Il crollo del Muro di Berlino in 5 punti, per post-millennial

condividi
condividi
Il Muro di Berlino 2018 - ph. Sara Montagner
Il Muro di Berlino 2018 - ph. Sara Montagner

Il 9 novembre 1989 è una data che ha segnato la storia. Quella notte di trent’anni fa crollava il Muro di Berlino, e con lui si sgretolava la cortina di ferro e la divisione dell’Europa nei due blocchi contrapposti della Guerra Fredda.Abbiamo chiesto al prof. Marco Fincardi, storico di Ca’ Foscari, come sono cambiate la Germania e l’Europa dopo il crollo e come si può raccontare questo pezzo di storia a chi è nato nell’Europa di Schengen.

 

  • IL MURO

Il muro di Berlino è stato eretto all’inizio degli anni ’60 per un'esigenza di ordine sociale. Doveva impedire la fluidità della frontiera tra Germania est, a controllo sovietico, e Germania ovest, a influenza americana. Berlino fino ad allora aveva rappresentato la via di fuga privilegiata verso l’ovest, non solo per i tedeschi ma anche per gli abitanti dei Paesi oltre la cortina di ferro. Il passaggio più battuto era tra Pankow, a controllo sovietico, e Kreuzberg.
Berlino era al centro della Germania est ma Berlino ovest era in stretto contatto con tutto il mondo occidentale. La città era un concentrato delle contraddizioni tra i due mondi. Era una città ambigua, dominata dai vari servizi segreti occidentali e orientali, fulcro degli intrighi spionistici della Guerra Fredda.
Anche dal punto di vista economico il confronto tra i due mondi era stridente. Il forte limite sovietico era quello di aver sviluppato nell’est servizi e sistemi industriali molto avanzati, però impostati sull’industria pesante e non sulla produzione di beni di consumo. Se negli anni ‘40 e ‘50 il confronto tra est e ovest ancora reggeva, le cose sono cambiate drasticamente tra gli anni ‘60 e ‘70, con la diffusione in occidente del consumismo. Anche i cittadini dell’est, ora, cominciano a desiderare i blue jeans e le Marlboro.
Il muro creava una barriera tendenzialmente invalicabile, al centro di controversie fin dalla fine degli anni '60. Berlino ovest gli dedica un museo e lo mette all'indice come il tentativo vergognoso della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) di limitare la libertà dei suoi cittadini. È il simbolo di una divisione tra due mondi, entrambi industrializzati e moderni ma con concezioni di base contrapposte. È anche il simbolo della Guerra Fredda, con la sua assillante minaccia militare e nucleare: una guerra mai esplosa, ma sempre temuta, tanto più dai tedeschi.

  • IL CROLLO

La RDT era uno degli Stati più passivamente dipendenti dall’Unione Sovietica. Contrariamente ad altri paesi, come Polonia e Ungheria, dove sono nati movimenti di autonomia e di ribellione, dopo le proteste del 1953 la Germania est non è più stata teatro di dissenso esplicito e attivo. In compenso l’URSS negli anni ’80 attraversava una fase di grande cambiamento, soprattutto con il programma di riforme di Gorbačëv, che allenta sostanzialmente il controllo sui Paesi del Patto di Varsavia.
Già nell’estate del 1989 – mentre è in corso il battage mediatico per il bicentenario della Rivoluzione Francese, che accosta simbolicamente il muro di Berlino alla Bastiglia - si assiste ad una lenta fuga dalla Germania est a quella ovest attraverso Ungheria e Cecoslovacchia, dove le sedi diplomatiche diventano il luogo di rifugio per chi voleva passare il confine.
Venute meno le imposizioni dell’URSS, gli apparati governativi di controllo militare della Germania est non reagiscono duramente alle proteste, ma accettano passivamente la situazione. La fuga non viene censurata nemmeno dai media dell'Europa orientale. In ottobre un segnale forte verso l’apertura furono le dimissioni del leader della RDT, Erich Honecker, ora sfiduciato da Mosca.
Nella notte del 9 novembre Gorbačëv fa presente ai dirigenti della Germania orientale che non ci sarà un intervento dell’Armata rossa a loro supporto. In sostanza, nessuno ferma l'abbattimento del muro. Appare chiaro che quel confine, che pure è solo una piccola parte della frontiera tra le due Germanie, non può più reggere e le autorità si fanno da parte. Accadde quello che l’economista Albert Hirschman chiamò autosovversione: l’implosione di un regime, che non ferma il cambiamento ma lo accetta riconoscendo di non avere più nessuna autorità, di fronte alla protesta generalizzata. Il crollo del muro non portò a scontri violenti, e cambiò completamente l’assetto dell’Europa. Qualcuno, come il politologo Francis Fukuyama, arrivò a parlare di 'fine della storia', prevedendo un'epoca senza conflitti, senza contraddizioni, dominata da una lenta e banale crescita economica. È una delle immagini più illusorie e sbagliate di quello che sarà il futuro. Rotti gli equilibri della Guerra Fredda, si apre la strada a conflitti intensificati in Europa e Asia.

  • LA COLONIZZAZIONE DELL’EST

Quando spariscono i confini, dopo il 1989, si arriva ad una vera e propria colonizzazione della finanza occidentale e delle aziende dell’est. Gli apparati burocratici che gestivano le economie pianificate diventano una nuova classe dirigente, a volte intrallazzata con la finanza occidentale e pronta a sfruttare i cambiamenti senza più nessun controllo. Sorge all’improvviso, senza fasi preparatorie, una società basata sull'individualismo e sulla concorrenza. Da subito registriamo un impoverimento della popolazione dell’est e uno scadere drastico di tutti i servizi sociali prima garantiti.
La colonizzazione non è solo economica ma anche militare. La Nato è stata estesa a paesi dell’Europa orientale e alle repubbliche ex - sovietiche. Nostre risorse economiche vengono tuttora impegnate a finanziare quei paesi, che sono di fatto i meno integrati ai principi fondanti dell’Unione europea. Pensiamo al gruppo di Visegrad, per esempio, in particolare a Ungheria e Polonia, i cui leader esprimono valori illiberali, sovranisti e razzisti, in aperta contraddizione con i valori illuministici ed europei. Questi paesi sono ancora ossessionati sul piano militare dalla contrapposizione con la Russia.

  • UNA BERLINO E DUE GERMANIE

Sviluppo e sottosviluppo coesistono ancora oggi in quello che è il Paese più ricco d’Europa, dove nell’89 un mondo è stato cancellato senza una fase di transizione. L’annessione immediata della Germania est, sulla quale Kohl - leader indiscusso della Repubblica Federale di allora - ha spinto molto, ha provocato effetti pesantissimi su società ed economia. Non tanto a Berlino. La città ha vissuto una monumentalizzazione della ricostruzione, gli spazi che esibivano ancora le ferite della Guerra e della separazione, come Postdamer Platz o Kreuzberg - il quartiere a ridosso del muro devastato dalla Guerra e diventato patria degli alternativi di tutta Europa, capitale della cultura Punk e fulcro del ’68 berlinese - hanno visto uno sviluppo edile fortissimo.
Nella Germania nord orientale attorno a Berlino, però, le cose sono andate diversamente. Crollata l'economia di Stato, la vecchia industria pesante della RDT è andata in crisi, gli impianti sono stati abbandonati e la disoccupazione è aumentata drammaticamente. Si è aperta la via a un intervento speculativo massiccio, soprattutto da parte dei tedeschi dell’ovest. Assistiamo a una modernizzazione estrema delle aree più sfruttabili turisticamente, con scarsi benefici per i residenti, mentre larghe aree rimangono depresse, con sacche di arretratezza e povertà, dove si parla più il russo che l’inglese e dove lo spirito di competizione degli abitanti è molto più basso rispetto ai cittadini dell'ovest.
Uno dei risultati di questa integrazione avvenuta male è il preoccupante incremento di partiti di estrema destra, talvolta con evidenti simpatie neonaziste.

  • GOODBYE LENIN!&co

Berlino, proprio per il suo forte valore simbolico, è stata protagonista di un’ampia produzione musicale, letteraria e cinematografica. Per fare solo alcuni esempi: la sceneggiatura de Il cielo sopra Berlino, capolavoro di Wenders e a lungo considerato il cult assoluto su Berlino, è di Peter Handke, premiato quest’anno con il Nobel per la Letteratura. Cold war è un recente film polacco che presenta una Berlino pre-muro, dove gli scambi tra est e ovest sono continui. I protagonisti si inseguono per anni, avanti e indietro dalla Polonia, a Berlino, a Parigi, da Zagabria a Parigi e Varsavia. I ritorni patria sono sempre devastanti. Film culto della trasformazione è Goodbye Lenin!, di Wolfgang Becker, che si fonda sul concetto di Ostalgia, la ‘nostalgia dell’est’. I protagonisti ricordano con nostalgia gli anni ’60 e ’70, come un periodo rassicurante e stabile, in aperta contrapposizione agli stravolgimenti sociali e urbani che seguono il crollo. Per gli storici del cinema è il film che rende più radicalmente conto dei cambiamenti, facendo emergere anche un ambiguo rimpianto di un mondo definitivamente perduto.

 

 

Federica SCOTELLARO