Valore dai rifiuti ittici, Maurizio Selva in Australia con supporto OCSE

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Maurizio Selva, professore al Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi, con il professor Thomas Maschmeyer dell'Università di Sidney

Il consumo pro-capite di pesce nel mondo è cresciuto del 50% negli ultimi quarant’anni. I rifiuti dalla produzione ittica superano le 20 milioni di tonnellate annue e rappresentano un quarto del volume processato.

Trasformare i residui della produzione di pesce che non sono commestibili, come lische, pelle e interiora, in prodotti ad alto valore aggiunto è un obiettivo ambizioso che richiede nuova ricerca scientifica nell’ottica di un’economia sempre più circolare e senza rifiuti.

Per avanzare le conoscenze necessarie a generare innovazione nel settore, Maurizio Selva, professore di Chimica verde a Ca’ Foscari, ha ottenuto il supporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD), che ha finanziato un progetto di mobilità in collaborazione con l’Università di Sydney, la Deakin University di Melbourne e un’azienda australiana specializzata.

Lo scienziato cafoscarino lavorerà quindi per 15 settimane in Australia con colleghi con competenze complementari.

“Gli scarti alimentari ed in particolare quelli di pesce sono una sorgente di una straordinaria ricchezza chimica che include molecole e biopolimeri preziosi spaziando da olii ad amminoacidi, proteine, collagene, chitina, chitosano - spiega Maurizio Selva dalla School of Chemistry di Sydney - stiamo cercando di comprendere quali siano le tipologie di scarto più promettenti e le tecnologie di trattamento più flessibili capaci di integrarsi con le esigenze del territorio costiero. Per garantire la sostenibilità economica del processo di bio-raffinazione puntiamo alla produzione di molecole e materiali ad alto valore aggiunto e molto innovativi"

"L’obiettivo - continua Selva - è focalizzato tanto a piccole molecole – oli ed amminoacidi – destinati al consumo umano nel campo cosmetico e nutraceutico, quanto a materiali avanzati e nanocompositi da impiegare ad esempio, nella sensoristica o bioimaging, per visualizzare processi biologici in tempo reale, nel biomedicale per la riparazione e rigenerazione dei tessuti o prodotti ad attività antimicrobica”.

In Australia, la ricerca e la collaborazione con l’industria ha permesso sperimentazione di tecnologie all’avanguardia per la bioraffinazione della biomassa residua in nuovi prodotti interessanti per il mercato.

Nel contesto adriatico, invece, si continua a preferire l’impiego degli scarti ittici per la produzione di mangimi, che pure utili, hanno un valore intrinsecamente molto ridotto. La ricerca in questo settore potrebbe quindi trovare applicazioni nel contesto mediterraneo e adriatico in particolare per rendere pesca ed acquacoltura pratiche sempre più sostenibili.

Enrico Costa