Immigrazione, gli effetti macroeconomici dipendono dalle nostre percezioni

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Quali sono gli effetti sulle economie nazionali generati dai sentimenti legati all’immigrazione, per la precisione incertezza percepita e paura? 

Alla luce dei forti cambiamenti nelle dinamiche migratorie mondiali, l’attenzione dei media verso le problematiche legate all’immigrazione è ampiamente aumentata negli ultimi 5 anni. L’aumento del numero dei migranti ha sollevato forti preoccupazioni per quanto riguarda le implicazioni economiche e sociali del fenomeno, specialmente nelle economie occidentali sviluppate. Per questo motivo, diversi studi recenti si sono concentrati sull’analisi delle opinioni e della percezione che la popolazione ha rispetto al fenomeno. Nessuno studio fino ad ora aveva però mai esaminato gli effetti sulle principali variabili macroeconomiche di incertezza e paura legate all’immigrazione. 

Un team di ricercatori del Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia, composto da Michael Donadelli, Luca Gerotto, Marcella Lucchetta e Daniela Arzu, ha deciso di riempire questa lacuna nella letteratura scientifica con “Immigration, Uncertainty, and Macroeconomic Dynamics”, uno studio sugli effetti che incertezza e paura legate al tema “immigrazione” hanno sulle dinamiche macroeconomiche di quattro stati, Germania, Francia, Regno Unito e USA.
Il risultato principale di questa ambiziosa ricerca, accettata per la pubblicazione nella rivista internazionale The World Economy, è che il cambiamento di umore dovuto all’incertezza generale sul fenomeno “immigrazione” provoca effetti di lungo periodo sia sulla produzione che sul mercato del lavoro. 

Viene quindi dimostrato scientificamente come fattori quali paura o accettazione possano avere effetti completamente diversi nelle varie nazioni interessate dalle migrazioni.
Nello studio si osserva altresì che l'incertezza su tematiche migratorie sembra essere maggiormente nociva in quei paesi che presentano un tasso di disoccupazione (in media) relativamente alto, un numero di persone con un alto livello di istruzione relativamente basso, un mercato del lavoro relativamente rigido e, più in generale, dove gli abitanti sembrano essere non del tutto soddisfatti della propria vita. 

Per misurare il livello di incertezza/paura delle persone sul fenomeno dell’immigrazione sono stati utilizzati tre indici: 

1. Migration Policy Uncertainty Index (MPUI), ovvero un indice basato sul numero di articoli che riportano termini legati al fenomeno migratorio comparsi nelle principali testate giornalistiche di ciascun paese; parole come “rifugiato” e “controllo delle frontiere” legate a termini come “ansia”, “bomba” o “crimine” e altri pertinenti alla dimensione politico/economica come “legislazione” o “deficit” (fonte: https://www.policyuncertainty.com/). 

2. Migration Fear Index (MFI); simile al MPUI ma con un insieme di parole ricercate più limitato. MPUI e MFI assieme possono essere considerati come News-Based Immigration-Related Sentiment Indexes, ovvero indici che riflettono l’interesse e l’opinione generale dei giornalisti e dei media verso l’immigrazione (fonte: https://www.policyuncertainty.com/). 

3. Google-Search-Based Migration Uncertainty Index (GTMU), un indice creato ad hoc proprio dal team di ricercatori cafoscarini, utilizzando Google trends, uno strumento che restituisce il numero di volte in cui un termine è stato cercato su Internet su base mensile, per la tematica “Immigrazione”. Questo indice cattura il livello di interesse della popolazione stessa sul fenomeno migratorio. 

Le reazioni riscontrare nei paesi analizzati sono marcatamente eterogenee.

Negli USA, quando cresce l'interesse della stampa e dell'opinione pubblica su tematiche legate all'immigrazione, nel lungo termine si hanno benefici sull'economia (produzione industriale più alta e tasso di disoccupazione più basso). Al contrario, nel breve termine, cioè nei primi due trimestri che seguono un aumento inaspettato dell’incertezza degli organi di stampa nei confronti dell’immigrazione, si riscontra un calo della produzione ed un aumento della disoccupazione.

In Francia, quando cresce l'interesse della stampa e dell'opinione pubblica su tematiche legate all'immigrazione, nel lungo termine si osservano effetti negativi duraturi sull'economia (produzione industriale più bassa e tasso di disoccupazione più alto). 

Nel Regno Unito gli effetti sono limitati e discordanti fra i vari indicatori: una crescita del numero di articoli di giornale che parlano di immigrazione ha blandi effetti nocivi sulla produzione industriale, mentre una crescita delle ricerche Google degli utenti sulla stessa tematica ha come risvolto un calo della disoccupazione. 

In Germania, al contrario, una crescita del numero di articoli di giornale che parlano di immigrazione è seguita da risvolti macroeconomici positivi, mentre una crescita delle ricerche Google degli utenti sulla stessa tematica ha risvolti macroeconomici negativi. Sembrerebbe quindi che giornalisti e cittadini presentino percezioni discordanti sull’andamento del fenomeno migratorio. 

“Per il futuro vi è l’idea di estendere questo progetto su scala globale - racconta Michael Donadelli, ricercatore del Dipartimento di Economia di Ca’ Foscari - andando a studiare lo stesso fenomeno attraverso il canale psicologico e analizzando flussi migratori come quelli che interessano la Cina (internamente) e l’Australia, ma anche le situazioni presenti in Europa, in stati come Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Turchia etc. Sarebbe interessante poter sviluppare anche un piano regionale, andando a confrontare le notizie che appaiono, ad esempio, sui giornali locali di Messina con quelle che vengono pubblicate su giornali locali a Trento, per capire se esista qualche tipo di contaminazione tra le informazioni diffuse”.

Francesca Favaro