Mohsen Makhmalbaf - Un profilo d'autore.

Breve presentazione critica del percorso poetico di Mohsen Makhmalbâf e della sua famiglia, dagli esordi fino agli ultimi film ambientati e girati in Afghanistan. Un viaggio in quattro tappe, più la filmografia completa.

MOHSEN MAKHMALBÂF

 

 

Disillusioni e speranze
Nato a Tehran nel 1957, Mohsen Makhmalbâf cresce nel clima tumultuoso che precede la rivoluzione islamica, formandosi sugli insegnamenti religiosi della nonna e su quelli politici del patrigno, attivo sostenitore di Khomeini. Nel 1972, a soli 15 anni, entra a far parte di un gruppo clandestino antimonarchico e, due anni più tardi, viene arrestato per aver aggredito, armato di un coltello, un agente della polizia con l’intento di disarmarlo. Rimarrà in carcere per 4 anni, fino al 1978, evitando una condanna maggiore perché minorenne al momento dell’attentato. Makhmalbâf avrà così modo di confrontarsi con gli altri detenuti e con le loro opinioni politiche, prendendo le distanze dall’attività dei Mujahiddin, caratterizzata da atteggiamenti violenti e posizioni estremiste. Fino all’inizio della sua carriera cinematografica rimarrà comunque devoto alla Rivoluzione Islamica e ai suoi ideali. Uscito dal carcere inizia la sua attività letteraria (scrive per lo più sceneggiature e racconti), collaborando con la radio di Tehran. È in questo clima che nel 1979 accoglie con entusiasmo la nascita della Repubblica Islamica.

 

Nel 1982, quando prende per la prima volta in mano la macchina da presa per realizzare Pentimento definitivo, Makhmalbâf ha solo 25 anni e l’esperienza del carcere è ancora vicina: forte è l’influenza del clima politico rivoluzionario e l’Islam si presenta come un imperativo categorico. Con questo primo lungometraggio il regista inaugura il cinema della militanza o "della rivoluzione", prima fase del suo percorso artistico. È lo stesso Makhmalbâf, infatti, a dividere la sua carriera cinematografica in quattro fasi, in cui da un certo estremismo politico e religioso si approda ad un cinema relativista e della speranza e ad una diversa visione dell’intellettuale, sintesi di un articolato e spesso contraddittorio percorso artistico. Si pensi che se al momento del debutto il cinema di Makhmalbâf può essere definito dottrinale e di propaganda, in un secondo tempo il regista realizza film che saranno addirittura vietati dalla censura.

La qualità artistica dei film che si iscrivono nel primo periodo (Due occhi smarriti, Rifugio in Dio e Il boicottaggio, oltre al già citato Pentimento definitivo) è di scarso rilievo, per il prevalere di slogan, diretti e superficiali, che riducono il linguaggio cinematografico al livello dei messaggi di propaganda e all’oratoria di matrice religiosa. I primi film di Makhmalbâf, al servizio di quelli che erano gli ideali della rivoluzione, assumono così un atteggiamento didascalico e moralistico.

Il boicottaggio, seppur ancora appartenente alla prima fase della carriera del regista (centrali sono il tema della morte e del contrasto tra una visione del mondo religiosa e spirituale ed una materialista) rappresenta però uno scarto rispetto alla produzione precedente. Grazie alle qualità tecniche e ad un uso sapiente delle metafore, il film raggiunge un valore artistico fino a questo momento sconosciuto: il cinema di Makhmalbâf non ha ancora trovato una coerente forma espressiva, ma sono già riconoscibili i segni di un procedere verso la definizione di uno stile personale come di un’attenzione alla realtà meno superficiale e meno condizionata da facili slogan. Nel film, attraverso la vicenda di un militante che arriva a dubitare del proprio credo politico, infatti, il regista accenna alla schiavitù in cui vivono gli appartenenti ad una rigida organizzazione politica.

I film della seconda fase della carriera cinematografica di Makhmalbâf, L’ambulante, Il ciclista e Il matrimonio dei benedetti, sono invece film "sociali" in cui tema centrale è quello dell’essere umano e del suo rapporto con la società che lo circonda. Sebbene siano realizzati all’interno del Circolo artistico per l’organizzazione della propaganda islamica, questi film non sono affatto di propaganda. Maggiore si fa l’attenzione ai problemi concreti della gente comune, avanzando critiche nei confronti della società moderna, incapace di rispondere alle esigenze della popolazione.

L’ambulante, con uno stile "coranico", che si muove tra espressionismo, realismo e surrealismo (non mancano elementi caricaturali e visionari), ritorna ad un procedimento già usato in Rifugio in Dio (in cui i cinque personaggi che si confrontavano con il diavolo erano altrettante facce di una persona sola). In questo caso i personaggi dei tre episodi rappresentano diverse fasi della vita dell’uomo. Il ciclista, muovendosi su questa linea, porta invece in primo piano i problemi degli immigrati afgani in Iran, costretti a vivere una vita di stenti e difficoltà economiche. Il risultato è un film politico, il cui elemento portante è la circolarità. Il protagonista Nasim, per reperire il denaro necessario a curare la moglie ricoverata in ospedale, accetta l’offerta fattagli da un’organizzazione di spettacoli di strada: pedalare per un’intera settimana, senza interruzione, per attirare gente e scommettitori. Quando la prova giunge al termine, nonostante la vittoria, però, Nasim prosegue la sua corsa in tondo, continuando a pedalare. La critica ha rimproverato a Makhmalbâf che il film, pur affrontando molto bene il tema dell’immigrazione, non sia riuscito ad avanzare alcuna proposta per risolvere il problema, ma forse lo scopo era semplicemente quello di portare alla luce la difficoltà a vivere nel cerchio di miseria e povertà in cui sono costretti gli immigrati (e di cui il continuo girare di Nasim con la bicicletta è una pregnante metafora). L’artista, d’altra parte, può portare alla ribalta un problema, ma non deve necessariamente fornirne una soluzione concreta. Con Il matrimonio dei benedetti, metafora di una nazione scossa dalla guerra contro l’Iraq, Makhmalbâf torna infine ad affrontare un tema d’attualità, con uno stile surrealista che intreccia incubi, visioni e flash-back. Le marche stilistiche del regista sono ormai ben definite.

La terza fase, quella di Tempo d’amare e Notti sullo Zâyande Rud, segna una cesura rispetto alle fasi precedenti per la visione critica che viene data della situazione politica iraniana. Alla coscienza della mancanza di una democrazia effettiva in Iran si aggiunge la consapevolezza della necessità di una democrazia che venga dal basso, in cui ciascuno riconosca di non possedere tutta la verità. Come spesso Makhmalbâf ama ricordare, facendo appello alla tradizione letteraria persiana, "la verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe; ciascuno ne prese un pezzo e, vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l’intera verità."

Con Tempo d’amare Makhmalbâf si pone su posizioni relativiste, mostrando le eventuali possibilità di sviluppo di una storia intorno al tema dell’adulterio. Attraverso una diversa combinatoria di possibili relazioni e soluzioni il regista denuncia la pena di morte e la condizione della donna nella società iraniana. Con Notti sullo Zâyande Rud, invece, Makhmalbâf realizza un film ad episodi, che rappresentano un prima, un durante e un dopo la rivoluzione. Il regista con questi due film vorrebbe dare una lezione di tolleranza, ma paradossalmente scatena reazioni di intolleranza. I due film verranno infatti banditi per aver affrontato temi come il suicidio e l’adulterio vietati dalla censura islamica.

Con C’era una volta il cinema, vero atto d’amore verso il cinema iraniano, ha inizio infine la quarta fase della carriera cinematografica del regista. Il film ripercorre l’arrivo del cinematografo in Iran, avvalendosi di scene tratte da film persiani di diverse epoche. Sempre dedicati al mondo del cinema sono i successivi L’attore e Salâm Sinemâ. Il primo è la storia di un popolare attore iraniano costretto, per questioni finanziarie, a recitare in film commerciali, pur inseguendo il sogno di lavorare in film dal più alto livello artistico. Il secondo è, invece, un documentario sul fascino esercitato dal cinema in Iran: attraverso i provini che Makhmalbâf (regista e attore del suo film) fa ad aspiranti attori di ogni età, scopriamo quali siano i sogni, le speranze e i desideri che la gente comune ripone nel cinema. La sfilata di audizioni dà voce ad una popolazione che, piuttosto che la guerra santa, sogna i miti della cultura pop americana. Focalizzando la sua attenzione sul rapporto che il pubblico ha con il mondo del cinema, Makhmalbâf porta così sugli schermi una sorta di seguito ideale di Close up di ‘Abbâs Kiârostami.

Il successivo Gabbe, primo film che Makhmalbâf gira in co-produzione con la francese MK2, nasce come documentario sulla tribù nomade dei Qashqâ’i (in cui le donne si dedicano alla tessitura di una tipologia di tappeto che prende il nome di gabbe, caratterizzato da disegni ispirati alla vita della tribù e ai paesaggi che la stessa attraversa), per poi scivolare nella finzione e dispiegarsi con la vivacità di un antico racconto persiano. Il film si afferma come miglior film straniero alla selezione ufficiale del Festival di Cannes e riceve ben cinque premi al XIV Festival Fajr di Tehran. Muovendosi tra poema e racconto fiabesco, l’opera è un vero e proprio atto d’amore verso la vita ed è attraversata dalla stessa gioia di vivere che qualche anno più tardi ritroveremo in Il silenzio, un film ricco di colori vivaci e di suoni che, nell’immaginazione di un bambino cieco, si trasformano in musica.

Alla quarta fase della produzione cinematografica di Makhmalbâf appartiene infine Pane e fiore, film con il quale il regista torna a riflettere sul cinema come strumento di conoscenza per consegnarci una delle sue opere migliori. Traendo spunto da un episodio autobiografico (l’aggressione ad un agente della polizia ai tempi dello Shâh), Makhmalbâf vorrebbe riproporre la propria esperienza passata, ma la storia prende il sopravvento e alla fine anziché coltello e pistola, gli attori prescelti si scambieranno il pane e il fiore che ritroviamo nel titolo: un vero e proprio messaggio di speranza e fiducia nelle nuove generazioni.

L’ultimo film del regista, Viaggio a Kandahâr, con un taglio documentaristico porta invece alla ribalta una realtà che solo le tragiche cronache degli ultimi anni hanno violentemente rivolto all’attenzione internazionale, la situazione dell’Afghanistan e la condizione della donna in questo paese. Esperienze e riflessioni raccolte durante la lavorazione del film sono poi convogliate nel libro In Afghanistan. I buddha non sono stati distrutti, sono crollati per la vergogna. Il volume, con uno stile crudo e poetico al tempo stesso, si muove tra il diario e l’inchiesta giornalistica di denuncia, fornendo dati sulla storia del paese e testimonianze dirette della popolazione. Makhmalbâf squarcia così l’oblio in cui l’ignoranza e l’indifferenza del mondo intero hanno relegato l’Afghanistan, paese dove gli unici indici della modernità sono le armi. La condizione della donna in Afghanistan, tema principale di Viaggio a Kandahâr, era già stato oggetto del romanzo Il giardino di cristallo, in cui il regista intreccia le vicende di 5 donne di Tehran negli anni ’80 del regime khomeinista, con uno sguardo sensibile alle difficoltà dell’essere donna durante la terribile guerra contro l’Iraq.

Album di famiglia
Un profilo di Makhmalbâf non può dichiararsi concluso senza prima lanciare uno sguardo alla sua "factory", vera e propria sinergia di esperienze che coinvolge tutta la famiglia.

Samira, figlia del regista, ha esordito nel 1998 con La mela, film che portava alla luce la realtà povera e arretrata dell’Iran contemporaneo, attraverso la storia di due bambine tenute segregate in casa dai genitori. Al film segue Lavagne, con il quale la giovane Samira riceve il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 2000. Il film, sui passi dell’attività paterna, si focalizza su un’altra tragedia dimenticata dal mondo mediatico, quella del popolo curdo che vive al confine tra Iran e Iraq. Nel 2002 esce invece 11 Settembre 2001 film collettivo in cui 11 registi, con 11 minuti ciascuno a disposizione, raccontano dal loro punto di vista l'11 settembre 2001, l'attacco e la distruzione delle Twin Towers di New York e lo shock che ha agghiacciato il mondo. L’episodio che apre il film è proprio quello di Samira. Alle cinque della sera, Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 2003, porta infine sullo schermo la vicenda di una donna afgana, Noqre, che sogna di diventare il Presidente della Repubblica afgana, tra folle di profughi disperati e palazzi in rovina, in un lento cammino verso la democrazia.

Marziye Meshkini, moglie di Makhmalbâf, è stata aiuto regista del marito nel film Il silenzio e di Samira nel film La mela. Esordisce alla regia con il film Il giorno in cui sono diventata donna, presentato all’interno della Settimana della critica alla 57ª Mostra del cinema di Venezia nel 2000, dove ha vinto i premi UNESCO, Cinema Avvenire e Isvema. Il film, concentrato sulla condizione della donna nella società iraniana contemporanea, rappresenta una voce femminile sull’argomento.

La giovane Hanâ, sorella di Samira, ha debuttato al Festival del cinema di Venezia nel 2003, presentando all’interno della Settimana della critica il film Il piacere della follia. Il documentario, ambientato a Kabul, segue Samira Makhmalbâf alla ricerca di attori e attrici per il film Alle cinque della sera. Il casting e le location diventano, attraverso l’obiettivo della camera digitale della quattordicenne Hanâ, l’occasione per un’indagine sulla società afgana e in particolare sulle aspirazioni e sulle incertezze delle donne. Ancora una volta il cinema che si interroga su stesso torna ad essere uno dei motivi chiave della produzione cinematografica iraniana. In questo caso il confine tra realtà e finzione assume però una valenza ancora più emblematica per il rilievo dato all’universo femminile afgano, appena affrancato dalle rigide e crudeli norme imposte dai talebani.

Filmografia:

Mohsen Makhmalbâf

1982Towbe-ye nasuh (Pentimento definitivo)
1984Este’âze (Rifugio in Dio)
Do Chashm-e bi su (Due occhi smarriti)
1985Boycott (Il boicottaggio)
1986Dastforush (L’ambulante)
1989Bâysikelrân (Il ciclista)
‘Arusi-ye khubân (Il matrimonio dei benedetti)
1990Nowbat-e ‘âsheqi (Tempo d’amare)
1991Shabhâ-ye Zâyande Rud (Notti sullo Zâyande Rud)
1992Nâseroddin Shâh aktor-e sinemâ (C’era una volta il cinema)
1993Honarpishe (L’attore)
1995Salâm sinemâ (Salve Cinema)
1996Nun va goldun (Pane e fiore)
Gabbe (Gabbeh)
1998Sokut (Il silenzio)
2000Dâstânha-ye jazire (Tales of an <st1:place w:st="on"> Island </st1:place> )
2001Safar-e Qandahâr (Viaggio a Kandahâr)

Samira Makhmalbâf

1998Sib (La mela)
1999Takht-e siyâh (Lavagne)
200211’09’’01, September 11 (11 Settembre 2001)
2003Panj-e ‘âsr (Alle cinque della sera)

Marziye Meshkini

2003Ruz-i ke zan shodam (Il giorno in cui sono diventata donna)

Hanâ Makhmalbâf

2003Lezzat-e divanegi (Il piacere della follia)

   

Note
Cfr. DABASHI, Hamid, Close up. Iranian Cinema, Past, Present and Future, London - New York, Verso, 2001, pp.183-189 e BARBERA, Alberto e MOSCA, Umberto (a cura di), Mohsen Makhmalbaf, Torino, Lindau, 1996, pp. 56-57.

 

Bibliografia:
BARBERA, Alberto e MOSCA, Umberto (a cura di), Mohsen Makhmalbaf, Torino, Lindau, 1996.
BONO, Francesco (a cura di), L’Iran e i suoi schermi, Venezia, Marsilio, 1990.
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DABASHI, Hamid, Close up. Iranian Cinema, Past, Present and Future, <st1:city w:st="on"><st1:place w:st="on"> London </st1:place> </st1:city> - <st1:state w:st="on"><st1:place w:st="on"> New York </st1:place> </st1:state> , Verso, 2001.
KÉY, Hormuz, Le cinéma iranien. L’image d’une société en bouillonnement. De la Vache au Goût de la cerise, Paris, Karthala, 1999.
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MAKHMALBAF, Mohsen, Il giardino di cristallo, Milano, Bompiani, 2003.
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Marco Dalla Gassa