Millennium Mambo

Fin dall'incipit Millennium Mambo mostra la sua natura: il suo essere film sul cinema, su quel cinema che imita la passione e le distorsioni proprie del ricordo.

MILLENNIUM MAMBOdi Hou Hsiao Hsien

 

Prima di raccontare la giovinezza di Vicky, divisa tra due amori e sentimenti contrastanti, Millennium Mambo – dopo aver seguito la silhouette della protagonista lungo una pensilina – descrive una scena apparentemente incongrua. Si tratta del numero di un prestigiatore che incanta un gruppo di giovani (tra cui Vicky) in un bar. Più che all'abilità dell'incantatore lo sguardo va all'estasi degli spettatori. Hou Hsiao Hsien filma il trasporto emotivo dei ragazzi, inserendo l'intero film sotto l'egida di questa sequenza. Oggetto dello sguardo non sarà solo (o non tanto) la realtà sociologica e psicologica di un gruppo di giovani (attraverso un loro rappresentante), ma soprattutto l'incanto che s'interpone tra chi guarda e chi è visto. Un incanto che mescola i concetti di distanza e prossimità: per tutto il film la macchina da presa – molto mobile – bracca da vicino la protagonista e ciò nonostante per tutto il film la natura della ragazza (il motivo del suo agire) non viene svelata. Proprio come al cinema: stare più vicino non significa vedere meglio, ma vedere altrimenti. Senza dubbio, partecipare di più.

Fin da questo incipit Millennium Mambo mostra la sua natura: il suo essere film sul cinema (su quel cinema che imita la passione e le distorsioni proprie del ricordo). Non è necessario arrivare alla fantastica "strada"zeppa di manifesti in un villaggio innevato del Nord del Giappone, per rendersi conto che il regista sta predisponendo un grande omaggio alla magia della settima arte; la conclusione svela piuttosto l'altra faccia –invisibile, se non in negativo, come l'impronta del volto lasciata sulla neve –delle opere di Hou Hsiao Hsien. Vale a dire la magia del cinema come impossibile presentificazione del ricordo. La voce narrante della protagonista sancisce le coordinate temporali dei frammenti di storia visti, situandoli al passato. Insieme alla posizione della narratrice s'intuiscono anche le manipolazioni compiute verso un racconto che credevamo lineare e che invece ha giustapposto frammenti autonomi. I tre fili narrativi (l'amore-odio con il geloso e possessivo Hao-hao; l'amicizia con il protettivo e misterioso gangster Jack; la vacanza-fuga nel Nord del Giappone) sono avvenimenti unici, che non si alternano se non nella forma che il ricordo dà loro. È sulle modalità con cui questa forma perpetua l'inganno che il film si sofferma. Come al cinema – che magico non è ma che fa credere cose che non esistono – come se fossimo dentro un film, vediamo concatenati avvenimenti che non lo sono. Ci domandiamo increduli come Vicky continui a restare con Hao-hao, progettiamo una relazione stabile tra lei e Jack, ipotizziamo una possibile storia con l'amico albergatore in Giappone. Completamente sovrapposti alla psiche di Vicky, partecipiamo delle sue illusioni, che riguardano un passato concluso e molto diverso dalla realtà del presente invisibile (la ragazza vive con quel Hao-hao tanto odioso).

Affidandosi alla magia (e all'inganno che ogni ipnosi sottende) il regista dà al ricordo la libertà che solo il presente possiede. Il cinema, arte del presente, riesce ad insufflare corpo e anima alle fantastiche alternative in cui la mente di Vicky fluttua. Partendo da questa posizione si spiegano i trucchi messi in atto: come non è importante seguire una narrazione troppo franta, così non è fondamentale anatomizzare le volute della mdp, rilevando gli eventuali raccordi nascosti. Oggetto della visione è il piacere ipnotico delle immagini, che si succedono dando l'illusione – o l'impossibile verità – di spazi ed emozioni contigui. Come accade in uno dei piani-sequenza più "azzardati" e "magici" del film, quando tra le luci abbaglianti della discoteca (che ripetono il flusso intermittente di fotogrammi luminosi e nero del proiettore) e i riflessi sui corpi nudi dei due giovani la ripresa crea un'impossibile via di contatto, dando l'impressione di spazi comunicanti con un solo gesto dello sguardo e del pensiero.

La manipolazione di una delle figure, cui il regista ha da sempre affidato il suo messaggio (il piano-sequenza), impone anche un altro ordine di riflessioni. Soprattutto se raffrontato con il precedente Flowers of Shanghai, che di soli piani-sequenza era composto. In quell'occasione si trattava di esplorare un'epoca lontana (la fine dell'Ottocento) e uno spazio unitario (una casa d'appuntamenti a Shanghai). Procedendo per scene definite Hou Hsiao Hsien descriveva gli albori di un mondo, in cui gli uomini potevano ingannarsi sui loro sentimenti,ma il visivo svelava le passioni che si agitavano nei loro cuori. In Flowers of Shanghai il piano-sequenza era la garanzia di verità della perfetta corrispondenza tra visione ed essenza della situazione. Per come tratta lo spazio e il tempo, Millennium Mambo rappresenta l'estremo opposto. Dal pre-cinema si arriva alla fine di un ciclo. Di fronte ad una realtà che ha imparato ad ingannare non solo con le parole ma anche con le immagini, il soggetto non può che affondare in questo stesso inganno, trovandovi le ragioni di un'altra verità. Il piano-sequenza resta, quindi, anche quando è pura illusione. È l'incanto, la magia per il kinema (il movimento anche quando esso è apparente), ad evitare la disgregazione del cinema in collage (in questa direzione lavora l'amico Edward Yang). Il millennio, che il film vuole omaggiare, si ripiega su stesso e ritrova la magia di Méliès, che inganna e ingannando ci dice cose più vere sulla realtà della comunicazione. Su cosa è possibile e su cosa è importante dire. Potrebbe sembrare un canto del cigno questo film "millenario" di Hou Hsiao Hsien, in quello «sguardo gettato a immobilizzare per sempre una delle tante foglie che alitano nel vento, con comprensione e simpatia» (questa la sua dichiarazione sull'umore che lo ha accompagnato) passato e futuro si danno la mano. È come se l'azione di proiettarsi in un tempo trascorso generasse da sé altre ipotesi, da seguire come se fossero storie autonome. Nella completa libertà di racconto, concessa al suo personaggio (Millennium Mambo è il film più scevro da ogni psicologia o struttura finalistica che si possa pensare) si ritrova il nucleo etico di questo maestro orientale. Forse, vedendo film, altro non facciamo che ricostruire momenti del passato, dando loro una forma affatto nuova. Se il cinema è atto intimo, associabile a fenomeni psichici così privati da tenerli protetti ai nostri stessi occhi, la «magnifica ossessione» di Hou Hsiao Hsien è quella di non imporre una forma ai nostri sogni. Lasciarci liberi nell'affrontare il ricordo di un passato-futuro che ci accompagna giorno dopo giorno.

Carlo Chatrian