Imprenditorialità, Finotto: “Ateneo acceleratore di idee e banco di prova”

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Vladi Finotto

Il primo report Almalaurea sull’imprenditorialità dei laureati ha misurato quanti giovani sono passati dalle aule alla leadership di aziende nel quindicennio 2004-2018. Ca’ Foscari ha formato in questo periodo oltre 4mila imprenditori (di cui 2.870 fondatori) con imprese insediate soprattutto in Veneto. Per approfondire i dati emersi nell’indagine, leggi la notizia "Fondare un'impresa dopo la laurea? L'hanno fatto migliaia di cafoscarini".

Abbiamo intervistato su questo tema Vladi Finotto, professore di Economia e Gestione delle imprese e delegato della rettrice per il Trasferimento di conoscenza.

Il 7% dei laureati che fonda imprese. Una buona notizia?

“Il dato numerico è incoraggiante, tuttavia farei altre considerazioni. La letteratura più recente e gli studi più aggiornati confermano che l’età “ideale” per fondare una startup con più elevate chance di sopravvivenza e successo si aggira intorno ai 45 anni. È chiaro il motivo: le competenze maturate e le relazioni costruite in altre esperienze di lavoro, magari subordinato, danno a delle buone idee struttura e capacità di esecuzione.

Incoraggiare i giovani laureati a creare nuove imprese a prescindere, con adagi del tipo “il lavoro non si cerca, si crea”, rischia di essere controproducente. Il 7%, quindi, è una spia della vitalità della nostra popolazione studentesca: a successivi approfondimenti, secondo me, va affidato il compito di osservare nel tempo i risultati delle startup universitarie".

La maggior parte dei laureati-imprenditori viene a sua volta da famiglie di imprenditori e professionisti...

“Senza contraddire quanto sostenuto nella risposta precedente, credo sia importante esporre gli studenti ad attività di introduzione e avvicinamento all’imprenditorialità: così facendo possono capire che cosa significa intraprendere e possono fare delle scelte consapevoli.

Il dato sulla trasmissione “familiare” sembra suggerire che l’esempio a casa produca maggiore confidenza e sicurezza. L’assenza di una tradizione familiare, al contrario, rischia di allontanare dalla possibile traiettoria imprenditoriale dei giovani che potrebbero tuttavia avere delle buone idee e un potenziale da esprimere”.

Oltre al cercare lavoro in azienda, la prospettiva di fondarne una diventa sempre più appetibile?

“L’approccio che consiglio è quello della cautela. La retorica della startup è sicuramente brillante e affascinante, tuttavia il rischio è che un incoraggiamento generalizzato a creare startup possa creare illusioni nei giovani e far disperdere risorse ed energie.

Scott Shane, uno dei massimi esperti di imprenditorialità al mondo, ha scritto un saggio alcuni anni fa il cui titolo rimane ancora valido: “Why encouraging more people to become entrepreneurs is bad public policy” (Perché incoraggiare più persone a diventare imprenditori è una cattiva politica pubblica)”.

Ma allora perché e come l’università forma all’imprenditorialità?

“Il ruolo dell’università, al contrario, è fondamentale: l’università rappresenta un formidabile acceleratore di idee e un luogo “sicuro” in cui provare a testare, a costi bassissimi, la “tenuta” di idee di business, di possibili startup.

Solo a titolo di esempio: nelle università italiane, compresa Ca’ Foscari, il network dei contamination lab ha avuto proprio l’obiettivo di formare i giovani all’agire e al pensare degli imprenditori (entrepreneurial education) e di consentire loro di sperimentare, attraverso la collaborazione con ricercatori, esperti, imprenditori, il percorso iniziale dello sviluppo di un’idea.

In questo modo i giovani universitari escono dall’università con un duplice bagaglio, a mio avviso molto importante: una più chiara idea e consapevolezza di che cosa significhi fare impresa, maturata senza tuttavia incorrere in esiti frustranti o in investimenti emotivi e di risorse economiche proprie ingiustificati.

Secondo, e forse ancora più importante: escono padroni di un “metodo”, se così si può definire, che li renderà imprenditori (attori del cambiamento, individui capaci di decostruire e ricombinare “ricette” prestabilite) anche se non avranno la propria partita IVA: di fronte alle necessità di rilancio dell’economia italiana, iniettare capacità imprenditoriali nelle aziende esistenti credo sia essenziale ed urgente".

Enrico Costa