Focus G20 #2: ranking di sostenibilità e rischio greenwashing

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Monica Billio, Loriana Pelizzon, Stefano Battiston

Il 6 luglio 2021, la Commissione Europea ha annunciato nuove misure sulla finanza sostenibile e ha presentato una nuova strategia per rendere più sostenibile il sistema finanziario dell'UE. La Strategy for Financing the Transition to a Sustainable Economy individua la necessità di accelerare la transizione verde, includendo il potenziale della finanza e rendendo la finanza sostenibile più inclusiva per le PMI e i cittadini anche al fine di rendere il sistema finanziario più resiliente ai rischi legati alla sostenibilità.

Finanza sostenibile e transizione verde sono parte dell’agenda dei Ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche Centrali del G20 riuniti a Venezia dall'8 all'11 luglio 2021. Vi è un’importante esigenza di una migliore comprensione dei rischi legati alla sostenibilità per evitare fenomeni di greenwashing e permettere un efficace sostegno all'accesso delle PMI alla finanza green.

Ne facciamo il punto con Stefano Battiston, Monica Billio e Loriana Pelizzon, del Dipartimento di Economia dell'Università Ca' Foscari Venezia.

A seguire, Focus G20 #3: clima e finanza

Una delle principali sfide per l'espansione degli investimenti sostenibili sta nella necessità di poter accedere a informazioni utili e standardizzate sul profilo di sostenibilità e sulle prestazioni energetiche e sociali delle aziende.

Ciò ha portato alla creazione di indici di sostenibilità, indicati come rating ESG (Environmental, Social and Governance), che hanno acquisito una notevole importanza nel mercato finanziario, anche durante la crisi pandemica COVID-19, passando dall’essere attività di nicchia a tipologia di investimento molto richiesta. 

Misurare la sostenibilità di un'impresa non è un compito semplice. La sostenibilità comprende infatti molte dimensioni, quali l'impatto ambientale, l'impegno sociale e gli aspetti etici. Le sfide nella valutazione di queste dimensioni hanno ripercussioni profonde sull'economia reale, poiché milioni di euro di risparmi cercano investimenti sostenibili e potrebbero essere mal indirizzati, in assenza di una valutazione affidabile dei criteri di sostenibilità. Il termine ESG è stato introdotto ufficialmente nel 2004 dalla United Nations Global Compact Initiative nel rapporto "Who Cares Wins" e intende fissare l'ambizioso obiettivo di riunire tre dei principali pilastri della finanza etica: ambientale, sociale e buon governo. 

Nell'ultimo decennio, le crescenti preoccupazioni per il riscaldamento globale e le implicazioni della crisi finanziaria del 2008 hanno portato a un aumento significativo delle preferenze degli investitori per gli investimenti sostenibili.

I prodotti di investimento legati ai fattori ESG hanno visto un aumento significativo del volume e oggi sono una pratica di investimento sempre più richiesta. È molto probabile (oltre che auspicabile) che questo segmento di mercato continui a crescere, ma in modo sperabilmente più ordinato, alla luce di normative come l'Agenda di finanza sostenibile della Commissione europea, rinnovata in questi giorni, il Next Generation EU e il piano di recupero e resilienza che dedica almeno il 37% di fondi alla transizione verso un'economia più verde e sostenibile. 

Oggi, la maggior parte dei gestori patrimoniali mondiali è firmataria dei Principi delle Nazioni Unite per l'investimento responsabile (PRI), che rappresentano circa 100 trilioni di dollari di attività in gestione. Tuttavia, investitori, manager e responsabili politici hanno bisogno di una comprensione più profonda delle peculiarità intrinseche di questo nuovo settore finanziario ESG, che non è ancora sufficientemente e adeguatamente regolamentato. Inoltre, si devono creare le condizioni per corretti meccanismi di assunzione dei rischi e delle relative conseguenze ed evitare il greenwashing (cosiddetto ambientalismo di facciata)

Dopo l'accordo di Parigi del 2015, il cambiamento climatico è inoltre diventato un aspetto chiave della finanza sostenibile e le autorità di vigilanza finanziaria hanno incoraggiato banche e investitori a valutare il proprio rischio finanziario legato al clima. La dimensione ambientale ESG include una serie di sottodimensioni che sono legate in particolare alla mitigazione dei cambiamenti climatici, ad esempio valutando se le aziende hanno una politica per ridurre le loro emissioni, se hanno obiettivi espliciti e quale è il loro livello di dipendenza dai combustibili fossili. Queste dimensioni sono regolarmente incluse dai professionisti tra le componenti dei rischi ESG. Tuttavia, è importante sottolineare che esse forniscono spesso solo informazioni limitate per valutare quantitativamente i reali rischi finanziari legati al clima. Molte sono infatti di natura qualitativa e auto-riferite e la maggior parte di esse guarda al passato, mentre una corretta valutazione del rischio richiederebbe informazioni con capacità previsionali su orizzonti anche molto lunghi. In particolare, i dati ESG non misurano quanto le aziende saranno preparate ad affrontare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in base ai diversi scenari di mitigazione del clima elaborati da supervisori finanziari e scienziati nel prossimo decennio.

Alimentato principalmente dall'interesse degli investitori, assieme al mercato degli investimenti ESG anche il mercato dei dati e dei rating ESG si sta sviluppando rapidamente, ma in modo molto disordinato, viste le difficoltà nel misurare tutte le dimensioni ESG rilevanti.

Il recente studio dei ricercatori di Ca’ Foscari, Inside the ESG Ratings: (Dis)agreement and Performance, analizza la metodologia di calcolo, le metriche utilizzate e le principali differenze tra le numerose agenzie di rating ESG operanti oggi sul mercato. Ne risulta un quadro difficile, per la mancanza di definizioni condivise di ciò che rappresentano esattamente le dimensioni di sostenibilità ESG e conseguentemente per l’utilizzo di approcci di misurazione diversi. La stessa società valutata può avere rating ESG molto divergenti a seconda dell'agenzia e ciò ha forti implicazioni sia sul lato operativo, ovvero sull'individuazione di benchmark di riferimento affidabili per gli investitori, sia in termini di rendimenti degli investimenti stessi. Il “disaccordo” sui rating ESG forniti dalle agenzie disperde l'effetto delle preferenze ESG degli investitori sui prezzi delle attività finanziarie, in quanto anche quando c'è accordo generale, non vi è alcun impatto sulla performance finanziaria.

A seguito poi delle crescenti richieste del mercato, le agenzie di rating ESG si trovano costrette a cambiare frequentemente la loro metodologia, contribuendo ulteriormente alla confusione delle misurazioni ESG.

I ricercatori di Ca' Foscari evidenziano gli effetti di tali cambiamenti metodologici in un altro lavoro, The Salience of ESG Ratings for Stock Pricing: Evidence From (Potentially) Confused Investors, mostrando che le variazioni nei rating ESG indotte dalle modifiche nella metodologia (e non legate a reali cambiamenti dei fondamentali nella sostenibilità dell'impresa) impattano sui prezzi azionari in via transitoria. L'analisi mostra come i singoli investitori siano particolarmente sensibili alle variazioni dei rating ESG e disinvestano dai titoli che ritengono siano stati declassati, passando a titoli con rating più elevati. Tuttavia, poiché questi cambiamenti di rating ESG non hanno fondamentali reali, altri investitori professionali possono agire come arbitraggisti o comunque investitori informati e operare quali controparti nel mercato, guadagnano letteralmente dalla "confusione" che le agenzie di rating ESG creano sul mercato azionario.

Navigare in un segmento di mercato così eterogeneo e opaco comporta notevoli rischi. Il principale è quello di indurre in errore gli investitori verso un'allocazione inefficiente delle proprie risorse. Infatti, da un lato, il disaccordo sulle valutazioni ESG tra le agenzie di rating potrebbe riflettere differenze nei criteri di base utilizzati, che potrebbero eventualmente soddisfare preferenze diverse (ad esempio, alcune agenzie di rating potrebbero avere una maggiore attenzione in merito a determinati temi di sostenibilità rispetto ad altri). D'altra parte, il disaccordo e la confusione sui ranking possono rendere il greenwashing più difficile da rilevare e quindi più facilmente (e impropriamente) utilizzabile. 

Questo fenomeno è particolarmente rilevante nella valutazione degli sforzi che le imprese fanno o dichiarano di fare per allinearsi agli obiettivi climatici ed è stato studiato dai ricercatori di Ca' Foscari, Assessing Forward-Looking Climate Risks in Financial Portfolios: A Science-Based Approach for Investitors and Supervisors. Due i fattori che aumentano il rischio di greenwashing. Il primo fattore è l'incertezza inevitabile in merito all’andamento futuro delle attività economiche ad alto contenuto di carbonio rispetto a quelle a bassa emissione di carbonio. Gli scenari elaborati dai regolatori finanziari descrivono traiettorie economiche con diversi scenari, ma lasciano libertà agli investitori di valutare come questi scenari influenzeranno le prestazioni finanziarie di imprese e titoli. Il secondo fattore è legato alla valutazione del contributo delle imprese agli sforzi per la transizione verso basse emissioni di carbonio e alla loro esposizione ai rischi associati alla transizione che richiedono specifici indicatori chiave (KPI) settoriali. Mentre sarebbe possibile raccogliere e consolidare questi indicatori per un'ampia parte di imprese, la loro divulgazione da parte delle singole imprese, ad es. nelle relazioni annuali di bilancio, è attualmente assente o parziale e spesso difficilmente comparabile. Di conseguenza, può essere difficile per gli investitori valutare quanto sforzo reale in investimenti e strategie allineati al clima ci sia dietro le campagne di marketing delle aziende sulla mitigazione del clima.

A cura di Stefano Battiston, Monica Billio e Loriana Pelizzon, del Dipartimento di Economia dell'Università Ca' Foscari.


L'Università Ca' Foscari è fortemente impegnata su questi temi grazie a due importanti progetti di ricerca finanziati dalla Banca Europea per gli Investimenti (EIBURS Project ESG-Credit.eu) e dalla Commissione Europea (TranspArEEnS – Mainsteaming Transparent Assessment of Energy Efficiency in ESG Ratings), entrambi dedicati a supportare le piccole e medie imprese nella misurazione delle dimensioni ESG aziendali e quindi a migliorare il loro potenziale di accesso ai finanziamenti, in particolare per l'efficienza energetica.