Kill Venice: il pensiero sistemico applicato al tessuto urbano di Venezia

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Kill Bill, il famoso film di Quentin Tarantino, ha sicuramente ispirato il titolo ‘Kill Venice’: a systems thinking conceptualisation of urban life, economy, and resilience in tourist cities che Silvio Cristiano  (DAIS, Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica) e Francesco Gonella (DSMN, Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi) hanno appena pubblicato in open access su Humanities and Social Sciences Communications, rivista del gruppo Nature.

E’ un lavoro a quattro mani che nasce dal pensiero sistemico e dal provare ad immaginare Venezia come un organismo, come un sistema complesso che va oltre la somma delle sue singole parti: si tratta di “metabolismo urbano”, che Cristiano aveva già affrontato all’interno di un progetto di ricerca Italia-Cina e che già rilevava il settore turistico come particolarmente problematico. Vivendo a Venezia, la tentazione per il ricercatore è stata quella di approfondire questi concetti e applicarli proprio alla città che più di tutte forse veniva inghiottita e digerita dal turismo, per continuare ad usare una metafora metabolica.

“Come un qualsiasi sistema biologico – spiega Cristiano – anche un sistema economico e sociale si rafforza con la diversità: come una monocoltura agricola, insomma, anche una monocoltura turistica è scarsamente resiliente per definizione. Partendo dalla metafora della città come un organismo, abbiamo studiato cosa entra e cosa esce dalla città, ma anche cosa avviene al suo interno, con particolare riguardo alle trasformazioni in atto da decenni per favorire la ricettività. A Venezia, che siano in abbondanza o improvvisamente assenti, i turisti minano la resilienza e la sostenibilità della città, fino a metterne a rischio la vivibilità”.

La ricerca è passata per l’interazione e l’ascolto della città istituzionale, accademica e “dal basso” e ha prodotto un diagramma sistemico costruito sulla base delle conoscenze di come sono intrecciati i flussi di risorse, una fotografia della rete di trasmissione, una sorta di descrizione dell’organismo vivente con nervi, sangue e vene che sono in realtà trasporti, cibo, lavoro, merci, turisti, energia. E da qui si cerca di capire che cosa accade quando una di queste variabili cambia o scompare del tutto, come è successo nel caso del turismo nell’era Covid.

In particolare durante la gestazione di questo lavoro, Venezia ha assistito a picchi di sovraffollamento turistico e all'azzeramento delle presenze; si sono infatti succeduti gli eventi dell’acqua alta eccezionale prima e della pandemia poi, che hanno però soltanto messo in luce e reso attuali (e forse più comprensibili) considerazioni e moniti già presenti nello studio.

La scelta di puntare tutto sul turismo ha impoverito la città come un campo sfruttato da una monocoltura. “Con un’altra metafora agricola – continua Cristiano - in un campo di mais OGM cosparso di glifosato c'è sempre meno spazio per altri tipi di vita (a Venezia, quella dei suoi abitanti), il suolo diventa sempre più sterile (Venezia non sa più produrre da sé ciò di cui ha bisogno, dipende in gran parte dai soldi di chi la visita e allo stesso tempo diventa banale e meno appetibile anche per i turisti) e, alla prima crisi del mercato del mais o al primo attacco di animali o microrganismi imprevisti, chi coltiva il campo rimane senza stipendio (non credo serva andare oltre con la metafora...)”. Come i sistemi puramente ecologici, la "monocoltura turistica" è un sistema debole e non resiliente.

“Venezia è un sistema complesso che davanti al cambiamento non sa più riorganizzarsi – commenta Francesco Gonella, che coordina il gruppo di ricerca che si occupa di pensiero sistemico applicato – non riesce più a riarrangiarsi dal punto di vista sistemico, cosa che una città dovrebbe poter fare. Venezia ha fatto in modo di diventare non riconvertibile. Venezia e il suo appoggiarsi al turismo non è sostenibile, per motivi più profondi di quelli indicati di solito. In particolare la rete di risorse connesse al sistema turismo, fa sì che il problema sia dell’intero sistema e di come è strutturato.”

Nel momento in cui si altera un comparto su cui la struttura poggia, altri servizi girano a vuoto. E non è detto che intervenendo con piccoli cambiamenti si riesca a cambiare davvero qualcosa, perché la stessa configurazione sistemica della città riuscirà a modificarsi per continuare a perseguire l'obiettivo per il quale è stata disegnata nel tempo, cioè quello dello sfruttamento economico e non quello del benessere dei propri abitanti che aveva fatto sorgere la Venezia del passato, in cui fiorirono l’arte e la cultura.

La turistificazione sembra essere un processo irreversibile che drena risorse per la città a favore di chi la visita, ma l'apparato turistico di una città non può prescindere dalla città stessa. Indebolendo la città come organismo vivente, non come feticcio da fotografare, si indebolisce - in ultima analisi - anche quella che si credeva essere una fonte di reddito (qualcuno definisce il turismo un'industria estrattiva: dopo un po', non si ottiene più nulla). 

“A proposito di denaro, il nostro diagramma – aggiungono i ricercatori – mostra anche come, contrariamente a ciò che solitamente si dice e si pensa, gran parte dei soldi non arriva nemmeno a destinazione. Se il grosso dei profitti del settore turistico è concentrato nelle tasche di pochi (spesso distanti dalla destinazione stessa), la disoccupazione che può emergere in tempi di crisi coinvolge invece i tanti lavoratori precari, gli artigiani, i bottegai e le piccole e medie imprese: insomma, persone che la città la vivono e la animano davvero”.

Insomma, se vogliamo uccidere Venezia siamo sulla strada giusta, la città più bella del mondo sta morendo di se stessa. Non basta individuare il singolo problema e risolverlo, perché tutte le parti interagiscono, ma è necessario un urgente cambio di rotta che ascolti un po’ più la scienza e un po’ meno l’economia. L’aiuto ci viene proprio dalla scienza e dalla storia del systems thinking che nasce dallo studio di ecosistemi come una foresta, un lago, un bacino, una regione e che è sviluppato attraverso la matematica. Da qui questo articolo vuole trarre ispirazione, ci dice Francesco Gonella.

L’approccio sistemico ci spiega quello che da anni osserviamo a Venezia e ci può dare oltre che delle chiavi di lettura, forse anche delle soluzioni.

Ragionando con questa prospettiva si capisce che la soluzione efficace non sarà imporre un limite alle presenze turistiche attraverso i tornelli, perché dall’altra parte tutto il resto del sistema lavora verso un obiettivo diverso, che è proprio quello del turismo a tutti i costi, sacrificando spazi e servizi per i residenti, ampliando le piste degli aeroporti, trasformando case e negozi in alberghi, bar e ristoranti. In questo modo, contenere i flussi o è destinato a fallire, riportandoci allo status quo (perché il sistema è organizzato per perseguire obiettivi diversi), o rende vani gli investimenti fatti, generando crisi. A livello sistemico, politiche come la tassazione degli accessi anche per familiari e parenti dei residenti sembrano invece incentivare lo spopolamento della città, incoraggiando invece proprio il turismo che sulla carta vorrebbe contrastare.

Quali sono allora le alternative?

Questo studio indica i cosiddetti "punti di leveraggio" dove agire può effettivamente cambiare qualcosa e quelli dove non cambia granché, dove può essere efficace condurre ricerche e proporre delle politiche e dove rischia di esserlo molto meno. Nella pratica, è difficile immaginare un ruolo efficace per un limite alle presenze turistiche, una capacità ottimale o degli itinerari preferenziali in cui convogliare i flussi. 

“Nei secoli – conclude Cristiano – obiettivi di certo non turistici hanno consentito lo sviluppo della città per come la conosciamo, compreso il rispetto degli equilibri con il delicato ambiente che la circonda; oggi, un obiettivo "estrattivo" mette in pericolo Venezia sia in condizioni di "normalità" che in condizioni di "crisi". Se l'obiettivo "mono-economico" attuale mette a repentaglio la sfera economica stessa, oltre a quella sociale, culturale e ambientale, il pensiero sistemico ci insegna che qualsiasi soluzione non può che passare per un ripensamento degli obiettivi che soggiacciono la vita e il governo della città. Se non si può essere turistici e al tempo stesso resilienti e sostenibili, occorre stabilire e dichiarare onestamente chi e che cosa si scelgano come priorità”.

Gonella e Cristiano sottolineano che non era tra gli scopi del loro articolo delineare una strada, ma indirettamente sono arrivati alla conclusione che per fare di Venezia un sistema sostenibile e resiliente e meno soggetto alle crisi, è necessario avviare una discontinuità. Tra terra e acqua, ripopolamento, residenzialità, servizi, produzione locale, commercio di prossimità, botteghe, trasporti, saperi, arti e mestieri locali sembrano tutti figurare tra i possibili ingredienti di una nuova ricetta.

QUI l'articolo in open access

Federica Ferrarin