Cina: 70 anni della Repubblica. L’analisi degli studiosi di Ca’ Foscari

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Mao Zedong

“Quando il 1° ottobre 1949, a Tiananmen, Mao Zedong proclamò ufficialmente la nascita della Repubblica Popolare Cinese (RPC) mettendo in evidenza come finalmente “il popolo cinese si è levato in piedi”, nessuno avrebbe certo immaginato che settant’anni dopo la Cina sarebbe diventata quello che è oggi: una grande potenza globale, ricca di ambizioni e di “sogni” che mirano a costruire un paese sviluppato e moderno all’interno e protagonista centrale nel mondo”. Così il prof. Guido Samarani, esperto di storia politica e del pensiero politico della Cina repubblicana dell’Università Ca’ Foscari (dipartimento, Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea - DSAAM), inizia la sua riflessione su questo cruciale momento di bilanci per la Cina di Xi Jinping, che da una parte registra numeri altissimi - il ‘Black Friday’ 2018 di Alibaba ha registrato acquisti per 30 miliardi di dollari in un weekend e il New York Time ha scritto in un recente reportage che “Il sogno americano vive ora in Cina” – dall’altra fronteggia sfide che non sono da meno. Tra queste la guerra commerciale promossa da Trump e le inquietudini dei giovani a Hong Kong.

“Questi settant’anni – spiega Samarani – sono stati segnati indiscutibilmente da grandi successi così come da immani tragedie, e ci raccontano di una ricerca continua da parte del Partito Comunista Cinese (PCC) del raggiungimento di alcuni storici obiettivi: “rinascita nazionale” e “via autonoma alla rivoluzione e al socialismo”, “sviluppo” e “modernizzazione”, ecc.. Si tratta di una storia segnata da alcune tappe centrali, che vengono oggi ricordate (ma anche dimenticate) in occasione delle celebrazioni del 70° anniversario: lo sforzo generoso quanto utopico di accelerare la rincorsa del paese e del popolo verso il progresso e la crescita (1959: il Grande Balzo in Avanti); la fine della fase centrale della Rivoluzione Culturale e l’avvio di una delle fasi più confuse e caotiche nella storia del PCC e del maoismo (1969); i primi passi delle riforme promosse da Deng Xiaoping pochi anni dopo la morte di Mao Zedong nel 1976, irrobustite dallo storico viaggio di Deng negli USA (1979); la tragedia di Tian’anmen, segnata dalla repressione militare contro le proteste e richieste di studenti e altri gruppi sociali (“primavera di Pechino” del 1989); il ritorno di Macao alla sovranità cinese (1999), due anni dopo quello di Hong Kong: simboli di quella sostanziale riunificazione della patria da tempo immaginata e sognata; il percorso, in questi ultimi anni segnati dalla leadership di Xi Jinping, del “sogno cinese” e dell’ambizioso progetto della “Nuova Via della Seta”.
I prossimi anni ci diranno quanto la Cina saprà affrontare e superare le non poche sfide interne e quanta capacità essa avrà di unire legittime ambizioni internazionali con l’impegno per un mondo pacifico, più giusto e più sostenibile”.

Ma qual è oggi la realtà quotidiana delle nuove generazioni di cinesi, e quali le differenze con i loro coetanei occidentali? Così ce lo spiega Laura De Giorgi, docente di Storia della Cina contemporanea:

“L'arco di settanta anni è, tecnicamente, il tempo di tre generazioni, ognuna delle quali, come sottolineato, ha attraversato le tragedie e i successi del percorso che ha portato la Cina a essere quella che è, dall'esperienza della Guerra Fredda a quella del disgelo fino all'impeto della globalizzazione. I ragazzi della Repubblica Popolare Cinese vivono oggi in un mondo profondamente diverso rispetto a quello dei loro genitori e dei loro nonni,  della cui esperienza hanno una conoscenza parziale, anche per effetto della censura operata dal Partito Comunista sulla memoria pubblica di tanti eventi passati e sulle loro narrazioni storiche degli ultimi settanta anni. Le loro condizioni di vita materiale sono, per la grande maggioranza, incomparabilmente migliori rispetto a quelle delle generazioni passate. Sono individualisti e guardano con ragionevole ottimismo al loro futuro, sono tendenzialmente indifferenti alla politica e all'ideologia, aperti al mondo ma patriottici e nazionalisti. Non vivono però in un contesto facile: la competizione scolastica e lavorativa è molto alta e il carico psicologico riversato dalle famiglie sui figli perché raggiungano il successo e siano all'altezza delle aspettative è altresì elevato. Se il senso di solitudine - mascherato dall'uso eccessivo delle moderne tecnologie di comunicazione e dal consumismo - è un male comune, il legame con i genitori rimane fondamentale per i ragazzi, anche perché la famiglia, anche sul piano economico, resta la fonte primaria di sicurezza per la nuova generazione. L'attenzione del governo alla nuova generazione, comunque, è alta, come dimostrato dalla centralità che l'educazione e l'istruzione hanno agli occhi dei leader cinesi per le prospettive future del Paese”.  

Spesso gli anniversari importanti sono segnati da opere tangibili dal valore simbolico. Molti osservatori in questi giorni associano il settantesimo anniversario all’inaugurazione del nuovo aeroporto di Pechino. Daniele Brombal, docente di Lingua e Società cinese contemporanea, interviene sul tema facendo riferimento proprio a questa operazione:

“La valenza simbolica di quest’opera è molteplice. Se dovessi individuare tre parole chiave per descriverla, sceglierei apertura, modernizzazione, paesaggio.
Iniziamo con apertura: la crescente integrazione della Cina con il mondo è una delle dinamiche salienti della vicenda cinese, in particolare nel periodo successivo all’avvio delle riforme di Deng Xiaoping quarant’anni fa. E’ un tratto che Pechino ripropone nelle “Nuove Vie della Seta”, ispirate alla narrazione della connettività. L’aeroporto di Daxing ne è duplice epitome: da un lato, un’opera nata dalla collaborazione internazionale (è stato disegnato dallo studio di Zaha Hadid, 1950-2016). Sul piano concreto, è funzionale al rafforzamento della Cina quale fulcro economico, industriale e logistico globale.
L’aeroporto è anche espressione di un’idea di modernizzazione centrata sul ruolo della tecnologia, quale chiave per garantire crescenti sicurezza e benessere materiale alla nazione. Questa visione è un filo rosso nell’esperienza del Novecento cinese. I suoi segni tangibili sono concentrati nel periodo post-1949: il raggiungimento dello status di potenza nucleare nel 1964, le politiche sociali basate sulla modellazione matematica − quella del figlio unico in primis − e le grandi infrastrutture sono espressione di questo approccio, del resto non troppo dissimile a quello di molti paesi occidentali.
L’ultima parola è paesaggio. Per comprenderne la rilevanza cito un recentissimo articolo del Corriere della Sera, che descrive così la zona dove oggi sorge l’aeroporto: “cinque anni fa […] era campagna desolata a Sud di Pechino.” In quel periodo mi trovato lì, per un lavoro di ricerca sulla consultazione pubblica nella pianificazione dell’aeroporto. Il paesaggio che ricordo era fatto di alberi da frutto, un fiume, campi coltivati − specie a cocomeri - uccelli, animali da cortile ed esseri umani sparsi in decine di villaggi, in parte costruiti con le tradizionali case su cortile e i kang, il letto-stube delle campagne del nord. Quell’area era certamente povera. Tuttavia, non era affatto desolata, come vorrebbe il giornalista! Semmai, sul piano ecologico lo è ora. Questo cambiamento radicale del paesaggio naturale e sociale è una caratteristica saliente della Cina post-1949. Infrastrutture e urbanizzazione sono state e rimangono la maggiore causa di distruzione eco-sistemica, perdita del retaggio culturale tangibile e intangibile, sradicamento. Trovare un nuovo equilibrio in tal senso è, nella Cina di oggi, uno dei compiti più difficili”.

E sul piano strettamente economico? La Cina, da paese sostanzialmente marginale nell’economia mondiale, è divenuta una nazione assolutamente protagonista, attraverso un percorso a volte convulso, ma sempre così rapido da stupire. Ne abbiamo parlato con il prof. Tiziano Vescovi, professore di Marketing al dipartimento di Management di Ca’ Foscari e co-direttore del Laboratorio di Ricerca International Management to Asia (IMA Lab) che spiega:

"Si possono identificare quattro fasi. La fase zero, fino agli anni ’80, in cui la RPC è rimasta sostanzialmente esterna alla vita economica mondiale, piegata su se stessa inseguendo un’autarchia inefficiente e a volte tragica nelle conclusioni. La prima fase di sviluppo, anni ’80 e ’90, ha assegnato alla Cina un ruolo di fabbrica del mondo, trascinata dai mercati esterni, favorita da costi del lavoro estremamente bassi e da una capacità organizzativa comunque adatta a una produzione di massa. La riserva di lavoro era comunque enorme, per l’emigrazione interna verso le aree industriali dell’est di centinaia di milioni di persone. Questa industrializzazione ha portato a una crescita notevole della ricchezza delle famiglie, seppure ancora oggi con importanti squilibri tra città e campagne. La crescita di una diffusa classe media è infatti una delle principali sfide del governo, per creare una robusta base di consenso sociale e di stabile progresso economico. La seconda fase è stata perciò quella della creazione del mercato interno di beni e servizi. La Cina è passata da fabbrica a mercato all’inizio del nuovo millennio. Gli investimenti delle imprese internazionali, sia grandi multinazionali sia medie aziende, non hanno più avuto la ragione di una riduzione di costi di produzione per prodotti da trasferire sui mercati occidentali, ma la produzione e presenza su di un mercato che presentava grandi opportunità potenziali. Il mercato interno si trasforma. Inizialmente era un mercato non educato ai prodotti e alle offerte dei paesi tradizionalmente protagonisti della vita economica mondiale; i prodotti complessi, globalmente accettati, i differenziali di qualità, l’accettazione del nuovo, erano visti con impreparazione, incomprensione, diffidenza, seppure in un quadro generale di attrazione curiosa. Le imprese italiane, abituate a mercati sofisticati, assumevano spesso una posizione di attesa: il mercato sarebbe prima o poi divenuto maturo, educato per le loro offerte. In realtà il mercato è divenuto diversamente educato, cioè non ha assunto la mera imitazione dei mercati cui siamo abituati, ma ha sviluppato una propria cultura di mercato che ha dimensioni di comportamento simili a quelle occidentali insieme a identità del tutto diverse derivate dalle proprie caratteristiche culturali. La terza fase, ora in atto, vede la Cina come costruttore di proposte per il mercato mondiale su diversi piani. Nascono le prime marche globali cinesi, si sviluppano gli acquisti di imprese occidentali e una presenza finanziaria da protagonista dei mercati. La Cina diventa potenza economica, le imprese cinesi sono operatori globali. La Repubblica Popolare Cinese è protagonista di progetti di investimento straordinariamente grandi e internazionali come la Belt and Road, di cui non è ancora chiara come sarà la struttura finale e l’influenza sull’economia mondiale. Per le imprese italiane rappresenta costantemente un’opportunità e una sfida. Conoscerne le caratteristiche culturali e strutturali, così come studiarne la continua trasformazione è il modo per comprendere le regole e i vantaggi di una collaborazione di mercato di successo".

E intanto la Cina si prepara a quella che sembra essere la più grande parata militare della storia. A Pechino, in piazza Tian’anmenm, martedì 1 ottobre 15mila soldati sfileranno alla presenza del presidente Xi Jinping in ricordo della vittoria di Mao Zedong. Da settimane si susseguono le prove generali dell’evento e per l’occasione i cieli del centro sono chiusi agli aquiloni, ai droni e persino ai piccioni.

Federica SCOTELLARO