Conversazione con Edward Yang

"Non puoi dire qualcosa senza i sentimenti"

CONVERSAZIONE CON EDWARD YANG:
"NON PUOI DIRE QUALCOSA SENZA I SENTIMENTI"

Vorremmo iniziare questa conversazione dalla considerazione che è contenuta nel pressbook. Lei dichiara che le piacerebbe che il pubblico, alla fine del film, avvertisse il piacere di aver trascorso il proprio tempo con un amico piuttosto che essere percepito come un "autore" cosa che invece considererebbe alla stregua di una sconfitta. Per quanto ci riguarda abbiamo percepito in maniera fortissima il progetto intellettuale del film, ma anche il suo calore umano, la sua assoluta empatia con il pubblico. Ci piacerebbe che lei commentasse questo presunto conflitto tra il suo essere autore e un amico.

In assoluto non credo che ci sia un conflitto. Non dipende da quello che faccio, se sono regista o meno. Non credo che cambierebbe qualcosa nel mio atteggiamento se fossi un pittore o un musicista. Sostanzialmente mi piacerebbe che i miei ascoltatori, spettatori fossero coinvolti emotivamente come se parlassero a un amico. Senza pretese, senza decorare i sentimenti. È questo il mio progetto di cineasta. Io penso che ci siano molti film che sono inutilmente decorati, che mettono in mostra la loro tecnica, pieni di spiegazioni. Non mi piace tutto ciò. È troppo indiretto. Preferisco qualcosa di più diretto. Preferisco usare il minor numero di artifici possibili per dire quello che mi sta a cuore. Ecco, ... probabilmente questo è il mio stile. (ride)

Si tratta di una posizione molto interessante perché molta gente è quasi spaventata da questo suo rifiuto di decorare l'immagine, da questa mancanza di esibizionismo stilistico. Il pubblico a volte prova difficoltà a sintonizzarsi sul suo lavoro, a percepire il senso delle inquadrature, dei movimenti di macchina ...
(ride) Certo... spaventati (ride) .. Lo comprendo molto bene. Ma credo che fare amicizia con qualcuno sia un processo molto articolato. Devi essere molto onesto e corretto. E questo è il mio modo di fare amicizia. Credo che fare un film sia molto simile a fare amicizia con qualcuno. E se qualcuno pensa che io non abbia delle cose interessanti da dire ritengo che sia suo diritto non ascoltare ciò che dico. Non credo che inizierei a raccontargli delle bugie solo per convincerlo a restare.

Si tratta di un atteggiamento che apprezziamo moltissimo perché è esattamente il modo in cui dovrebbero essere gestite le relazioni: senza imbrogliare. (Edward Yang annuisce) È qualcosa che secondo noi investe profondamente la sfera dell'essere un cineasta. Riguarda il tempo stesso che si impiega per conoscere qualcuno.
Ovviamente ritengo fondamentale l'abilità di scrivere... come quando si scrive una lettera alla quale si affidano i propri sentimenti. Se c'è solo abilità e mancano i veri sentimenti allora credo che siamo in presenza di un problema. Ritengo molto più importante i sentimenti rispetto allo stile. Naturalmente hai bisogno di uno stile per esprimerti ed è utile averlo. Ma non puoi proprio fare a meno dei sentimenti. Non puoi dire qualcosa senza i sentimenti. Ci deve essere a tutti i costi un'intesa tra le due cose. Ernest Hemingway scriveva lettere molto semplici e uno si chiedeva dove fosse racchiuso il significato: tra le parole, tra le righe se ci fosse addirittura un significato recondito. Si tratta ovviamente di una cosa da non fare anche se a volte non possiamo proprio evitarlo.

Questa ci sembra un'affermazione molto peculiare perché il modo in cui lei lavora sui sentimenti è assolutamente non invasivo. È come se piuttosto che mostrarli volesse suggerirli in maniera obliqua...
Credo che il più delle volte, quando si lavora a un film, ci siano molte distrazioni. C'è sempre la possibilità di ottenere due risultati opposti quando si tratta di spiegare qualcosa: uno è che con gli stessi elementi si ottengano effetti contrari a quelli desiderati. Ogni qual volta tento di fare qualcosa considero sempre anche gli effetti negativi che ne potrebbero derivare.

Si tratta di uno dei temi dominati del suo cinema.
Credo sia un atteggiamento che dovrebbe valere per qualsiasi lavoro. Per esempio penso all'architettura. Ci sono così tante decisioni da prendere prima di iniziare la costruzione di un edificio: materiali, colori, spazio. Una data scelta potrebbe andare tutta a vantaggio della struttura ma danneggiare lo spazio... Ci deve essere un equilibrio costante tra tutti gli elementi perché se sbagli a valutarne l'importanza potresti ritrovarti con edificio pericolante semplicemente perché hai sottovalutato uno degli aspetti del problema.

In questo senso ci sembra che lei in Yi Yi abbia deciso di conferire la medesima importanza alla parola e al suono
Non vorrei enfatizzare l'importanza del suono, del sonoro. Ma il suono per me ricopre la medesima importanza dell'immagine. Mi sembra che nelle scuole di cinema, per quanto io possa conoscere le scuole di cinema, gli insegnanti si preoccupino maggiormente dell'immagine trascurando invece il sonoro. Personalmente ritengo che per i cineasti l'immagine e il suono siano entrambi degli ottimi utensili di lavoro per creare delle buone storie. Il suono soprattutto può comprendere le immagini. Ovviamente le immagini possono comprendere il suono anche se qualche volta il silenzio è la scelta migliore...

Ci sembra che in Yi Yi lei si muova nella medesima direzione di Robert Bresson il quale sosteneva che il cinema è suono più immagini. A volte questi due elementi sono separati e a volte lavorano all'unisono. Ci può chiarire questa sua scelta?
Sostanzialmente credo sia stata determinata dal soggetto del film. È come se ci fossero degli echi tra le singole vicende del film e i personaggi. In un certo modo è come se le nostre vite fossero ripetute. Veniamo al mondo, poi diamo vita ai nostri figli e questi fanno la stessa cosa e così via. C'è dunque un'evidente ciclicità nella nostra vita...

È questa la ragione per cui ha deciso di mettere in scena un intero nucleo familiare?
Questo è esattamente il punto di partenza del concept del film. Se voglio mostrare, parlare delle cose semplici della vita allora il luogo migliore per farlo è la famiglia. Perché in una famiglia è rappresentata ogni età, ogni generazione da ciascuno dei suoi membri. E l'interazione tra questi è molto libera, molto logica. Nella mia testa questo è stato l'inizio di Yi Yi.

Tornando alla questione del sonoro, abbiamo avuto l'impressione che lei tenti di fare cinema con il minor numero di immagini possibili. È questa scelta ci sembra che si rifletta in un preciso lavoro sul tempo, sul flusso del tempo, ossia come dare forma al tempo. Se dunque lavora con meno immagini e più tempo, come si relaziona al problema dello spazio? Come sceglie il punto dove piazzare la macchina da presa? Come sceglie il modo di mostrare un personaggio e di amarlo? D'altronde c'è anche un tempo per l'amore...
Io credo che si possa lavorare in entrambi i modi. Per quanto riguarda la macchina da presa, dove posizionarla, ci sono talmente tanti dettagli da tenere in considerazione credo si tratti di istinto animale (animal instinct). Quando mostri un immagine credo che ogni animale inizi a cercare degli indizi, a cercare un significato, un mezzo per relazionarla alla propria esistenza. Quando osservi un'immagine in una camera oscura questa immediatamente entra a far parte della tua vita. E questo credo sia agli antipodi di quanto si insegna nella maggioranza delle scuole di cinema. Per le scuole di cinema non esiste che una informazione, non vogliono vedere altro che questo (Yang imita il rettangolo dello schermo con le mani, ndr.). Non esiste altro che il sentimento del momento. Per me si tratta di una cosa molto, molto piccola. Gli animali, gli esseri umani invece possiedono un istinto molto preciso per le immagini. Possiedono una capacità istintiva di interpretare immediatamente le immagini. Riescono a fornire moltissime interpretazioni per moltissime cose (so much interpretation for so many things). Questa per me è la ragione fondamentale che mi motiva nel decidere un'inquadratura, ci sono talmente tante cose, ma questa è la motivazione fondamentale... Per esempio l'inquadratura del ragazzo e la ragazza al riparo dalla pioggia sotto la pensilina del cinema. Per la verità si tratta di una situazione molto più intima, privata, rispetto a se li avessi filmati in una stanza. Perché ci sono moltissime cose che accadono in quel momento ma queste cose che pure ci sono... non influiscono sullo sviluppo della scena... aggiungono semmai una dimensione supplementare all'isolamento dei due ragazzi. Questo è un'altro aspetto della mia filosofia. Credo che molte scuole di cinema, prese dall'importanza dei movimenti di macchina, del montaggio ecc. trascurino questo aspetto... si tratta ovviamente di un altro approcio ma io ritengo che piazzare la macchina da presa in un luogo piuttosto che in un altro dipenda sostanzialmente dal tipo di informazione - e quante - intendi dare al pubblico. A volte questo processo viene risolto linearmente con il montaggio, tagliando molto velocemente. A volte invece può essere risolto con un minore numero di effetti... e anche questo è un sistema per comunicare molto velocemente al pubblico un grande numero di informazioni (ride).

Lei parla sovente di scelte. Ma a proposito del ragazzo che lavora con i computer, come mai l'unica volta che ha scelto di mostrare un'immagine di un videogame ha optato per un'immagine di omicidio?
Ritengo che il mondo sia destinato a diventare sempre più pervaso e influenzato dalla tecnologia. La tecnologia attualmente si trova a un bivio. Un bivio dal quale potrà procedere al livello successivo. I problema è che tutte le grandi compagnie di tecnologie avanzate non sanno vedere così lontano nel futuro. La tecnologia ha dato l'umanità per scontata per moltissimo tempo. Ma personalmente non credo che abbia compreso come funziona. È questo sarà vero fin tanto che qualcuno non troverà una soluzione a questo dilemma. Quindi tutta questa storia riguardante la violenza dei videogame... Solo due giorni fa sulla Cnn ho seguito un servizio nel quale giornalisti e studiosi discutevano allarmati della diffusione dei videogame violenti che diventano sempre più realistici e che sono poi anche quelli che vendono di più. Ma ci sono anche altri giochi, molto più interessanti, semplicemente non ci siamo preoccupati di svilupparli, non abbiamo avuto la visione (vision) necessaria per preoccuparcene, e questo non succederà fin quando non avremmo compreso noi stessi... E questo è il motivo per cui l'assassino si occupa di videogame, attualmente è l'esperienza più... Dieci anni fa dove è che trovavamo la violenza? Forse nei film di kung fu (ride). Adesso è nei giochi per computer. E si tratta di una violenza così reale.

Le piacevano i film di kung fu?
(Edward Yang ci osserva lievemente perplesso, ndr.)

è solo una curiosità...
(ride) Quando ero un ragazzo mi piacevano. Allora stavano inventando alcune delle tecniche del genere: come stare appesi ai fili ecc., ma poi sono diventati troppo ripetitivi. Non si vedono certo grandi novità nel genere...

Lei cosa preferisce: i film delle origini di Lau Kar-leong e di Zhang Che o la new wave dei film affidati al wire work?
Credo che il wire work si sia iniziato a sviluppare una quindicina, ventina d'anni fa. Questo è anche la ragione per cui Jackie Chan è stato costretto a fare da solo moltissimi dei suoi stunt, e si tratta di roba molto pericolosa, cose veramente notevoli. Credo però che ciò che è accaduto dopo - come la morte di alcune controfigure - ritengo che quella sia stata la fine di quei film d'azione. Perché se devi fare qualcosa di pericoloso lo devi fare sul serio, allora si è raggiunto il limite estremo (sorride). Non puoi rischiare di morire ogni qual volta devi sparare a qualcuno. Questo non è cinema. Puoi creare i medesimi effetti senza rishiare la vita di nessuno.

Come mai Taiwan non è mai riuscita a sviluppare un cinema commerciale e di genere come quello di Hong Kong?
È molto semplice. Vent'anni fa Taiwan non aveva l'economia da libero mercato. Quando finalmente ha sviluppato il libero mercato era già tutto finito (ride). Hong Kong aveva preso tutto. In origine Taiwan era più attiva di Hong Kong. Negli anni Settanta tutti i film di kung fu venivano realizzati a Taiwan. Ma Taiwan non aveva le infrastrutture necessarie per sostenere un'economia da libero mercato. Così c'è stato da fare moltissimo lavoro per riciclare le risorse necessarie all'industria cinematografica. Quando Hong Kong ha iniziato a produrre cinema commerciale semplicemente non c'era concorrenza da parte taiwanese. Questa è l'economia di mercato e questo è ciò che il WTO farà alla Cina (ride). Questo è il prezzo che abbiamo pagato non a causa dei cineasti ma a causa della carenza delle infrastrutture necessarie.

È singolare però che quando Olivier Assayas e Charles Tesson si recarono a Hong Kong per scoprirne il cinema, il sistema degli Shaw Brothers e tutta l'industria tradizionale locale era in crisi mentre il cinema taiwanese, così come lo conosciamo oggi, era in pieno sviluppo e gente come Chen Kuo-fu, lei e altri ancora tentavano di portarlo alla luce.
Ho sempre sostenuto, ed è vero perché è dimostrato storicamente, che se non ci fosse stato una nouvelle vague del cinema di Hong Kong non ci sarebbe stato una rinascita della cinematorafia taiwanese. La ragione stessa per cui c'è stata una nouvelle vague a Taiwan è perché quella di Hong Kong è stata una forza propulsiva talmente forte da ispirare noialtri a fare la stessa cosa. It's simple as that. Senza la new wave di Hong Kong non credo proprio che ci sarebbe stato qualche giovane cineasta che avrebbe trovato la forza necessaria di realizzare dei film. Loro ci hanno ispirato. Magari a Taiwan qualcuno, singolarmente, avrebbe fatto cinema comunque, ma non come gruppo.

In Yi Yi lei offre molte informazioni sulla società contemporanea di Taiwan. Quale crede che sia la relazione tra il suo cinema la società taiwanese?
(ride) Io tento di riflettere, sostanzialmente, quanto più è possibile ciò che accade nel mio mondo. Se prendete Taiwan... no, non Taiwan... Taipei... se prendete Taipei credo che vi possiate trovare molti indizi di quello che vi accade. Almeno questa è la mia intenzione.

Questa è una posizione molto forte perché ci sono sempre meno registi legati al posto in cui vivono. Se oggi si vuole sapere cosa accade in Portogallo, si guardano i film di De Oliveira, Monteiro. Se si vuole sapere cosa accade a Taipei si guardano i film di Edward Yang, di Hou Hsiao-hsien. È come ricevere cartoline da amici lontani. È una cosa che conferisce una forte sensazione di intimità ai film. C'è questo parlare al presente singolare che è molto forte: faccio film con amici, nel luogo in cui vivo per amici lontani...
Prima di discutere la vostra domanda, ritenete che ciò accada a causa delle trasformazioni cui sta andando incontro l'Europa? Per il fatto che la gente viaggia molto di più in Europa, che ai cineasti portoghesi piace vivere a Parigi...

Per quanto ci riguarda la risposta è molto semplice. In Europa non si tenta di fare del cinema italiano, tedesco. Solo i francesi resistono in questo senso. In Europa tentiamo di fare dei film europei che non approdano a nulla. Se vuole avere un'idea di quello che è il cinema europeo deve vedere i film inglesi che non valgono assolutamente nulla. Tutti in Europa tentano di imitare il modello produttivo britannico. Storie semplici, politicamente corrette e in questo modo si finisce per non avere la più pallida idea di cosa sia un inglese oggi.
Capisco.

In Italia è la stessa cosa. Si tenta di trovare un modello produttivo in grado di sfornare film e tenere in vita la macchina produttiva.
Questa è una cosa molto interessante, perché mi fa riflettere sul denaro coinvolto in questo tipo di operazioni. È come se avessero deciso a priori a cosa debba assomigliare un film. Se lavori con un produttore britannico, è ovvio che lui abbia interesse a mostrarti il lato oscuro di Londra... Credo che molto dipenda dagli stessi cineasti. Sovente l'aspetto produttivo è completamente separato da quello creativo. Molto spesso un regista, per meri motivi di sopravvivenza, evita di entrare in conflitto con la parte finanziaria del progetto del film. Ma il denaro, a sua volta, pretende dal regista determinate prestazioni. Si tratta di un rapporto molto ambiguo che crea equivoci drammatici. Per quanto mi riguarda dedico molto tempo a confrontarmi con il produttore su quello che voglio fare prima ancora che un progetto prenda forma. E allora spiego esattamente come intendo fare il film. E gli spiego anche perché il mio modo di voler fare una determinata cosa è la migliore anche per lui. Ma molto spesso i produttori non hanno il tempo per parlare con i registi e quindi pretendono cose molto semplici, veloci. Ma il più delle volte non funziona. Non funziona affatto. Questo è il motivo per cui io mi reputo molto fortunato. Io credo che sia fondamentale avere un rapporto molto consapevole con il denaro. Devi aiutare il denaro, non limitarti semplicemente a spenderlo per inseguire un tuo progetto. Credo di aver quindi sviluppato un certo senso per gli affari nel corso degli anni. In una vera industria un regista non deve preoccuparsi di queste cose. In una situazione come l'Asia ci sono ancora molti margini per lavorare in situazioni come la mia. Mi reputo molto fortunato a conoscere così tanti dettagli dell'altra faccia del mio lavoro. Per cui quando vado a Hollywood e la gente mi dice: "Oh, questo è Edward Yang di Taiwan! Hey, hai uno script per me?" io rispondo: "Che genere di script? Io non ho uno script! Di che cosa stiamo parlando!". O lo vuoi o non lo vuoi! "C'ho Dustin Hoffman per un ruolo!". Che significa? Per me si tratta di un modo completamente diverso di affrontare la lavorazione di un film. Preferisco un altro modo di lavorare e naturalmente il produttore deve essere un buon uomo d'affari per capire come muoversi e non sbagliare le sue mosse. Ovviamente moltissimi non hanno il tempo per seguire con attenzione lo sviluppo di un film e questo è il motivo per cui a Hollywood appena cambia il tempo molti progetti finiscono giù per lo scarico del lavandino.

Intervista a cura di Luciano Barisone, Carlo Chatrian e Giona A. Nazzaro
Trascrizione di Giona A. Nazzaro