Addio a Philippe Daverio, il ricordo del prof. Giuseppe Barbieri

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Philippe Daverio alla VenetoNight 2012. Foto di Massimo Mion

Ho incontrato per la prima volta Philippe Daverio una sera, a una piacevole cena, ad Asolo, a casa di Giorgio Fantoni. Non era più assessore alla cultura del Comune di Milano (giunta Formentini), non era ancora un personaggio televisivo a tutto tondo.
Erano comunque già evidenti un’insaziabile curiosità e insieme la convinzione incrollabile – come hanno notato oggi molti commentatori e come riportano le sue biografie on line – di essere a pieno titolo uno storico dell’arte. Quest’ultima definizione copre com’è noto numerose fisionomie e ambiti anche più numerosi.

E se noi considerassimo il cv di Daverio nell’ottica della VQR o della ASN avremmo difficoltà a dare una risposta definitiva e dirimente.
Philippe è stato certamente uno studente studioso (lo si capiva dopo cinque minuti e non è un dato trascurabile), un gallerista e un organizzatore di eventi culturali anche di una certa complessità, un docente universitario (professore ordinario a Palermo, da zero, in Design industriale, per quasi dieci anni, sino al 2016: prima saltuarie esperienze allo IULM e al Politecnico di Milano), uno straordinario (e celebre) divulgatore televisivo, un personaggio pubblico controverso, invitatissimo e capace di risultare sempre almeno pertinente.
Il tutto – un suo bel tratto – con una encomiabile sprezzatura (c’entra appunto, ancora, quella curiosità cui accennavo) e con scarso senso comune. Un uomo d’altri tempi, ben radicato nel XX sec. che, come ha ripetuto infinite volte (forse non con piena ragione), si era concluso nel 1989.

A Venezia è venuto infinite volte, a Ca’ Foscari meno, tre, quattro episodi, lasciando ogni volta qualche traccia comunque percepibile.
La prima, probabilmente, fu alla fine di gennaio del 2008, a Ca’ Dolfin, per la presentazione che si ricorda esilarante (con Alberto Castoldi e Gianroberto Scarcia) degli atti in due volumi di un fitto seminario su L’Oriente. Storia di una figura nelle arti occidentali (1700-2000), a cura di Paolo Amalfitano e Loretta Innocenti. Era già professore a Palermo ma aveva conservato intatta la sua carica esplosiva e Scarcia non era una miccia trascurabile.

La seconda fu poco più di un anno dopo, nell’aprile 2009: voleva dedicare una puntata della sua fortunata trasmissione Passepartout alla mostra che avevo curato (con Gianfranco Fiaccadori e Mario Di Salvo) sull’arte dell’Etiopia cristiana (“Nigra sum sed formosa”…) e siamo stati insieme due giorni.
Lì ho toccato con mano il metodo Daverio (che non rivelerò) e compreso le sue straordinarie attitudini nel montaggio come momento essenziale di ogni racconto visivo (o tele-visivo), con contatti non occasionali (e spesso meditati) con le teorie di Ėjzenštejn.
Il servizio non andò mai in onda: Philippe li costruiva e aspettava che la RAI glieli comprasse, bene che fosse andata sarebbe stato trasmesso due anni dopo la chiusura della mostra. Alle mie obiezioni rispose che alla gente non importava, che a loro andava bene così: fui testimone oculare dell’interesse che creava nel pubblico, anche solo camminando per Venezia e misi da parte qualche spunto oucronico, che anche in questo caso nessuno ha comperato.

La terza è la più ricordata, e coincide con la sua partecipazione a VenetoNight 2012, l’1 ottobre di quell’anno per me disgraziato. Il suo intervento nel Cortil Grande iniziò alle 23 e andò oltre mezzanotte. Le immagini e i video attestano la presenza attenta e divertita di centinaia di ragazzi. Philippe doveva parlare di invenzioni e ricerca (con me al telefono aveva accennato a Leonardo), parlò più di musica e di odori d’infanzia: parlò del suo mondo, in cui tutto si teneva e in cui c’era il dovere della trasmissione del sapere. Con o senza le note a piè di pagina.

a cura di Giuseppe Barbieri