Sokut Beyn-E Do Fekr (il silenzio tra due pensieri)

La scure della censura ha colpito l'ultimo lavoro di Bâbak Payâmi, un altro film che descrive la condizione della donna, non più attraverso la lente dell'assurdo come in Râ'y-e makhfi (Il voto è segreto), ma attraverso la drammaticità di una storia eloquente: quella di una ragazza, condannata a morte, data in sposa al proprio boia affinché le tolga la verginità e ne decreti la dannazione per l'eternità.

SOKAATE BEINE DOFEKSIl silenzio tra due pensieri di Babak Payami

 

 

Sokaate beine do feks (Il silenzio tra due pensieri) ha rischiato di non essere mai proiettato in una sala cinematografica. Le pizze che contenevano i negativi del film sono state confiscate dalle autorità iraniane. Il suo regista è uscito dal paese solo grazie al visto ottenuto per partecipare in veste di giurato al festival di Mosca, e da allora, disattendendo la promessa fatta a Teheran, si è tenuto ben lontano dai confini della sua patria. Così come fuori dall'Iran e stata fortunatamente portata una copia-lavoro in Beta Digital della pellicola, approntata dallo stesso Payami per la post-produzione che si sarebbe dovuta svolgere a Cinecittà. Questa copia video, sul cui margine inferiore del quadro spesso compare, con un effetto involontariamente straniante, il time code, è ciò che rimane del film.

Payami ha dichiarato: "Molti credono che la mia pellicola non sia piaciuta agli apparati statali, ma in realtà il giorno che lo hanno sequestrato nessuno aveva ancora visto il film". Invisibile, destinato all'incompiutezza cinematografica più assoluta: non essere mai proiettato per nessuno, nemmeno per i propri censori. Ridotto al silenzio. Quel silenzio che sta tra l'atto artistico creativo e l'avvilente persecuzione censoria. Quello che segue poi quest'ultima. Silenzio che crea un vuoto che inevitabile va a rilasciare un'eco sorda capace di riverberarsi fino a noi, capace di dire della propria assenza, dando così modo di riflettere intorno ai motivi che hanno portato a quell'assenza stessa. La libertà creativa, e purtroppo non solo, esercitata all'interno di uno stato integralista e repressivo crea un'aporia apparentemente inconciliabile. Ma proprio da qui, dal punto zero che rappresenta il cambio di direzione, la brusca e violenta inversione di rotta del destino di Sokaate beine do feks, dalla riflessione intorno al silenzio cui sarebbe stata destinata la pellicola, nasce pensiero. Paradossalmente, beffardo scherzo del destino, un pensiero molto simile a quello che l'aveva ispirata. E uguale e contrario a quello che ha indotto i suoi censori ad azzittirla. Inutilmente.

Quello di Payami si dimostra un cinema che affronta i temi politici e civili attraverso la messa in scena di parabole emblematiche. Il voto è segreto (2001) giocava con la metafora diretta, con il registro della commedia dell'assurdo, con la rappresentazione fantastica di una vicenda a suo modo esemplare. Le problematiche trattate erano fondamentalmente due: la democrazia e la condizione femminile. Sokaate beine do feks torna sugli stessi temi affrontandoli però in chiave concretamente drammatica. Ad aleggiare su tutto è scesa la lama del fondamentalismo religioso. Non c'è pin spazio per la leggerezza, né tanto meno per il gioco con l'assurdo: ora ad essere assurdamente tragico è il contesto in cui si colloca l'intera vicenda, così come è spiazzante e paradossale il pensiero che la innesca. Secondo una lettura integralista del Corano, una donna, per quanto "peccatrice", se giustiziata quando ancora è vergine va in paradiso. L'unica soluzione è quella che il suo boia la sposi. Dannandola così per l'eternità.

Quelli della democrazia, della condizione femminile e del fanatismo religioso sono i temi più tipici di parte del più recente cinema iraniano, che negli ultimi anni ha imparato a confrontarsi direttamente con l'impegno. Nell'ultimo festival di Venezia si è visto, per esempio, Abjad di Abolfazl Jalili, anch'esso decisamente orientato in questa direzione (e se in questo caso la pellicola è giunta in Italia non si può dire altrettanto del suo regista, bloccato all'aeroporto di Teheran). Quest'ultimo sceglie il confronto con la Storia, con la precisa contestualizzazione politico-geografica. Payami invece ambienta le sue vicende in un presente fuori dal tempo e le colloca in spazi simbolici: un'isola per Il voto è segreto e il deserto per il film pin recente. Spazi autonomi, letteralmente isolati dalla civiltà, nei quali l'osservazione si concentra su un nucleo ben limitato, chiuso e non dispersivo. Spazi in cui Payami innesca la miccia della democrazia in un caso e della recrudescenza integralista nell'altro. Tanto che dall'incontro tradizione-modernità è passato a riflettere sull'incontro tra tradizione e fondamentalismo "moderno". Non ci sono più semafori o aeroplani nel deserto. Il paesaggio è ieraticamente spazzato dal vento che insinuandosi tra gli spuntoni di roccia, gli strapiombi, le dune che paiono montagne invalicabili, villaggi adagiati e come fusi tra la sabbia e le forme che essa traccia, offre un'impressione fortemente astratta. Quest'enclave vede avvicendarsi ad un muezzin severamente tradizionalista una guida spirituale fanatica e sanguinaria, che impone una lettura ancora pin restrittiva del Corano.

Il potere della guida è ineffabile, manipolatore, cieco. A farne le spese sono tutti quelli che, come dichiara lo stesso Payami, "vengono controllati attraverso la strumentalizzazione della religione". Ma sono soprattutto le donne – cui è negato addirittura il permesso di compiere un pellegrinaggio – quelle che devono sopportare le prove peggiori. Immaginiamo la volitiva e petulante protagonista de Il voto è segreto tra di loro: come il mullah non avrebbe dubbi a farla giustiziare in nome di Dio così il giovane boia non ne avrebbe ad eseguire la condanna, gli toccasse pure sposarla per portare a termine la propria santa missione. Pure perché in un regime teocratico non esiste il concetto di colpa, ma solo quello di peccato. Noi non sappiamo quale sia quello commesso dalla ragazza in attesa di essere fucilata, sappiamo solo che ad un certo punto, interrogata da una bambina, dice: "Le donne non fanno peccati". Poi, dopo averci pensato un momento: "Non esistono i peccati".