Dal cannone alla lattina, nuovi scorci sulla storia del Mercurio

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Colò a picco, con il brigantino che difendeva, all’alba del 22 febbraio 1812, al largo di Lignano. Fatta riemergere dal fondale adriatico, è stata restaurata dagli scienziati cafoscarini esperti di corrosione. La petriera, piccolo cannone ad avancarica in bronzo, è ora in mostra a San Sebastiano assieme alla storia del Mercurio, la più antica nave battente bandiera tricolore conosciuta e tra le più importanti scoperte dell’archeologia marittima.

Il restauro ha impegnato per un anno e mezzo il gruppo di ricerca sulla corrosione del Dipartimento di Scienze molecolari e nanosistemi, coordinato da Giuseppe Moretti. Progettata e realizzata una vasca adatta al reperto, i ricercatori e gli studenti coinvolti nel progetto hanno alternato elettrolisi, lavaggi e pulitura meccanica, riuscendo a togliere le tante incrostazioni e proteggere la superficie originale del cannone.

La petriera restaurata è tra le tante novità frutto di anni di studi sulle centinaia di resti e reperti rinvenuti, ma non è l’unica. Gli archeologi marittimi di Ca’ Foscari hanno infatti rinvenuto una delle prime lattine ermetiche in circolazione. Questo contenitore, che avrebbe rivoluzionato l’alimentazione specialmente in ambito militare, era stato brevettato in Inghilterra appena pochi mesi prima, nel 1810.

«La lattina permette di conservare il cibo per lungo tempo – spiega Carlo Beltrame, direttore degli scavi sul Mercurio - dava così la possibilità ai marinai di avere un’alimentazione forse non succulenta ma certo più variata e soprattutto vitaminica. La maggior parte delle provviste veniva stivata in sacchi o contenitori di legno e veniva servita agli ufficiali su stoviglie pregiate, come la maiolica e la porcellana trovate sul relitto, e ai soldati semplici su ceramica povera».

Il brig della flotta del Regno Italico, con base a Venezia, si adagiò al fondale su un fianco, quello sinistro. Quel lato della nave è dunque arrivato ai giorni nostri in uno stato di conservazione migliore e lì gli archeologi hanno scavato in profondità portando alla luce, ad esempio, gli attrezzi del calafato, lo specialista che aveva il compito di mantenere stagne le connessure tra le tavole del fasciame e di impeciare lo scafo dentro e fuori.

Lungo i pannelli esposti a San Sebastiano si aprono scorci sulla vita a bordo del Mercurio, sulle uniformi e le calzature indossate dall’equipaggio, sugli oggetti personali e, naturalmente, sulle armi. Il Mercurio, la notte in cui esplose e colò a picco, scortava il Rivoli, un vascello francese da 80 anni varato in Arsenale e qui rimasto fermo per molti mesi che Napoleone voleva prendesse per la prima volta il mare.

L’intelligence inglese aveva intuito tutto e allertato il vascello Victorius, comandato dal capitano di vascello Talbot, e il brig Weasel, comandato dal capitano di fregata Andrew, i quali incrociavano la costa veneta nella convinzione che la squadra italo-francese da lì a poco sarebbe uscita dal porto di Malamocco. Barré, comandante del vascello Rivoli, ordinò infatti alla squadra di prendere il largo verso nord.

Alle 2.30 del mattino, il Victorius avvistò la formazione nemica e diede ordine al capitano del Weasel di attaccare il brig italiano da poppa. Le cronache parlano di un cannoneggiamento che durò quaranta minuti e che si concluse con l’esplosione del Mercurio, colpito nella Santa Barbara.

La mostraIl relitto del Mercurio e la battaglia di Grado” è realizzata dal Dipartimento di Studi Umanistici in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi e la Sovrintendenza Archeologia del Veneto. Sarà aperta dal 17 maggio fino al 28 ottobre nella Sala Colonne di San Sebastiano (inaugurazione lunedì 16 maggio alle 11).

Enrico Costa