Il filosofo e l’artista. Il pensiero di Wittgenstein e l’opera di Paolozzi

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Cosa nasce dall’incontro fra uno dei massimi filosofi del Novecento, Ludwig Wittgenstein, e uno dei principali esponenti della pop art britannica e delle arti visive nel secondo Novecento, Eduardo Paolozzi?

Da mercoledì 23 a venerdì 25 novembre 2016 si terrà presso la Fondazione Querini Stampalia un convegno internazionale dal titolo “Il filosofo e l’artista. Il pensiero di Ludwig Wittgenstein e l’opera di Eduardo Paolozzi”, organizzato dal  Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari e dal Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale dell’Università di Udine

«Indagare i rapporti di  Paolozzi con Wittgenstein appare essenziale per intendere meglio alcuni aspetti dell’opera e della concezione dell’arte di questo grande e prolifico artista – spiega il prof. Luigi Perissinotto, docente di Filosofia del Linguaggio a Ca’ Foscari e massimo studioso del tema. - Allo stesso tempo l’opera di Paolozzi può diventare un’importante occasione per mettere in evidenza alcuni aspetti della filosofia di Wittgenstein dimenticati o trascurati nella letteratura critica sul filosofo viennese. Secondo questa prospettiva Paolozzi sarà considerato, nel Convegno, a tutti gli effetti come uno degli interpreti di Wittgenstein.    
Paolozzi era venuto a contatto con il pensiero di Wittgenstein già alla fine degli anni Cinquanta grazie alla lettura di un articolo di Erich Heller. Negli anni successivi lesse le due opere wittgensteiniane allora disponibili: il Tractatus logico-philosophicus (1921-1922) e le Ricerche filosofiche (pubblicate postume nel 1953); negli stessi anni  lesse anche Wittgenstein. A Memoir, “a very slim book”, come Paolozzi lo descrisse, nel quale Norman Malcolm, amico e allievo di Wittgenstein, rievocava il suo rapporto con  Wittgenstein, i suoi atteggiamenti, il suo insegnamento e il suo pensiero.  Con  questo uomo strano, solo, tormentato e straniero (sono tutti aggettivi di Paolozzi riferiti a Wittgenstein) l’artista si identificò quasi subito (“Here there might be a bit od identification”, egli scrisse); ma Paolozzi fu anche e soprattutto colpito dalla filosofia wittgensteiniana, tanto da arrivare a dire, in una lunga e famosa intervista, “I need Wittgenstein”. Da questa meditazione sulla vita e la filosofia di Wittgenstein nacquero diverse opere, le più famose delle quali sono il portfolio intitolato As is When (1964-1965), contenente 12 screenprints  ispirati, spesso già nei titoli alla vita e alla filosofia d Wittgenstein, e due statue in alluminio del 1963: The World Divides in Facts (si tratta della proposizione 1.2 del Tractatus) e Wittgenstein at Cassino (il riferimento è all’anno che, alla fine della Grande Guerra, Wittgenstein passò a Cassino come prigioniero di guerra).  Nei decenni successivi i richiami a Wittgenstein sembrano cessare, ma all’opera wittgensteiniana Paolozzi ritornerà negli anni Novanta, per esempio con il screenprint del 1995  A Logical Picture of Facts is a Thought (3) Tractatus 21-22, che, come indicato già nel titolo rinvia alla proposizione 3, una delle sette proposizioni fondamentali, del Tractatus

  

Il Convegno prevede venti relazioni tenuti da filosofi, storici dell’arte, studiosi di estetica e di filosofia dell’arte provenienti da diversi Paesi.

Per l'occasione verrà inaugurata  la mostra “Wittgenstein e Paolozzi” presso
il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali  (Palazzo Malcanton Marcorà, IV piano).  Al IV piano verranno esposte 12 riproduzioni di Paolozzi, i cui originali sono conservati presso la Tate Galley di Londra, che illustrano il rapporto concettuale con Wittgenstein. L'ingresso è libero, negli orari di apertura del Dipartimento.

PROGRAMMA



Per informazioni:
diego.mantoan@unive.it