Addio al filosofo Emanuele Severino

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Emanuele Severino
Emanuele Severino

Il filosofo Emanuele Severino è morto il 17 gennaio 2020 a Brescia. Dal 2005 era Professore Emerito dell'Università Ca' Foscari, dove ha tenuto per più di 30 anni la Cattedra di Filosofia Teoretica.

Il Rettore Michele Bugliesi: "Ci ha lasciati un grande protagonista del mondo della cultura e dell'accademia italiana e internazionale e uno dei nostri professori più amati. Emanuele Severino è stato uno dei pensatori di maggior rilievo della filosofia italiana del Novecento e la sua vasta opera era nota in tutto il mondo. Perdiamo un filosofo illustre e un docente appassionato, ha coinvolto, ispirato e fatto crescere generazioni di allievi.  A nome di tutto l'Ateneo esprimo il mio più sentito cordoglio ai familiari".

BIOGRAFIA (fonte www.emanueleseverino.it)

Nato a Brescia nel 1929, dopo la maturità classica si iscrive al corso di laurea in Filosofia all’Università di Pavia, presso il Collegio Borromeo. Si laurea nel 1948 con Gustavo Bontadini, discutendo una tesi su Heidegger e la metafisica.
Nel 1950 ottiene la libera docenza in Filosofia teoretica; nel 1954 viene invitato ad insegnare all’Università Cattolica di Milano, dove dal 1962 è professore ordinario di Filosofia morale. In quello stesso anno esce Studi di filosofia della prassi in cui si dice che la fede è contraddizione perché assume come incontrovertibile ciò che non si presenta come tale:
Con la pubblicazione di Ritornare a Parmenide (1964) e del relativo Poscritto (1965), la sua posizione in Cattolica si fa ancora più critica.
Nel 1970 entra nel Palazzo del Sant’Uffizio (ora Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede) per discutere con gli esperti incaricati di esaminare i suoi scritti.
Il responso, incluso negli Acta Apostolica, dichiara la incompatibilità della filosofia di Severino con la dottrina cattolica. Cornelio Fabro, ex definitore del Sant’uffizio, ha scritto che Severino «critica alla radice la concezione della trascendenza di Dio e i capisaldi del cristianesimo come forse finora nessun ateismo ed eresia hanno mai fatto».
Recatosi a Venezia, insieme a Piero Treves (per la Storia antica), Gaetano Cozzi (per la Storia moderna), Adriano Limentani (per la Filologia romanza) e a Giorgio Padoan (per la Letteratura italiana), fonda il direttivo dell’allora istituenda Facoltà di Lettere e Filosofia. Dal 1970 al 2001 è professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Venezia; fino al 1989 vi dirige l’Istituto di Filosofia, poi Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze. È professore emerito della stessa Università.
Dal 2002 collabora con la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove tiene il corso di “ontologia fondamentale”.
L’editrice Adelphi e la BUR dedicano una collana alla pubblicazione delle sue opere, molte delle quali tradotte in varie lingue: inglese, francese, tedesco, spagnolo, olandese, portoghese, finlandese. È collaboratore del “Corriere della Sera”.
Accademico dei Lincei, vincitore di molti premi – tra gli altri: premio Nietzsche, Tevere, Circeo, Guidarello, Columbus, premio per la filosofia 1998 della Presidenza del Consiglio, premio Grinzane Cavour-Cesare Pavese –, è Medaglia d’oro della Repubblica per i Benemeriti della Cultura e Cavaliere di Gran Croce.
Numerosi gli allievi di grande rilievo scientifico e accademico.
Nel 1951 sposa Ester Violetta Mascialino, docente di Latino e Greco nei Licei, da cui ha avuto due figli, Federico e Anna; ha un nipote, Andrea.

Qui di seguito il contributo dei docenti cafoscarini Luigi Vero Tarca e Davide Spanio, suoi allievi

"Un pensatore allo stato puro"

di Luigi Vero Tarca (Professore Onorario di Filosofia Teoretica)

Ricordare Emanuele Severino vuol dire rinnovare l’emozione dell’incontro con un pensatore allo stato puro. Incontro che nel mio caso è proseguito per più di cinquant’anni, ma che è stato decisivo anche per molti di coloro che hanno potuto frequentarlo solo per un periodo molto meno lungo o anche decisamente breve; e naturalmente penso qui innanzitutto ai numerosi studenti che hanno avuto modo di seguire i suoi corsi a Ca’ Foscari. Severino, infatti, è stato vissuto come un autentico Maestro; non perché come tale egli si atteggiasse, ma, anzi, proprio per il suo rigoroso tenere da parte la sua persona e la sua esperienza individuale rispetto a ciò a cui il suo discorso si rivolgeva, cioè al cuore del sapere filosofico, che può qui essere sintetizzato indicandone due aspetti essenziali.
Il primo è la testimonianza della verità intesa nel senso più forte e rigoroso, cioè come sapere assolutamente incontrovertibile in quanto capace di far fronte a qualsiasi negazione; quella verità – così durante le sue lezioni capitava di sentire – che “né uomini né dèi possono smentire”. Il secondo aspetto è che ciò che tale verità testimonia è l’eternità di ogni essente, cioè l’impossibilità che una qualsiasi entità provenga dal nulla o nel nulla vada a finire: tutto è eterno, anche il più piccolo tratto dell’essere.
Alla luce di questa consapevolezza, che peraltro affonda le proprie radici nella filosofia greca che sta alla base della nostra civiltà (in Parmenide, innanzitutto, al quale egli ci ha invitato in qualche modo a ritornare, sia pure in maniera critica), il pensiero di Severino, che si è confrontato con i massimi pensatori della nostra civiltà (da Platone a Hegel, da Nietzsche a Gentile, da Heidegger ai neopositivisti etc.), giunge a offrirci uno sguardo assolutamente alternativo al nostro usuale modo di  intendere la realtà. Perché quest’ultimo è essenzialmente marchiato dal nichilismo; cioè, appunto, dalla fede che gli essenti entrino ed escano rispetto alla dimensione dell’essere e siano quindi intaccati dal non essere. Lo sguardo alternativo che la sua filosofia testimonia, da un lato ha messo il suo pensiero a confronto con i protagonisti dalla cultura mondiale, dall’altro lato gli ha consentito di fornire una lettura totalmente innovativa dell’esperienza umana: dal problema della morte a quello della violenza, dalla questione della tecnica a quella della democrazia, e così via.
Quale sarà il “futuro” del pensiero di Severino è una questione che qui non è certo possibile aprire (anche perché il suo insegnamento è ben lungi dall’avere esaurito i suoi frutti), ma quello che è certo è che l’incontro con la sua filosofia ha comunque costituito un “destino” per parecchi di coloro che hanno avuto la fortuna, oltre che di leggere i suoi scritti, anche di discutere di filosofia con lui personalmente, come appunto è successo a molti dei suoi colleghi e dei suoi studenti a Ca’ Foscari. Credo quindi che alla fine questo sia giusto fare nella presente occasione: esprimere la profonda gratitudine da parte di tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerlo nei lunghi anni nei quali egli è stato, all’interno del nostro Ateneo, apprezzatissimo Professore Ordinario di Filosofia teoretica e, successivamente, Professore Emerito.

 

"Scompare l’uomo e il maestro del quale mi onoro di essere allievo"

di Davide Spanio (Professore Associato di Filosofia Teoretica)

La scomparsa di Severino è la scomparsa di un pensatore per il quale la filosofia (se alla filosofia attribuiamo la cura per ciò che si impone per la sua evidenza) non è affatto una riflessione sul mondo o a partire dal mondo. Il mondo è un’invenzione della filosofia che, alle sue spalle, inaugura lo spazio concettuale dentro il quale cadono la teoria e la prassi alle prese con l’imprevedibilità del suo divenire. Ma il mondo, per Severino, è un abbaglio, artefice della follia dell’Occidente, preda di un nichilismo che rimane inavvertito e inesplorato, anche quando, tramontata la metafisica tradizionale, che del mondo, sovrastato dall’eterno, cerca di rendere ragione, è la tecnoscienza a prendere il sopravvento, per produrlo e distruggerlo, senza limiti di sorta. Dire mondo, tuttavia, significa evocare l’andirivieni delle “cose” che, dopo Platone, affollano l’esperienza e ne complicano la trama, esponendola al ludibrio del nulla. Stando a Severino, il ruolo dei Greci risulta allora decisivo e inaggirabile, anche quando il discorso, con l’età moderna e contemporanea, si affretta a voltare pagina, cercando altrove le ragioni che la ragione dei filosofi non riesce più a garantire. Si tratta cioè, a suo avviso, di esplorare la genesi filosofica del mondo come tale, ritornando a Parmenide e all’enigmatica sentenza del poema che esorta a percorrere il sentiero del Giorno, lungo il quale il divenire, con tutti i suoi fantasmi, cede il passo all’essere. Nel corso dei trent’anni e più durante i quali il maestro bresciano lavora e insegna a Ca’ Foscari (dove, da studente, ho avuto la fortuna e il privilegio di incontrarlo la prima volta, seguendo il suo imperdibile corso di Filosofia teoretica) è appunto all’indagine intorno all’Essenza del nichilismo (così si intitola l’opera che nel 1972, lasciata la Cattolica di Milano, doveva raccogliere gli esiti del precedente lavoro di ricerca, germogliato dalla Struttura originaria) che egli dedica le sue fatiche, denunciando con una radicalità inedita l’alienazione della ragione occidentale. Dagli Abitatori del tempo, che annunciano il Destino della Necessità, del 1980, fino a La Gloria, del 2001, chiamata da Severino a risolvere il problema rimasto in sospeso vent’anni prima, quando i nodi della libertà e del sacro erano venuti al pettine, il mondo assume con sempre maggiore insistenza il ruolo esiziale della scacchiera sulla quale si giocano tutti giochi dell’Occidente (e ormai del Pianeta). Mettere in discussione l’esistenza del mondo significava allora mettere in discussione, con la scacchiera, le opere e i giorni dell’Occidente, nelle sue mille sfaccettature, accostando con decisione una prospettiva teorica di respiro internazionale che i volumi successivi, fino a Testimoniando il Destino, del 2019, dovevano ulteriormente approfondire, esibendo un contenuto speculativo di rara forza filosofica, inaudito e arduo.
Con Severino scompare un pensatore rigoroso, implacabile, dalla logica acuminata, che non dà tregua e non concede distrazioni; scompare – stento a crederci – anche l’uomo e il maestro, del quale mi onoro di essere allievo. Rimane la sua opera, imponente e preziosa, destinata a imporsi come un classico della filosofia, che ha dato da pensare e darà da pensare a tutti noi, chiamati a raccoglierne l’eredità. Il lascito allude a una severa disciplina del ragionamento, all’ampiezza di un disegno teoretico senza precedenti, all’intransigenza dell’approccio ai temi, al gusto per lo scontro dialettico, an-che aspro e serrato, ma sempre disponibile al dialogo con le altre forme del sapere e del fare, nella convinzione che la verità trova lo spazio che essa rivendica per sé soltanto nel confronto con l’errore, da cui è chiamata a prendere le distanze. Nel 2012, il Dipartimento di Filosofia e beni culturali dell’Università Ca’ Foscari, per onorarne l’opera e il magistero, ha dedicato due indimenticabili giornate a un Dialogo con Severino, che, invitato a interloquire con alcuni dei suoi prestigiosi interpreti e con gli allievi di prima e seconda generazione, stretti intorno a lui, non si è risparmiato, partecipando ai lavori di un Convegno che, sulla scia del maestro, ha rappresentato una tappa fondamentale per la scuola veneziana di filosofia alla quale, d’ora in poi, si richiederà un impegno supplementare, all’altezza di un compito irrinunciabile.

“La luminosa pienezza di tutto ciò che è”

di Gian Luigi Paltrinieri (Prof. Ordinario di Ermeneutica Filosofica e Filosofia Teoretica)

“I grandi pensatori pensano sempre lo stesso pensiero”, eppure “lo stesso non è l’uguale”. Queste parole di Martin Heidegger possono ben valere anche per il cammino di Emanuele Severino, il quale, dalla Struttura originaria del 1958 sino a pochi mesi prima di scomparire, è sempre ritornato a pensare la necessità che l’essere sia e che “acconsentire all’immagine di un tempo in cui l’essere non è” − prima di essere generato o dopo la sua consunzione − sia costitutivamente contraddittorio, álogon come testimoniato nelle parole di Parmenide. Con raro nitore ed estrema cura nell’argomentazione razionale Severino è riuscito a far crescere un’unica proposizione logico-teoretica − attestante l’originaria non-contraddittorietà dell’essente −, in modo che si ampliasse per cerchi concentrici, di un labirinto nel quale mai ci si perdeva e mai ci si allontanava dal punto di partenza. L’eternità di tutto ciò che è, di ogni ente in quanto inseparabile dal proprio essere. La grande filosofia consiste di affermazioni distanti dall’opinione condivisa e si presta a risuonare, alle orecchie dei più, come risicola e inverosimile. Severino lo sapeva bene, ma non ha mai abbassato la pretesa altissima del suo dire-pensare, giacché ha sempre ritenuto che non fosse suo questo dire-pensare, non fosse cioè una rappresentazione o un teorema personale partorito dal proprio io penso “filosofeggiante”, bensì un mostrarsi della intrinseca razionalità dell’essente.  Dei tanti aspetti importanti del suo lascito, mi limito a menzionarne tre: (1) ha insegnato a rapportarsi ai grandi testi del passato, specie quelli greci, Parmenide, Platone, Aristotele, non come a oggetti del museo culturale occidentale, bensì come a forza viva del pensiero, pregna di verità anche nell’errare. (2) Ha insegnato che la filosofia non è un incidente o un’opzione tra le altre nella vita degli esseri umani, bensì il frutto del loro necessario rapportarsi a quanto più importa. (3) Ha insegnato che il divenire e la caducità delle cose non consegnano queste a un nichilistico essere nulla: il “suo” pensiero risponde alla terribile voracità di Chronos pensando la luminosa e gioiosa consistenza ontologica di ogni cosa che è, rispetto alla pienezza del cui essere l’entrare e uscire dal cono di luce dell’apparire non costituiscono un’obiezione.  

Federica SCOTELLARO E Federica FERRARIN