Cina e HK, 22 anni di attriti fino alle proteste di oggi

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Proteste a Hong Kong | Ph. news.sky.com

La comunità internazionale è in allerta, il Governo di Pechino è ‘preoccupato’. Occhi puntati da settimane su Hong Kong, dove  le proteste di consistenti settori della popolazione sono culminate il 1° luglio, a 22 anni dal passaggio alla Cina, con l’occupazione del Parlamento. Centinaia di migliaia di persone sono scese in strada per opporsi  alla legge sull’estradizione proposta dalla governatrice Carrie Lam. Ma gli scontri e le manifestazioni continuano anche dopo il ritiro della proposta da parte della stessa Lam. Cosa sta succedendo ad Hong Kong?

Ne abbiamo parlato con il prof. Guido Samarani, esperto di storia politica e del pensiero politico della Cina repubblicana presso il dipartimento di studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea di Ca’ Foscari.

Professore, qual è intanto la posizione di Pechino sulla questione di HK?
Al di là della questione specifica, la posizione del Governo cinese è sempre stata chiara: come mette in luce il “libro bianco” (white papers) del 2014 – anno segnato dal movimento degli ombrelli - due sono i punti irrinunciabili per Pechino: il primo è il fatto che Hong Kong è parte integrante e indissolubile della Cina, pur nell’ambito della formula “un paese, due sistemi”.  Il secondo è che gli abitanti della Regione Amministrativa Speciale (Special Administrative Region, SAR) di Hong Kong sono chiamati comunque ad agire con spirito patriottico e nel rispetto delle leggi esistenti.

Facciamo un passo indietro. Ci inquadra il rapporto tra HK e la Cina?
Nel 1997, dopo un lungo periodo di dominio coloniale britannico iniziato nel 1842, l’isola di Hong Kong e una serie di territori peninsulari ed insulari ad essa collegati fecero ritorno alla Repubblica Popolare Cinese (RPC), dopo una faticosa e complessa trattativa tra Pechino e Londra protrattasi per molti anni. L’assetto generale della nuova realtà fu determinato da una Legge fondamentale (Basic Law) che prevedeva tra l’altro la creazione della Regione Amministrativa Speciale (Special Administrative Region, SAR) di Hong Kong nell’ambito della RPC. La Legge Fondamentale, assieme a norme e disposizioni approvate successivamente, prevedeva per la SAR un sistema di autonomia per 50 anni (quindi sino al 2047) nonché alcuni elementi essenziali:

  1. l’autonomia di Hong Kong riguarda molti campi tranne che quelli della difesa e della politica estera, di competenza di Pechino;
  2. il sistema di governo è imperniato su di un Chief Executive (oggi Carrie Lam, eletta nel 2017 con un mandato quinquennale con il 66,8% dei voti sui 1200 elettori del Comitato elettorale) con nomina finale da parte di Pechino e su di un Executive Council ristretto ed espressione in gran parte delle forze politiche, economiche e sociali vicine al governo cinese, nonché su di un Legislative Council (una specie di parlamento);
  3. resta in vigore il sistema capitalistico esistente prima del 1997;
  4. il sistema giuridico mantiene il suo carattere di indipendenza rispetto al sistema in vigore in Cina e continua ad essere basato sulla common law;
  5. i cittadini residenti godono dei diritti di elettorato attivo e passivo, libertà di parola, stampa, associazione, dimostrazione, di credo, di formare ed aderire a sindacati e di sciopero, diritti molti dei quali contemplati nella Costituzione della RPC tranne quelli di formare ed aderire a sindacati e di scioperare.

Qual è la situazione di HK oggi?
Oggi, la SAR di Hong Kong è una realtà che amministra un territorio di poco più di 1000 kmq con una popolazione che (dati 2019) si attesta quasi a 7 milioni 500 mila abitanti con una densità demografica tra le più alte al mondo. La stragrande maggioranza è costituita da Cinesi o persone di origine cinese, il tasso di fertilità è molto basso e in costante decremento ma la crescita della popolazione è stata negli ultimi anni alimentata da politiche di sostegno all’immigrazione da parte di Pechino. Si tratta di una popolazione in gran maggioranza con un alto livello di educazione, caratterizzata da un’età media di 43 anni e composta in maggioranza da donne.
Sul piano economico, Hong Kong sembra avere beneficiato del boom economico cinese di questi anni in modo assai più modesto rispetto al resto del paese (circa la metà in termini di crescita), ma il PIL pro-capite è ad oggi superiore di circa 5 volte rispetto a quello della RPC. In generale, sulla base di una serie di interviste degli ultimi anni, risulta che molti lamentano in particolare la crescente dipendenza economica di Hong Kong dalla madrepatria e parti consistenti della popolazione giovanile e della classe media appaiono sempre più insofferenti rispetto ai forti investimenti immobiliari da parte dei “ricchi di Pechino”, i quali portano ad una crescita incontrollata dei costi delle abitazioni.

Che origine hanno le proteste di queste settimane?
Le proteste sono dovute alla decisione -poi momentaneamente ritirata - di Carrie Lam di far approvare un emendamento alle leggi sull’estradizione in vigore, le quali prevedono trattati di estradizione con vari paesi ma non, ad esempio, con la RPC e Taiwan. Le posizioni in campo sono schierate su due fronti largamente alternativi: da una parte, il Governo di Hong Kong, sostenuto da Pechino, che sottolinea come le modifiche siano indispensabili anche alla luce di fatti concreti (il caso di un residente di Hong Kong che è accusato di avere ucciso la fidanzata incinta quando i due si trovavano a Taiwan e che quindi non è ad oggi estradabile a Taiwan) e come esse riguardino solo specifici reati (omicidio, violenza sessuale); dall’altra, una vasta e varia opposizione politica e sociale che, pur prendendo atto delle assicurazioni circa i limiti e vincoli delle modifiche proposte, teme seriamente che la nuova normativa possa essere utilizzata dal Governo cinese per estradare nella RPC persone quali dissidenti politici, attivisti nel campo dei diritti umani, ecc.
Aldilà del contenzioso specifico, è evidente che le proteste di questi giorni si collegano ad un costante e periodico attrito e contrasto tra posizioni a favore e contro Pechino sviluppatosi già negli anni successivi al 1997 e culminati tra l’altro nel 2014 nel cosiddetto “movimento degli ombrelli”, così definito in quanto i manifestanti - molti dei quali giovani e giovanissimi - che dimostravano per il loro futuro portavano degli ombrelli gialli, da una parte simbolo della forza della luce (il giallo) opposta al buio (nero) del futuro e dall’altra strumento di difesa contro la polizia. Il sostanziale fallimento del “movimento degli ombrelli” ha probabilmente alimentato, come viene messo in luce da varie inchieste degli ultimi anni, sia sentimenti di frustrazione sia processi di radicalizzazione tra i vecchi e nuovi contestatori delle politiche pro-Pechino, di cui è tra l’altro simbolo il film Ten Years del 2015, frutto della collaborazione di una serie di giovani registi locali, il cui ultimo episodio rimanda - tra realtà ed immaginazione - ad una Hong Kong del 2025 segnata da partiti politici promotori di un’ideologia unicamente materialistica e da una totale obbedienza all’autorità da parte dei cittadini.

Quali prospettive per una risoluzione del conflitto?
Ad Hong Kong non esiste una posizione unanime pro-Pechino o contro-Pechino: il sistema politico-sociale appare assai frammentato, con la maggioranza nel Legislative Council detenuta dalla Democratic Alliance for the Betterment and Progress of Hong Kong, considerata assai vicina alle posizioni di Pechino,  e la Business and Professionals Alliance for Hong Kong, larga espressione dei gruppi economici e finanziari strettamente interessati ad un rapporto di stretta collaborazione con la Cina; al lato opposto si collocano il Democratic Party, moderato, il Civic Party, in cui militano molti avvocati critici di vari aspetti della Legge fondamentale, e varie formazioni minoritarie fortemente critiche verso la crescente influenza della RPC.
Un quadro dunque molto composito e complesso, in cui a Pechino sta il potere di decidere sul “che fare” e ad Hong Kong (quantomeno per una parte importante della popolazione) il diritto e dovere di difendere le proprie idee e cercare di disegnare autonomamente il proprio futuro e quello di Hong Kong anche in contrasto con la visione della RPC. Quali possono essere le prospettive, dunque, oggi, domani e soprattutto da qui al 2047, è molto difficile dire: la storia della Cina tuttavia ci insegna – credo – che i migliori leader sono stati quelli che hanno saputo coniugare capacità di governance e sensibilità verso la voce – anche critica - del popolo.

Federica SCOTELLARO