Messaggio 'vincente' della cafoscarina Nicole Ferrario al Giappone

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Nicole Ferrario

Nicole Ferrario, laureata magistrale in Lingue e civiltà dell’Asia e dell’Africa Mediterranea (curriculum Giappone) ha deciso di partecipare al concorso dell’associazione Kokusai Kōryū Kenkyūjo dal titolo “Un messaggio che vorresti trasmettere al Giappone e ai giapponesi”. Ha vinto la sezione dedicata agli studenti non residenti in Giappone ed ha avuto l’occasione di trascorrere una settimana a Tokyo per partecipare alla premiazione.

Che messaggio hai voluto trasmettere con il tuo racconto “La parola chiave della convivenza multiculturale è la curiosità!”?
La convivenza multiculturale “tabunka kyōsei” è un concetto molto in voga nel Giappone contemporaneo, l’obiettivo sarebbe quello di favorire la comunicazione con gli stranieri e la comprensione di altre culture. Sfortunatamente i giapponesi nella vita di tutti i giorni non lo mettono in atto e quest’espressione risulta essere niente più di uno slogan. Con il mio racconto ho cercato di trasmettere l’importanza di nutrire più curiosità verso gli altri come un elemento di svolta e per fare questo ho tratto ispirazione anche dalle mie esperienze personali. Credo che l’unicità di questo Paese e la salvaguardia della sua tradizione millenaria debbano rappresentare un punto di forza nell’incontro con altre culture e non un ostacolo.

Pensi che Ca’ Foscari ti abbia supportata nello sviluppo delle tue competenze e nelle tue esperienze?
Certamente, grazie a Ca’ Foscari ho avuto modo di trascorrere due semestri in Giappone; durante la mia laurea triennale ho studiato all’Università Ritsumeikan di Kyōto, mentre ho avuto l’opportunità di portare avanti le mie ricerche per la tesi di laurea magistrale presso l’Università Chūkyō di Nagoya. In realtà, per entrambi i racconti che ho presentato in questi ultimi due anni al concorso ho tratto ispirazione da temi trattati nelle mie tesi.

A proposito del concorso, come ne sei venuta a conoscenza? E cos’è cambiato stavolta rispetto all’ultimo racconto che avevi presentato?
Il concorso ci era stato suggerito dalla professoressa Etsuko Nakayama quando ancora ero una studentessa; il titolo della prima edizione era “Che tipo di Paese è il Giappone per te?” e per questo racconto ho tratto ispirazione dall’argomento trattato in tesi di laurea triennale, ovvero il significato della metafora della veste del kimono nella letteratura giapponese. Grazie al mio elaborato mi sono qualificata al terzo posto nella prima edizione, anche se credo che rispetto al racconto di quest’anno questo risultasse meno personale. Infatti, la mia maggiore fonte di ispirazione per il racconto vincitore è stata la mia esperienza di ricerca tesi a Nagoya presso la comunità filippina, dove il mio obiettivo è stato studiare come i giapponesi si relazionassero agli stranieri residenti da tempo nel Paese.

Grazie a questo concorso hai avuto l’occasione di trascorrere una settimana a Tokyo, come si è svolta la premiazione?
I vincitori del concorso sono stati annunciati a gennaio ed io sono partita per il Giappone il 21 aprile; la premiazione si è svolta la mattina del 24 aprile presso la sede del Asahi Shimbun, uno dei più importanti quotidiani a livello nazionale, essendo uno degli organizzatori del concorso l’ex direttore del giornale. Lui stesso ha spiegato a me ed al vincitore della categoria studenti residenti in Giappone, un ragazzo del Benin il cui racconto trasmetteva un messaggio simile al mio, che questo concorso e la scelta dei nostri due racconti vogliono rappresentare uno stimolo al cambiamento. Grazie a questa vacanza inaspettata ho approfittato per salutare amici incontrati nelle mie esperienze precedenti in Giappone e visitare la sede centrale dell’azienda per cui lavoro.

Aspirazioni per il futuro?
Al momento lavoro come assistente di direzione per l’azienda giapponese Mimaki con sede vicino a Varese, mi sono laureata nel luglio 2018 ma ero già stata assunta a maggio dopo aver risposto ad un’offerta pubblicizzata da Ca’ Foscari. Mi piace perché quando mi sono iscritta all’università il mio obiettivo era riuscire a trovare un lavoro che mi permettesse di parlare ogni giorno giapponese e ce l’ho fatta. Non mi dispiacerebbe avere in futuro la possibilità di operare anche in ambito culturale.

 

Questa la traduzione del racconto presentato da Nicole:

La parola chiave della “convivenza multiculturale” è la curiosità!
Vorrei che i giapponesi comunicassero di più con le persone appartenenti a culture diverse.
Io ho iniziato lo studio della lingua giapponese 9 anni fa solo per curiosità e ci sono ancora tante cose che mi stupiscono. Ho studiato la lingua giapponese in Italia e in Giappone (Università Ritsumeikan di Kyōto e Università Chūkyō di Nagoya) e mi sono accorta di alcune cose riguardanti il Giappone.
Mi riferisco al Giappone in cui stanno aumentando i turisti stranieri e gli immigrati, in cui sta aumentando sempre di più l’uso del katakana1, in cui si sbandiera lo slogan del tabunka kyōsei (“convivenza multiculturale”). Nonostante ciò, sono numerosi i giapponesi che non si allontanano dalla propria cultura e forma mentis. È certamente importante conservare e trasmettere le proprie tradizioni, ma al tempo stesso oggigiorno è importante anche comunicare e accogliere persone di altri Paesi.
Uno studente giapponese una volta mi ha chiesto: “La lingua madre degli italiani è l’inglese?”. In quel momento, mi è venuto da pensare: “Il Giappone è davvero un’isola!”. Io sono italiana, ma forse sarebbe meglio definirmi “europea”. Fra i Paesi europei è come se non esistessero confini. Ognuno può spostarsi liberamente e usare l’euro dovunque vada. Certo, il confine del Giappone è il mare, ma non è forse arrivato il momento di superare i confini e diventare “cittadini del mondo”?
La parola chiave per la “convivenza multiculturale” penso che sia la curiosità.
Un aspetto interessante del giapponese sono ad esempio i saluti, alcuni dei quali sono intraducibili in italiano: yoroshiku onegaishimasu2  è una formula che si usa quando ci si presenta, quando si inizia un lavoro o quando si richiede un favore; otsukaresama deshita3 è un saluto che si usa alla fine del lavoro fra colleghi. Sono espressioni che favoriscono la costruzione di rapporti interpersonali. Ho capito il loro vero significato una volta andata in Giappone, dove mi sono sentita veramente un membro del gruppo.
Inoltre, quando ho studiato in Giappone ho imparato il seguente haiku:
Sento un lieve rumore: mia moglie si sta lavando nello yuzuburo4
Ho chiesto al professore il significato di questo haiku e ho scoperto l’usanza invernale di fare il bagno con all’interno lo yuzu5 . Trovo stupendo poter imparare usanze di una cultura diversa da una poesia composta da sole 5/7/5 sillabe. Mi sono stupita nel constatare quanto l’haiku sia legato alla cultura giapponese.
Anche voi, giapponesi, siate più curiosi nei confronti delle altre culture. Imparate cose nuove comunicando con gli stranieri, liberi da qualsiasi stereotipo. Mescolatevi. Realizzate nel concreto il tabunka kyōsei. Io, in quanto straniera che ama il Giappone e la lingua giapponese, lo spero vivamente.


 1Alfabeto utilizzato per le parole di origine straniera.
 2Si potrebbe tradurre, a seconda del contesto: “Spero di rimanere in buoni rapporti con lei”: “La ringrazio per il favore che mi farai”:
 3Si potrebbe tradurre: “Ti ringrazio per il lavoro svolto insieme oggi”.
 4Bagno caldo con all’interno lo yuzu o la sua scorza profumata. Oggi si usa di più il termine yuzuyu. L’haiku originale è yuzuburo ni / tsuma orite oto / koyami nashi.
 5Albero da frutto originario dell’Asia orientale, ibrido fra mandarino e bergamotto.

A cura di Sveva Buttazzoni