meno, per evitare di aggiungere peli che potrebbero bloccare i filtri. Il freddo, inoltre, ci aiuta a risparmiare acqua, perché sudiamo poco e quindi ci laviamo meno spesso rispetto a quando siamo a casa.

Per quanto riguarda la nostra vita quotidiana, abbiamo anche il compito di aiutare con le varie attività all’interno della base, ciò significa per esempio lavare i piatti dopo ogni pasto o aiutare a caricare e scaricare gli aerei quando arrivano. Alcuni di noi danno una mano allo chef tagliando le verdure o aiutandolo nella preparazione del cibo. La Concordia è come un piccolo villaggio dove ognuno di noi deve fare la propria parte perché tutto funzioni.

Nei weekend, specialmente la domenica, il ritmo della attività rallenta e si riesce a trovare il tempo per andare a visitare i laboratori dei colleghi, oltre a poter ammirare le vedute che la Stazione Concordia offre.

Photographs and videos taken by Warren Cairns, copyright PNRA 
Epifania con i cammelli

Ci vediamo alla Kids University Venezia!

A cura di Federica SCOTELLARO; traduzione di Francesca FAVARO